..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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martedì 30 ottobre 2012

Azione diretta

L'azione diretta è l'agire al di sopra dei meccanismi di rappresentanza, al di sopra di regolamenti e autorità, per il raggiungimento di un obiettivo. L'azione diretta è raggiungere il cuore dei problemi senza mediazione e intermediari.
La vaghezza della definizione ne rappresenta di fatto la ricchezza. Quante sono le sfumature della sensibilità umana e quante quelle dell'inventiva e delle esigenze, tante sono le modalità di azione diretta. Mirate al beneficio di individui isolati o a quello di un'intera città. Amplificatrici di visibilità, voce di chi ridotto al silenzio, sensibilizzanti, deterrenti, creatrici di immaginario, sabotatrici.
Cosa succede quando l'azione diretta è stimolante, accessibile e partecipativa? Cosa succede quando la determinazione si fonde alla gioia di mettersi in gioco?
L'azione diretta deve reinventarsi ad ogni respiro, stupire. Perché la tattica di un'azione diretta sia vincente il livello di scontro deve essere dosato in maniera da ispirare, coinvolgere e far unire alla lotta un numero di persone superiore al numero dei partecipanti immobilizzati dalla repressione, in uno slancio rivoluzionario. E se ciò avviene in maniera fortemente virtuosa, meglio!
La musica, l'immaginario, la comunicazione, i propri corpi, la gioia e il contagio sono elementi che possono rendere pericolosamente efficace un'azione portata avanti con determinazione.
Diretti al nervo scoperto, in gruppi di affinità o in cinquecento, mossi dal desiderio come unica legge da seguire, per liberarsi dalla frustrazione e per cambiare in qualche modo questo mondo.

lunedì 29 ottobre 2012

La vita è bella per chi trascende i confini delle convenzioni


La vita è bella per chi trascende i confini delle convenzioni, fugge e fugge l’inferno industriale lontano dal fumo malsano delle fabbriche e il fetore pestilenziale di taverne, per chi non è a conoscenza delle restrizioni di onorabilità, i timori dei ”quello che dice la gente” e gossip volgare. La vita è balla per l’anarchico.
Emile Armand

domenica 21 ottobre 2012

Sicilia, elezioni regionali 2012

Che

Siate sempre capaci di sentire nel più profondo di voi stessi ogni ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo.
Ernesto Guevara de La Serna

Fuori le truppe dalla Val Susa

L’individualista contro l’autorità di Èmile Armand

L’azione individualistica anarchica consiste nello sviluppare l’odio, il disgusto, il disprezzo personale per la dominazione dell’uomo sull’uomo per mezzo dell’uomo, delle collettività sopra o per mezzo dell’individuo. Consiste nel creare uno spirito di critica permanente ed irriducibile verso le istituzioni che insegnano, mantengono, preconizzano la dominazione degli uomini sopra i loro simili. E non soltanto contro le istituzioni, ma altresì contro gli uomini che queste istituzioni rappresentano, poiché e per opera di quelli che conosciamo queste. Infatti l’autorità è un astrazione, la si conosce solo attraverso i suoi rappresentanti e i suoi esecutori, esiste, per ciascuno di noi, sottoforma di deputati, giudici, gendarmi, carcerieri, agenti delle imposte, contribuenti, elettori.
Per Armand l’anarchismo è innanzitutto una filosofia di vita, non è solo un modo di praticare i rapporti sociali ma anche di vedere il mondo. Egli afferma che l’anarchico, nel senso forte della parola, è quell’individuo che esprime un’insofferenza esistenziale contro ogni forma d’autorità, che lotta contro il potere perché, prima di tutto, questo lo opprime direttamente, poi perché opprime anche gli altri. Naturalmente non vengono sottovalutate le possibili considerazioni sociali, collettive e interumane, ma il fattore determinante è rappresentato dall’azione condotta in prima persona, nel senso che è sempre il singolo soggetto l’alfa e l’omega di ogni riferimento giustificativo della prassi, la vera e unica certezza che dà valore agli scopi della lotta, la sola fonte che illumina la condotta umana.

venerdì 19 ottobre 2012

PoliticANTIpolitica


Berlusconi parla di Lista Civica da presentare alle elezioni nazionali al posto del già vecchio PDL e i suoi luogotenenti vanno costruendo un po’ ovunque aggregazioni “apartitiche” dove confluisce il fior fiore del trasformismo nazionale; tutti sono alla ricerca del vestito nuovo con cui presentarsi all’appuntamento con l’elettore. L’obiettivo è ridurre l’antipolitica a un cartello elettorale; queste cose le fa meglio Grillo, che si è assunto il compito poco onorevole di ricondurre dentro l’alveo istituzionale il malcontento e la protesta manifestazioni di un distacco profondo e serio dal sistema partitocratrico parlamentare, corrotto, abbarbicato sui suoi privilegi, servo delle leggi di mercato, della chiesa e del padrone americano. Il segno più evidente che moltissima gente è in grado di far da sé, di mettersi assieme, organizzarsi in maniera egualitaria e libera e portare avanti i propri interessi.
Questo ha creato il caos nelle stanze alte della gerontocrazia al governo, che ha dovuto prendere atto di uno scricchiolìo del sistema come possibile annunciazione di un terremoto politico e sociale.
Fior di servi, scribacchini e mezzibusti televisivi hanno inondato di merda ogni protesta: dai forconi ai no tav, dagli indignati ai protagonisti di lotte per il lavoro, dagli incazzati con Equitalia ai resistenti difensori del loro territorio, tutto è descritto con disprezzo, come espressione di un qualunquismo senza sbocchi e fatto seguire da sparate sui tagli della politica, l’abolizione delle province, la fine del finanziamento pubblico, la riduzione del numero dei deputati: la politica che si autoriforma: minchiate! Una politica meno invasiva e meno onerosa non avrebbe nessun diritto di continuare a decidere sulla testa di un popolo.
Quello che in questo momento sempre più gente mette in discussione è proprio la delega alla classe politica, la questione di chi decide. La chiamano antipolitica, ma può benissimo considerarsi antiautorità, che già suona meglio e si addice di più alla realtà. E proprio per questo è temuta.

