Le città al pari delle foreste, hanno antri in cui si nasconde tutto
ciò che esse hanno di più cattivo e di più terribile. Solo che, nella città,
ciò che si nasconde così è feroce, immondo e misero, cioè brutto; nelle
foreste, ciò che si nasconde è feroce, selvaggio e grande, cioè bello.
(Victor Hugo)
La città e i loro presidi amministrativi, sono
diventati i punti di snodo del potere più vicini alle comunità dove si
promuovono esempi di democrazia partecipata, di auto-organizzazione dal basso
dei cittadini; formule di convivenza civile spesso promosse dalle istituzioni
stesse, talvolta tollerate o ricondotte nei giusti canali. Per saldare il
legame fra cittadini e governanti si fa leva sulla partecipazione intesa come
strumento per ottenere consenso. Tale strategia si concretizza a posteriori in
dictat istituzionali spacciati come decisioni collettive. Ci si è resi conto,
insomma, che se gli abitanti di una città o di un paese hanno l`impressione di
essere parte attiva nella gestione della porzione di territorio in cui vivono,
questi diventeranno molto più facilmente amici delle istituzioni e pronti a
difendere il sistema e i valori che esse propugnano. Nelle città si realizza,
quindi, un laboratorio giornaliero per indurre all'accettazione graduale del
dominio, fino ad arrivare all'autoregolamentazione della propria sudditanza.
Così come si vuole che ogni persona, segregata in un qualsiasi luogo della
macchina concentrazionaria capitalista, partecipi alla gestione della propria
carcerazione, si vuole che bravi cittadini partecipino alla propria
sottomissione, collaborino alla propria schedatura, agevolino sperimentazioni
di auto-governo, o forse sarebbe più corretto dire di auto-limitazione,
introitando e perpetuando “dal basso” veri e propri dispositivi di
collaborazione istituzionale. La città è insomma il luogo della pacificazione
produttiva, dell’efficienza tecnologica asservita al controllo, del cittadino
prevedibile, abitudinario, che protesta, però, con l”intento di contribuire al
bene comune; è il campo di concentramento dove tenere buoni i "soliti
contestatori", chiedendo loro un aiuto nel co-gestire la prigione. Di tale
partecipazione, che è in sé accettazione di una data idea, quella di uno
sviluppo teso alla spettacolarizzazione e al controllo, ne facciamo volentieri
a meno. Nella ragione politica, come nella fede religiosa, predomina l'idea che
l’uguaglianza sia data dall'identità, dalla comune adesione ad una visione del
mondo. Mai viene considerata la possibilità opposta, ovvero che l'armonia
generale dell’umanità possa nascere dalla divisione degli individui spinta
all’infinito. E proprio nelle città, infatti, si ricompone quel realismo
politico che consolida e fortifica, qui e ora, regimi democratici andati a male
e forze antagoniste riciclatesi nella collaborazione istituzionale. Sia nelle
prigioni che nelle città, però, non tutte le volontà sono state piegate, alcune
continuano quotidianamente a svelare un nemico, sempre più vicino e a portata
di mano, e si rifiuteranno ancora di sostituire al proprio sguardo l'occhio del
suddito, del cittadino o del poliziotto.