giovedì 18 ottobre 2012

Né democratici né dittatoriali: anarchici


«Democrazia» significa teoricamente governo di popolo: governo di tutti, a vantaggio di tutti, per opera di tutti. Il popolo deve, in democrazia, poter dire quello che vuole, nominare gli esecutori delle sue volontà, sorvegliarli, revocarli a suo piacimento.
Naturalmente questo suppone che tutti gli individui che compongono il popolo abbiano la possibilità di formarsi un'opinione e di farla valere su tutte le questioni che li interessano. Suppone dunque che ognuno sia politicamente ed economicamente indipendente, e nessuno sia obbligato per vivere a sottoporsi alla volontà altrui.
Se vi sono classi e individui privi dei mezzi di produzione e quindi dipendenti da chi quei mezzi ha monopolizzati, il cosiddetto regime democratico non può essere che una menzogna atta a ingannare e render docile la massa dei governati con una larva di supposta sovranità, e così salvare e consolidare il dominio della classe privilegiata e dominante. E tale è, ed è sempre stata, la democrazia in regime capitalistico qualunque sia la forma ch'essa prende, dal governo costituzionale monarchico al preteso governo diretto.
Di democrazia, di governo di popolo non ve ne potrebbe essere che in regime socialistico, quando, essendo socializzati i mezzi di produzione e di vita, il diritto di tutti a intervenire nel reggimento della cosa pubblica avesse a base e garanzia l'indipendenza economica di ciascuno. In questo caso sembrerebbe che il regime democratico fosse quello che meglio risponde a giustizia e meglio armonizza l'indipendenza individuale con le necessità della vita sociale. E tale apparve, in modo più o meno chiaro, a coloro che in tempi di monarchie assolute combatterono, soffrirono e morirono per la libertà.
Senonché, a guardare le cose come veramente sono, il governo di tutti risulta una impossibilità in conseguenza del fatto che gli individui che compongono il popolo hanno opinioni e volontà differenti l’uno dall’altro, e non avviene mai, o quasi mai, che su di una questione od un nome qualunque tutti siano d'accordo; e perché il «governo di tutti», se governo ha da essere, non può che essere, nella migliore delle ipotesi, che il governo della maggioranza. E i democratici, socialisti o no, ne convengono volentieri. Essi aggiungono, è vero, che si debbono rispettare i diritti delle minoranze; ma siccome è la maggioranza che determina quali sono questi diritti, le minoranze in conclusione non hanno che il diritto di fare quello che la maggioranza vuole e permette. Unico limite all'arbitrio della maggioranza sarebbe la resistenza che le minoranze sanno e possono opporre; vale a dire che durerebbe sempre la lotta sociale, in cui una parte dei soci, e sia pure la maggioranza, ha il diritto di imporre agli altri la propria volontà, asservendo ai propri scopi le forze di tutti.
E qui potrei dilungarmi per dimostrare, col ragionamento appoggiato ai fatti passati e contemporanei, come non sia nemmeno vero che quando vi e governo, cioè comando, possa davvero comandare la maggioranza, e come in realtà ogni «democrazia» sia stata, sia e debba essere niente altro che una «oligarchia», un governo di pochi, una dittatura. Ma preferisco, per lo scopo di quest'articolo, abbondare nel senso dei democratici e supporre che davvero vi possa essere un vero e sincero governo di maggioranza.
Governo significa diritto di fare la legge e d'imporla a tutti colla forza: senza gendarmi non v'è governo.
Ora, può una società vivere e progredire pacificamente  per il maggior bene di tutti; può essa adattare mano a mano il suo modo di essere alle sempre mutevoli circostanze, se la maggioranza ha il diritto e il modo d'imporre colla forza la sua volontà alle minoranze ricalcitranti?
La maggioranza è di sua natura arretrata, conservatrice, nemica del nuovo, pigra nel pensare e nel fare e nello stesso tempo è impulsiva, eccessiva, docile a tutte le suggestioni, facile agli entusiasmi e alle paure irragionevoli. Ogni nuova idea parte da uno o pochi individui, è accettata, se è un'idea vitale, da una minoranza più meno numerosa, e, se mai, arriva a conquistare la maggioranza solo dopo che e stata superata da nuove idee, da nuovi bisogni, ed è già diventata antiquata e forse ostacolo anziché sprone al progresso.
* * *
Ma vogliamo noi dunque un governo di minoranza?
Certamente che no; che se è ingiusto e dannoso che la maggioranza opprima le minoranze e faccia ostacolo al progresso, è anche più ingiusto e più dannoso che una minoranza opprima tutta la popolazione od imponga colla forza le proprie idee, che, anche quando fossero buone, susciterebbero ripugnanza e opposizione per il fatto stesso di essere imposte.
E poi, non bisogna dimenticare che di minoranze ve n'è di tutte le specie. Vi sono minoranze di egoisti e di malvagi, come ve ne sono di fanatici che si credono in possesso della verità assoluta e vorrebbero, in piena buona fede del resto, imporre agli altri quello che essi credono la sola via di salvezza e che può anche essere una semplice sciocchezza. Vi sono minoranze di reazionari che vorrebbero tornare indietro e che sono divise intorno alle vie e ai limiti della reazione, come ci sono minoranze rivoluzionarie, anch' esse divise sui mezzi e sugli scopi della rivoluzione e sulla direzione che bisogna imprimere al progresso sociale.
Quale minoranza dovrà comandare?
È una questione di forza brutale e di capacità d'intrigo; e le probabilità di riuscita non sono a favore dei più sinceri e dei più devoti al bene generale. Per conquistare il potere ci vogliono delle qualità che non sono precisamente quelle che occorrono per far trionfare nel mondo la giustizia e la benevolenza.
Ma io voglio ancora abbondare in concessioni, e supporre che arrivi al potere proprio quella minoranza che, fra gli aspiranti al governo, io considero migliore per le sue idee e i suoi propositi. Voglio supporre che al potere andassero i socialisti, e direi anche gli anarchici, se non me lo impedisse la contraddizione in termini.
Peggio che andar di notte, come si dice volgarmente.
Già, per conquistare il potere, legalmente o illegalmente, bisogna aver lasciato per istrada buona parte del proprio bagaglio ideale ed essersi sbarazzati di tutti gl'impedimenti costituiti da scrupoli morali. E quando poi si è arrivati, il grande affare è di restare al potere, quindi necessità di cointeressare al nuovo stato di cose e attaccare alle persone dei governanti una nuova classe di privilegiati, e di sopprimere con tutti i mezzi possibili ogni specie di opposizione. Magari a fin di bene, ma sempre con risultati liberticidi.
Un governo stabilito, che si fonda sul consenso passivo della maggioranza, forte per il numero, per la tradizione, per il sentimento, a volte sincero, di essere nel diritto, può lasciare qualche libertà, almeno fino a che le classi privilegiate non si sentono in pericolo. Un governo nuovo, che ha solo l'appoggio di una, spesso esigua, minoranza, è costretto per necessità e per paura a essere tirannico.
Basti pensare a quello che han fatto i socialisti e i comunisti quando sono andati al potere, sia se vi sono andati tradendo i loro principi e i loro compagni, sia se vi sono andati a bandiere spiegate, in nome del socialismo e del comunismo.
* * *
Ecco perché non siamo né per un governo di maggioranza, né per un governo di minoranza; né per la democrazia, né per la dittatura.
Noi siamo per l'abolizione del gendarme. Noi siamo per la libertà per tutti, e per il libero accordo, che non può mancare quando nessuno ha i mezzi per forzare gli altri, e tutti sono interessati al buon andamento della società. Noi siamo per l'anarchia.
Errico Malatesta

In questo testo Malatesta chiarisce in maniera molto netta che gli anarchici non sono per la democrazia (il dominio della maggioranza sulle minoranze) né tantomeno sono per la dittatura (la tirannia di una persona o di un partito sulla maggioranza). Gli anarchici sono per l'autonomia di tutti, senza imposizioni o forzature. Solo così diventa possibile il libero accordo e il libero sviluppo di tutti.
Questo scritto apparve in Pensiero e Volontà, anno III, n°7, Roma, 6 Maggio 1926

lunedì 15 ottobre 2012

Non cemento ma orti

In un epoca il cui ritorno del capro espiatorio permette ai politici di rivoltare la collera suscitata dalla dittatura dei poteri finanziari contro lo zingaro, l’ebreo, l’arabo, l’omosessuale, lo straniero quello di fuori, la nostra decisione di creare collettivamente degli spazi e del tempo liberato dal controllo poliziesco della merce deve rimanere il nostro obiettivo primario, perché luoghi di attività siffatti restaurano contemporaneamente la solidarietà e la gratuità, entrambe incompatibili con le dittature del denaro e del potere.
Di questo pianeta devastato ovunque dalla cupidigia, sterilizzato dal profitto, cementificato dal calcolo egoista e assurdo, tocca a noi strapparlo alle multinazionali che lo condannano al deperimento per trarne un ultimo beneficio che investono stupidamente in una bolla speculativa destinata all’implosione.
Riappropriarsi dell’acqua, fertilizzare il suolo, ricorrere alle energie rinnovabili e gratuite, istaurare l’autogestione generalizzata ecco i soli mezzi per salvare la società dal disastro del quale la minaccia quel denaro impazzito che gira a vuoto sfiancandosi e sfiancando quel che rimane di vivo in noi e intorno a noi. La sola arma assoluta capace di sradicare l’economia mercantile è la gratuità della vita, una vita che ha la facoltà di propagarsi per effetto di risonanza.
Non cemento ma orti è un grido di resistenza gioiosa che si diffonderà dappertutto, sradicando poco a poco l’odio nato dalla frustrazione e dal sentimento di essere esclusi dalla propria vita. Vogliamo ritrovare il fascino dell’erranza urbana, il matrimonio tra l’utile e la bellezza, la luminosità di un’orticultura dove possano fiorire anche le opere d’arte che tanti artisti anonimi non hanno mai avuto l’occasione di offrire allo sguardo altrui. Vogliamo disporre liberamente di zone di creazione, di sogno, di poesia; abbiamo un diritto imprescrittibile al godimento dei luoghi dove la vita si restaura per partire all’assalto di un mondo principalmente governato dalla morte.
Non abbiamo bisogno di armi ma sapremo mostrare che le armi del denaro, della corruzione e del potere non vinceranno contro di noi.

Punx Torino le origini

Le prime iniziative del nostro sparuto gruppo di punks anarchici torinesi partono dall’esperienza di farci sentire, di farci sapere che esiste la voglia di essere “contro”, la voglia di comunicare/urlare, vestirsi fuori da tutti gli schemi conosciuti, pur restandoci nei limiti che il punk stesso ha in se.
Il primo volantino “ufficiale” risale al marzo 82, distribuito ad un concerto dei Tuxedomoon, contro i prezzi elevati dei concerti, ma soprattutto per “pubblicizzare” che i punks vogliono un posto, uno spazio autogestito. La nostra non era una proposta speranzosa o una speranza ingenua, sappiamo benissimo di non essere in grado di occupare qualche locale, ma l’importante è che la gente smettesse di pensare ai punks come fascistelli, dementi o altro. In quel periodo la scena punk era molto eterogenea e no era facile unire le esigenze di tutti. Si gestiva la discoteca per una sera la settimana, ci si trovava in giro, ma si aveva l’esigenza ormai di avere un lovale, un posto dove trovarci. La sede anarchica di via Ravenna era l’unica situazione disponibile che non ci facesse sentire “quelli che bisogna capire perché forse anche il punk ha qualche cosa di buono”.
Cominciamo a trovarci tutte le settimane alla fine del maggio 82 riusciamo ad organizzare il primo concerto autogestito “CONTRO LA DISPERAZIONE URBANA”, in un centro d’incontro a Torino. Fu questo il primo momento di comunicazione, la prima grossa uscita del punk politico nella nostra città,
con una discreta affluenza di pubblico. Fu anche un momento molto importante all’interno del nascente collettivo per prendere le distanze da chi il punk lo viveva esclusivamente in un modomusicale o come nuova moda. Le discussioni tra noi non mancavano e non è stato affatto facile raggllingere la compattezza che c’è ora. Venivamo da esperienze molto diverse e quasi nessuno da esperienze politiche precedenti.
Da allora le cose sono andate sempre meglio; sono stati organizzati cinque concerti autogestiti in meno di un anno che oltre a quello già citato, sono: “Punk oltre la musica” (19/9), “Punk contro Comiso” (12/11), “Concerto per l’Autogestione” (febbraio 83),”Contro il monopolio delle case discografiche”(23/4/83) e inoltre qualche fanzine (anche se nessuna ha avuto purtroppo seguito), alcuni demo-tapes, e una serie di volantini distribuiti per evitare di ghettizzarci, che vanno da una critica pubblica a Radio Flash ad una protesta contro l’aumento del biglietto ATM.
Attualmente il collettivo sta crescendo notevolmente, riuscendo a riunirci settimanalmente, non solo noi di Torino, ma anche dei punks che vivono nell’hinterland.
L’ultima iniziativa è stata la creazione di una etichetta indipendente, la “CONTROPRODUZIONI” per la quale sono uciti dei dischi di gruppi di Torino, chiaramente facenti parte del collettivo PUNX. I soldi per la realizzazione del rimo discho sono stati presi in gran parte dai concerto organizzati in precedenza, mentre il resto dal gruppo stesso che ha inciso. Con il ricavato della vendita è stato finanziato il disco successivo … e così via.
Abbiamo gusti, modi di essere, di suonare, di vivere giustamente diversi, ma questo non disturba molto. Non ci interessa far rinascere un “movimento”, ma di reagire, ognuno in modo strettamente personale, alla repressione fisica e psichica che ci perseguita anche al cesso.
Archivio bodo’s project

L’anarchia di Emile Henry

Non più autorità, molto più contraria alla felicità dell’umanità di qualche eccesso che si potrebbe produrre agli inizi di una società libera.
Al posto dell’organizzazione attuale, raggruppamenti di individui per simpatia ad affinità, senza leggi e senza capi.
Non più proprietà individuali; messa in comune dei prodotti; lavoro di ognuno secondo i suoi bisogni, consumo di ognuno secondo i suoi bisogni, cioè, secondo volontà.
Non più famiglia, egoista e borghese, che rende l’uomo proprietà della donna, e la donna proprietà dell’uomo; che esige da due esseri che si sono amati un momento di essere legati l’uno all’altro fino alla fine dei loro giorni. La natura è capricciosa, chiede sempre nuove sensazioni. Vuole l’amore libero. Ecco perché vogliamo l’unione libera.
Non più odio tra i fratelli, non più patrie, che gettano gli uni sugli altri degli uomini che non si sono nemmeno mai visti.
Sostituzione dell’attaccamento gretto e meschino dello sciovinista alla sua patria, con l’amore ampio e fecondo dell’Umanità Intera, senza distinzione di razza né di colore.
Non più religioni, forgiate dai preti per degradare le masse e dar loro la speranza di una vita migliore mentre essi stessi godono della vita terrestre.
Al contrario, sviluppo continuo delle scienze, messe alla portata di ogni essere che si sentirà attratto verso il loro studio, portando a poco a poco tutti gli uomini ad una coscienza del materialismo.
In una parola, niente più intralci al libero sviluppo della natura umana, libero sviluppo di tutte le facoltà fisiche, cerebrali e mentali.
Per far trionfare questo ideale, per creare una società anarchica su basi solide, occorre incominciare col lavoro di distruzione. Occorre gettare a terra il vecchio edificio tarlato.


giovedì 11 ottobre 2012

L'illusione della scelta, le presidenziali americane

Se non sarà il voto ad aiutare la classe lavoratrice americana, cosa allora? Le elezioni presidenziali del 2012 si stanno avvicinando velocemente e gli americani si troveranno a partecipare a questo rituale votando per un candidato del Partito Democratico o del Partito Repubblicano. Il che è un po' come decidere se bere la Coca-Cola o la Pepsi. I Democratici ed i Repubblicani sono costantemente impegnati nell'argomentare e promuovere le loro visioni, rispettivamente quella liberale e quella conservatrice (entrambe facce della medesima svalutata moneta). Non è altro che uno show dovuto da questo sistema bipartitico alle elite corporative ed alle banche internazionali che lo finanziano. I 2 partiti possono avere tonalità differenti, ma alla fine dei conti, sono in pratica la stessa cosa, uno in una scatola blu e l'altro in una scatola rossa, ma quando si aprono queste scatole vi si trova dentro la stessa cosa. Alcuni dicono che i Democratici sono “il male minore”. Il che vuol dire ammettere che essi sono uno dei due mali. L'esperienza mostra che non possiamo battere il male "peggiore" con il male "minore"—perchè essi sono fondamentalmente la stessa cosa. Ad ogni elezione, la classe lavoratrice vota per i Democratici e ad ogni elezione i Repubblicani peggiorano, ma peggiorano pure i Democratici. Entrambi vanno a destra. La conclusione del mandato di Barack Obama giunge come una pugnalata alla schiena per i suoi elettori. Le sue promesse di cambiamento si sono rivelate menzogne, ma questo vale per tutti i presidenti. Promettono al popolo americano che se verranno eletti rafforzeranno il paese, ne miglioreranno le condizioni e miglioreranno le nostre vite. Appena entrano nella Casa Bianca si dimenticano delle loro promesse e e si mettono al servizio degli interessi delle elite corporative. Come scriveva il grande scrittore americano Mark Twain: “Se con il voto si potessero cambiare le cose, non ci farebbero votare”. Secondo l'Ufficio di Statistica sul Lavoro, ad agosto del 2012 il tasso di disoccupazione era dell' 8.1%, ma diventa il doppio nel caso degli afro-americani. Molte persone di colore avevano riposto la loro fiducia in Obama, credendo che quando quest'uomo dalla pelle scura fosse entrato nella stanza ovale, sarebbe stato il presidente che avrebbe migliorato le condizioni delle persone di colore in questo paese, ma non è andata così.
Il Presidente Obama non ha presentato nessun programma per aiutare i lavoratori americani poveri e disoccupati, che sono nella stragrande maggioranza persone di colore; cedendo ad ogni richiesta di parte repubblicana, la sua amministrazione ha espulso più migranti di quanti ne avesse espulso l'amministrazione Bush. Obama aveva detto che avrebbe messo fine alle guerre, ma ha fatto l'opposto fin dall'assunzione del mandato nel 2008. Siamo quasi al 2013 e ci sono ancora truppe di occupazione in Iraq mentre la cosiddetta ‘Guerra al Terrore’ è tuttora in corso in Afghanistan, Pakistan, Yemen, ecc. In più, c'è stato il bombardamento della Libia e ci sono truppe dispiegate in tutta l'Africa Orientale. Obama ha anche firmato la legge nota come National Defense Authorization Act, appoggiata anche da John McCain, in cui si prevede l'arresto e la detenzione di civili, extra-procedurale e senza dovuto processo. Il sistema bipartitico ha smesso di funzionare per gli americani molto tempo fa. Da quando i Democratici ed i Repubblicani si sono rivelati inaffidabili; e allora per chi dovrebbero votare gli americani nell'Election Day? Esiste l'opzione di votare per il candidato di un terzo partito, ma questi altri partiti offrono davvero un'alternativa? Se si guardano da vicino le posizioni di questi partiti terzi, si scopre che hanno piattaforme simili a quelle dei 2 partiti maggiori. Per esempio - il Libertarian Party; che è fondamentalmente la versione giovanile del Partito Repubblicano. I Libertarians hanno la stessa retorica dei Repubblicani, entrambi vengono sostenuti dai Koch Brothers e dalla elite della business class ed esiste una relazione a porta girevole tra i 2 partiti. Le uniche differenze stanno nel fatto che i Libertarians dicono di essere più socialmente liberisti ed a favore della legalizzazione dell'uso delle droghe. L'ex-governatore repubblicano del Nuovo Messico, Gary Johnson (che ha vinto le primarie dei Repubblicani per le elezioni presidenziali del 2012). Proprio come Obama, Johnson sta promettendo la fine della guerra e di riportare a casa le truppe, ma in un dibattito elettorale ha detto: “Le nostre truppe oltremare sono la sola cosa che ci tiene al sicuro dai terroristi”. Se fosse davvero per la fine delle occupazioni d'oltremare in Iraq ed Afghanistan, Johnson avrebbe detto l'opposto di questa falsa affermazione. Egli promette anche di rimettere a posto l'economia. Come vuole fare uscire l'America dalla recessione? Per lo più esattamente come hanno fatto i Repubblicani: più tasse sulla sanità, deregolamentazione, mettere in paese sotto il controllo del grande business--la stessa idea di libero mercato che ci ha portato in questo casino! C'è anche il Green Party, il partito che più degli altri si occupa di ambiente. Hanno idee molto progressiste, ma anche se dovessero entrare alla Casa Bianca, le possibilità di portare avanti dei cambiamenti significativi sono molto esili.
Ogni voto che viene dato è un voto per tenersi un governo che è sempre lo stesso, corrotto! Se vi trovaste a giocare con qualcuno che continua a fare chiacchiere, non vi stufereste davvero di continuare a giocare? Se non sarà il voto ad aiutare i lavoratori americani, cosa allora? E' necessario rendersi conto di quanto contino poco le differenze dal momento che siamo nella stessa barca economica. Uniti potremmo lavorare per avere una migliore sanità, una migliore istruzione, per migliorare i nostri quartieri, per avere un ambiente più pulito, fonti di energia rinnovabili e più pulite e livelli di vita più alti. Il giorno delle elezioni presidenziali, milioni di americani non dovrebbero affollare i seggi, bensì occupare le strade e chiamare alle loro responsabilità le corporations, i politici corrotti a livello federale e locale, chiamare a rispondere dei loro crimini le grandi banche e costringerle a far vedere i loro bilanci! Le banche e le imprese dovrebbero essere occupate e tolte ai loro proprietari. Dovrebbero essere gestite democraticamente dai lavoratori e dalle comunità locali. Per fare questo, è necessario sviluppare un'azione militante di massa, con scioperi, disobbedienza civile, manifestazioni, attività sindacali, occupazioni di posti di lavoro e di scuole, ed in generale sollevare un putiferio.

La rivolta


La rivolta è una morale in azione, una filosofia della strada che si riconosce e si sviluppa ai bordi della storia. La rivolta mette a fuoco la realtà autorizzata, semina teoria della ribellione nel rovesciamento di forme e mitologie sovvenzionate dal mercato della verità ideologizzata. È un discorso che si sviluppa contro il certo, l’ideale, l’alchimia della politica e il terrorismo della Borsa. Il gesto estremo, a volte disperato dei ribelli, coglie nel coraggio di minoranze bastonate, carcerate, uccise, le tracce di una differente esistenza. La rivolta si apre al rischio di vivere pericolosamente il rapporto tra idea e azione.
Né dei né miti. La persona che si ribella e che poi tende al rivoluzionamento lo fa, come causa prima, in risposta ad esigenze ed emozioni in origine del tutto personali e di stretta contingenza alla sua condizione. Solo in un successivo, secondo tempo le sue medesime esigenze ed emozioni, incontrandosi, integrandosi, completandosi con analoghe situazioni reclamanti altre necessità e scaturenti da altrettante motivazioni, daranno luogo alla collettivizzazione dell’atto, che da rivoltoso si tramuterà così in rivoluzionario.
Occorre di mettersi di taglio alla costellazione della miseria delle democrazie formali. Infrangere lo spettacolo delle ideologie nelle teste di legno della società opulenta.
Bisogna tenere sempre presente che le istituzioni non sono sorte per caso, ma per compensare la debolezza di chi vi partecipa. E in questo assolvono una funzione storica. Ma ogni istituzione si fonda sul sacrificio dei suoi membri, si nutre di vita umana.
Si tratta quindi di porgere un invito a mordere, incamminarsi verso i giorni della gioia dove ogni individuo potrà sfoderare il proprio sogno nei colpi di ritorno contro i potentati che tengono le briglie e i giochi del proletariato arreso. Occorre muoversi nei percorsi accidentati del contrasto e andare a produrre un disordine linguistico/figurale dell’ordine apparente.
Cancellare dalla mente gli incubi di schiavo, per diventare il re dell’incubo, finalmente superiori a tutti gli altri, chiusi ciascuno nella sua superiorità. Diventare il produttore del film della propria vita.
Il rifiuto di essere schiavo è ciò che veramente cambia il mondo.


martedì 9 ottobre 2012

Perchè - (di Louise Michel)


Louise Michel (Vroncourt, 29 maggio 1830 - Marsiglia, 9 gennaio 1905), è stata una scrittrice, un'insegnante, una comunarda e un'anarchica francese.

"Anarchica, sono diventata quando siamo stati deportati in Caledonia e dovevamo sopportare i tormenti fisici.
Questo non ci impressionava, però. Nella nostra coscienza saremmo stati dei veri criminali se avessimo agito diversamente da come abbiamo fatto.
Piuttosto avremmo dovuto rimproverarci di non esserci strappati il cuore dal petto, perché in certe circostanze l’autocommiserazione è tradimento.
In ogni caso ci tenevano in gabbie come tigri e leoni, affinché noi ci pentissimo della nostra giusta lotta per la libertà. Volevano anche prendere ulteriori precauzioni contro "malfattori" come me. Nel corso di quattro mesi non vedemmo che cielo e acqua e solo di rado appariva all’orizzonte la vela bianca di una nave, come un uccello: queste immagini di estensioni immense mi toccavano profondamente. Avevamo molto tempo.
Dondolati dal ritmo leggero delle onde che si alzavano a volte come se due braccia le avessero prese e poi riscaraventate nelle profondità del mare, come la pasta nella madia. E il vento, che suonava tra le vele, cadeva ad intervalli molto brevi in bassi immensi, per poi rilanciarsi con un fischiare stridente; la nave gemeva tra le onde. Eravamo esposti agli elementi e c’era tempo per pensare.
Dato che paragonavo continuamente le cose, gli avvenimenti e le persone e poiché ho visto i nostri compagni della Comune all’opera, sono arrivata ben presto alla conclusione che addirittura gli onesti, una volta al potere, sono tanto incompetenti quanto i bricconi dannosi e vedevo l’impossibilità che la libertà si potesse associare con un potere qualsiasi. Il potere è maledetto: ecco perché sono anarchica.
Sentivo che una rivoluzione che prendesse una forma governativa qualsiasi non potesse essere che un’apparenza ingannevole potendo segnare solo un passo, ma non in grado di aprirsi completamente al progresso. Sentivo che le istituzioni del passato, che sembravano già svanite, rimanevano, solo con un’altra etichetta e che tutto nel vecchio mondo giacesse incatenato e rappresentasse perciò un tutt’uno che dovesse crollare nel suo insieme per lasciare spazio ad un mondo nuovo, felice, libero sotto i cieli.
Io sono quindi anarchica perché solo l’anarchia può rendere felici gli uomini e perché l’idea suprema che possa essere pensata dalla ragione umana è l’idea anarchica. Così come passano le epoche seguiranno progressi ancora sconosciuti. Non sanno poi tutti che ciò che può sembrare utopia ad una o due generazioni, potrebbe già verificarsi per la terza generazione?
Solo l’anarchia può rendere l’uomo cosciente perché solo essa lo rende libero, essa sarà allora il passo compiuto da un branco di schiavi verso una società umana.
Per ogni uomo, raggiunto il potere, lo stato non è che l’immagine speculare di se stesso, lo guarda come un cane guarda l’osso che sta masticando e solo per il suo vantaggio lo difenderà. Così come il potere rende duro, egoistico e crudele, allo stesso modo la schiavitù umilia. L’anarchia sarà quindi la fine della miseria spaventosa di cui da sempre soffre l’umanità. Essa sola non sarà una ripresa delle sofferenze; sempre di più attirerà i cuori colmi di giustizia ed autenticità per la lotta.
L’umanità vuole vivere e si rivolge all’anarchia nella lotta disperata per evitare l’abisso: questa sarà una scalata dura. Qualunque altra idea però, assomiglia alle pietre che scivolano via e all’erba che si calpesta scalando la montagna.
E non dovremmo combattere solo in modo coraggioso ma anche ragionevolmente. E’ arrivato il tempo che l’ideale, più grande e più bello di tutte le finzioni che lo hanno preceduto, si avveri in piena grandezza, affinché il popolo privato dei suoi diritti non abbeveri più col proprio sangue quella chimera ingannevole. Sì, per questo sono anarchica."


lunedì 8 ottobre 2012

Anarchici: che cosa vogliamo

Noi crediamo che la più gran parte dei mali che affliggono gli uomini dipende dalla cattiva organizzazione sociale, e che gli uomini volendo e sapendo, possono distruggerli.
La società attuale è il risultato delle lotte secolari che gli uomini hanno combattuto tra di loro. Non comprendendo i vantaggi che potevano venire a tutti dalla cooperazione e dalla solidarietà, vedendo in ogni altro uomo (salvo al massimo i più vicini per vincoli di sangue) un concorrente ed un nemico, hanno cercato di accaparrare, ciascun per sé, la più grande quantità di godimenti possibili, senza curarsi degli interessi degli altri. Data la lotta, naturalmente i più forti, o i più fortunati, dovevano vincere ed in vario modo sottoporre ed opprimere i vinti.
Fino a che l'uomo non fu capace di produrre di più di quello che bastava strettamente al suo mantenimento, i vincitori non potevano che fugare e massacrare i vinti ed impossessarsi degli alimenti da essi raccolti. Poi, quando con la scoperta della pastorizia e dell'agricoltura un uomo poté produrre più di ciò che gli occorreva per vivere, i vincitori trovarono più conveniente ridurre i vinti in schiavitù e farli lavorare per loro.
Più tardi, i vincitori si accorsero che era più comodo, più produttivo e più sicuro sfruttare il lavoro altrui con un altro sistema: ritenere per sé la proprietà esclusiva della terra e di tutti ì mezzi di lavoro, e lasciar nominalmente liberi gli spogliati, i quali poi non avendo mezzi di vivere, erano costretti a ricorrere ai proprietari ed a lavorare per conto loro, ai patti che essi volevano.
Così, man mano, attraverso tutta una rete complicatissima di lotte di ogni specie, invasioni, guerre, ribellioni, repressioni, concessioni strappate, associazioni di vinti unitisi per la difesa, e di vincitori unitisi per l'offesa, si è giunti allo stato attuale della società in cui alcuni detengono ereditariamente la terra e tutta la ricchezza sociale, mentre la gran massa degli uomini, diseredata di tutto, è sfruttata ed oppressa dai pochi proprietari.
Da questo dipendono lo stato di miseria in cui si trovano generalmente i lavoratori, e tutti i mali che dalla miseria derivano: ignoranza, delitti, prostituzione.
Da questo, la costituzione di una classe speciale (governo), la quale, fornita di mezzi materiali di repressione, ha missione di legalizzare e difendere i proprietari contro le rivendicazioni dei proletari; e poi si serve della forza che ha, per creare a sé stessa dei privilegi e sottomettere, se può, alla sua supremazia anche la stessa classe proprietaria.
Da questo, la costituzione di un'altra classe speciale (il clero), la quale con una serie di favole sulla volontà di Dio, sulla vita futura, ecc., cerca d'indurre gli oppressi a sopportare docilmente l'oppressione, ed al pari del Governo, oltre di fare gli interessi dei proprietari, fa anche i suoi propri.
Da questo, la formazione di una scienza ufficiale che è, in tutto ciò che può servire agl'interessi dei dominatori, la negazione della scienza vera.
Da questo, lo spirito patriottico, gli odi di razza, le guerre, e le paci armate talvolta più disastrose delle guerre stesse. Da questo, l'amore trasformato in tormento o in turpe mercato. Da ciò l'odio più o meno larvato, la rivalità, il sospetto fra tutti gli uomini, l'incertezza e la paura per tutti. Tale stato di cose noi vogliamo radicalmente cambiare.
E poiché tutti questi mali derivano dalla lotta fra gli uomini, dalla ricerca del benessere fatta da ciascuno per conto suo e contro tutti, noi vogliamo rimediarvi sostituendo all'odio l'amore, alla concorrenza la solidarietà, alla ricerca esclusiva del proprio benessere la cooperazione fraterna per il benessere di tutti, alla oppressione ed all'imposizione la libertà, alla menzogna religiosa e pseudoscientifica la verità. Dunque:
1. Abolizione della proprietà privata della terra, delle materie prime e degli strumenti di lavoro, perché nessuno abbia il mezzo di vivere sfruttando il lavoro altrui, e tutti, avendo garantiti i mezzi per produrre e vivere, siano veramente indipendenti e possano associarsi agli altri liberamente, per l’interesse comune e conformemente alle proprie simpatie.
2. Abolizione del governo e di ogni potere che faccia la legge e la imponga agli altri: quindi abolizione di monarchie, repubbliche, parlamenti, eserciti, polizie, magistratura ed ogni qualsiasi istituzione dotata di mezzi coercitivi.
3. Organizzazione della vita sociale per opera di libere associazioni e federazioni di produttori e di consumatori, fatte e modificate secondo la volontà dei componenti, guidati dalla scienza e dall’esperienza e liberi da ogni imposizione che non derivi dalle necessità naturali, a cui ognuno, vinto dal sentimento stesso della necessità ineluttabile, volontariamente, si sottomette.
4. Garantiti i mezzi di vita, di sviluppo, di benessere ai fanciulli, ed a tutti coloro che sono impotenti a provvedere a loro stessi.
5. Guerra alle religioni ed a tutte le menzogne, anche se si nascondono sotto il manto della scienza. Istruzione scientifica per tutti e fino ai suoi gradi più elevati.
6. Guerra alle rivalità ed ai pregiudizi patriottici. Abolizione delle frontiere, fratellanza fra tutti i popoli.
7. Ricostruzione della famiglia, in quel modo che risulterà dalla pratica dell’amore, libero da ogni vincolo legale, da ogni oppressione economica o fisica, da ogni pregiudizio religioso.
Questo il nostro ideale.
Dal programma anarchico di Errico Malatesta (1919)  

sabato 6 ottobre 2012

Libertà di parola di Elisee Reclus

E la libertà di parola? E la libertà d’azione? Non sono conseguenze dirette e logiche della libertà di pensiero? La parola è solo il pensiero divenuto sonoro, l’azione il pensiero divenuto visibile. Il nostro ideale comporta dunque per ognuno la piena e assoluta libertà di esprimere il proprio pensiero su ogni cosa scienza, politica, morale  senza altro limite se non quello del rispetto per gli altri; comporta anche il diritto di ognuno di agire come meglio gli aggrada, di fare ciò che vuole, pur associando ovviamente la propria volontà a quella degli altri uomini in tutte le opere collettive; la sua libertà individuale non si trova affatto limitata da questa unione, aumenta invece, grazie alla forza della volontà comune. Va da sé che questa assoluta libertà di pensiero, di parola e di azione è incompatibile con la conservazione di quelle istituzioni che pongono un limite alla libertà di pensiero, che fissano la parola sotto forma di impegno definitivo, irrevocabile, e pretendono anche di costringere il lavoratore a incrociare le braccia, a morire d’inedia per ordine di un padrone.
I conservatori non si sono affatto sbagliati quando hanno chiamato i rivoluzionari in  modo generico «nemici della religione, della famiglia e della proprietà». Sì, gli anarchici respingono l’autorità del dogma e l’intervento del soprannaturale nella vita umana; in questo senso, per quanto ferventi nella lotta per il loro ideale di fraternità e di solidarietà, sono nemici della religione. Sì, vogliono l’abolizione del mercimonio matrimoniale, vogliono le unioni libere che si reggono solo sul reciproco affetto, sul rispetto di sé e della dignità altrui; in questo senso, per quanto teneri e devoti verso coloro coi quali condividono l’esistenza, sono nemici della famiglia. Sì, vogliono eliminare l’accaparramento della terra e dei suoi prodotti per restituirli a tutti; in questo senso, la gioia che proverebbero nel garantire a tutti l’usufrutto dei beni della Terra ne fa dei nemici della proprietà.

Verso una più attraente e desiderante utopia

Al mondo dei bisogni creato dal capitale è necessario opporre il mondo nuovo che ci portiamo dentro. Questo mondo si fonda sulla praticabilità realizzativa dei nostri più propri desideri. Al giorno d’oggi pensiamo che non sia più valido dire semplicisticamente che sarà un dato modo di produzione a definire concretamente una società anarco-comunista. L ’atto del produrre, in senso libero, non può essere disgiunto dall’avvenuta soppressione del lavoro in quanto tale, verso una riscoperta del gusto artistico soppresso dalla produzione del consumo massificato. Vogliamo essere artisti e non semplici manovali-artigiani. Quindi, partiamo dalla reintegrazione in ciascun individuo di tutte le sue facoltà, manuali e intellettuali, trasformando l’attività umana in attività libera e creativa, in una parola, in attività artistica. Noi vogliamo realizzare la vita come arte, così non avremo più alcuna necessità di recarci ai musei, al cinema, al teatro, ecc. Concepiamo lo sviluppo produttivo, come un fine in se di accrescimento di libertà materiale, per se stessi e nel contempo per gli altri individui liberatisi dal peso delle costrizioni e rivolti esclusivamente, con passionalità, a praticare la realizzazione di tutti i propri singolari desideri.
Una società anarchica è, di per se stessa, comunista, essa sarà definibile una volta che noi ci saremo liberati dal peso di tutte le gerarchie interne ed esterne e avremo abbattuto tutti gli ordinamenti statali-capitalisti. Sarà definita quando ognuno sarà posto nella condizione materiale di potere seguire liberamente, senza alcuna ingerenza autoritaria, le sue particolari e inimitabili inclinazioni, fuori da tutti i tabù e da ogni genere di catene e inibizioni sociali.
E’ logico che questo modo di vedere la questione del vivere individuale e sociale porti a dar corso a nuove e più attraenti forme di vita liberata. Nella visione anarchica rivoluzionaria, il comunismo appare epurato da tutti i suoi più odiosi aspetti religioso-autoritari e viene quindi valorizzato criticamente nei suoi aspetti positivi, in quanto non mutila ne appiattisce la personalità dei singoli che comunitariamente lo mettono in pratica, ma, al contrario, il loro associarsi dà modo di esaltare qualitativamente le singole diversità.
In sostanza, l’utopia anarchica è un invito rivolto agli uomini per vivere la propria vita da protagonisti e non da anonime comparse, dentro il corso vivo degli avvenimenti interni ad una umanità non più popolata da fantasmi, ma da individui in carne ed ossa, divenuti finalmente consapevoli della necessità che l’unico ordine sociale che si può riconoscere è quello in armonia con il proprio movimento di vita, con la propria incessante ricerca di libertà e di desideranti orizzonti.
La vita, nel suo movimento, non ha alcun fine preordinato, siamo noi a riempirla di senso nel momento stesso in cui cerchiamo di viverla compiutamente.

martedì 2 ottobre 2012

Noi vogliamo ...



“Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, noi vogliamo che gli uomini affratellati da una solidarietà cosciente e voluta cooperino tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza (…)”.
Errico Malatesta