..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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domenica 30 maggio 2021

La disobbedienza civile di Henry David Thoreau

La «disobbedienza civile» di Thoreau fu un grido anarchico di autonomia individuale da qualsiasi forma di governo. In effetti, Thoreau ci dice di aver dichiarato la sua personale indipendenza dallo stato presentando al funzionario comunale la seguente dichiarazione: "Che tutti gli uomini sappiano con questo documento, che io, Henry Thoreau, non desidero essere considerato membro di alcuna società legalmente costituita a cui non ho deciso di aderire".

Che questa opera sovversiva rappresentasse una piena realizzazione della politica trascendentalista o semplicemente uno dei tanti sfoghi tipici di Thoreau, fu così provocatoria da diventare di importanza storica come nessun altro contributo del gruppo riuscì a fare, conferendo al movimento un'impronta ribelle che avrebbe lasciato traccia nelle generazioni future.

Il testo contiene audaci aforismi anarchici, così numerosi che vale la pena fermarsi per citarne alcuni:

- Approvo con tutto il cuore il motto: "Il miglior governo è quello che governa meno"... Una volta messo in pratica, esso equivale a quest’ altro, in cui pure credo fermamente: "Il governo migliore è quello che non governa affatto: e quando gli uomini saranno pronti a realizzarlo, questo sarà il tipo di governo che avranno".

- lo non sono responsabile del buon funzionamento della macchina della società.

- Quando m'imbatto in un governo che mi dice: "O i soldi, o la vita", perché dovrei affrettarmi a dargli i miei soldi?

- Esistono leggi ingiuste: dovremmo rallegrarci di obbedirvi, o dovremmo sforzarci di migliorarle? E inoltre, dovremmo ubbidire a queste leggi finché non siamo riusciti mi nostro intento, o dovremmo trasgredirle subito?

- Infatti, io dichiaro tranquillamente guerra allo Stato... nonostante continui a utilizzarlo e a trarne i possibili vantaggi...


sabato 29 maggio 2021

29 maggio 1931: fucilazione di Michele Schirru

L’anarchico Michele Schirru fu imputato e condannato a morte dal regime fascista, per aver avuto l’intenzione di uccidere Mussolini, in uno dei più plateali “processi alle intenzioni” impiantati dal Tribunale Speciale Fascista. Nato in Sardegna, a Padria, nel 1899, e vissuto a Pozzomaggiore (Sassari), dopo la Prima Guerra Mondiale, all’età di 16 anni emigra negli Stati Uniti, di cui ne diventa cittadino. Gestisce un negozio di frutta e verdura e frequenta gli ambienti anarchici.

Nel 1930 si decide di attentare a Mussolini. Schirru nel mese di febbraio parte per l’Europa e torna in Italia via Parigi. Comincia a studiare i percorsi del duce per preparare l’attentato. Non potendo attuare il suo proposito, per le difficoltà logistiche, ci rinuncia.

Probabilmente spiato dal regime, viene arrestato a Roma il 3 febbraio 1931; processato il 28 maggio, viene condannato a morte e sarà fucilato alla schiena il 29 maggio da un plotone di militari sardi offertisi volontariamente.

Scriverà il quotidiano di Cagliari L’Unione Sarda del 29 maggio 1931:

«Michele Schirru, anarchico, violento per natura, debosciato come tutti i rifiuti della società, scompare colpito dalla pena degli infami. Egli era nato nella nostra Isola, da una famiglia sarda; ma la Sardegna e la sua famiglia non devono arrossire per questo delinquente della specie più bassa. La Sardegna, fedelissima al Regime, non lo annovera più tra i suoi figli da molti anni… Era un senza-patria e un senza-famiglia, un negatore di tutte le più alte idealità, un sanguinario, un amorale che la Giustizia elimina dal consorzio degli uomini>.

Il testamento che segue, un testamento politico scritto prima del suo arrivo a Roma, fu considerato una prova a carico.

 

«Il fascismo come tutte le altre dittature e tirannie, mi ha sempre inspirato orrore. Mussolini, con le sue vigliaccherie, con le sue feroci persecuzioni di tutto un popolo, coi suoi cinismi brutali non aventi altro scopo che di conservargli il potere, io l'ho sempre considerato un rettile dei più dannosi per l'umanità. Le sue pose da Nerone, da boia, da carnefice di un popolo e della libertà che si gloria di strozzare e di calpestare, mi hanno sempre inspirato odio, odio e ribrezzo, non per l'uomo, che è poco più di mezzo quintale di carne flaccida e avariata, ma pel tiranno massacratore dei miei compagni, traditore di quei lavoratori che sino a pochi anni prima lo avevano sfamato. Questo odio accumulato da anni e anni di riflessione, compresso nel mio cuore di uomo libero, dovrà un giorno esplodere.

Fino al 1923 pensavo che per stroncare la tirannia bisognava stroncare il tiranno. La libertà non è un corpo putrefatto che si possa calpestare impunemente. La storia ci insegna che in tutti i tempi la libertà calpestata dai tiranni ha trovato difensori arditi. La tirannia assolda sicari; ma la libertà crea i vindici e gli eroi. E nessun esercito di sicari è mai riuscito a trionfare della volontà né ad arrestare la mano del giustiziere.

Ai primi di quest'anno venni in Europa col solo scopo di incontrare questo boia e ricordargli che la libertà è ancora più viva che mai, che ancora riscalda il cuore dei ribelli e li spinge al sacrificio, e che non è ancora spenta la buona vecchia razza degli anarchici che sanno vendicare le crudeltà e le torture inflitte ai propri compagni.

Nel maggio di quest'anno, in occasione dei viaggi clamorosi del tiranno nell'Italia settentrionale, e specialmente a Milano, cercai inutilmente di mettere in esecuzione il mio piano. Dovetti purtroppo constatare che non basta avere la volontà, occorre anche avere il mezzo adeguato per colpire. E vista l'inanità del mio sforzo, ripigliai la via dell'estero onde aver agio di prepararmi meglio e procurarmi il materiale che mi occorre per poter colpire bene e con sicuro effetto.

Oggi ritento la prova, certo di riuscire, certo che la vendetta cadrà inesorabile e provvidenziale sul mostro che, non contento del martirio inflitto a quaranta milioni di italiani, fra poco, sempre per libidine di potere, d'accordo con la monarchia sabauda, razza di traditori e di codardi, e con la complicità di tutti gli altri fascismi d'Europa, scatenerà su tutto l'uman genere il flagello sterminatore di una nuova guerra.

Il mio gesto non sarà delitto, perché riparazione di crudeltà senza numero e prevenzione di stragi ancora maggiori; non sarà assassinio perché volto contro una belva che d'umano non ha che l'apparenza: sarà un servizio reso all'umanità ed è dovere d'ogni uomo amante della libertà, d'ogni anarchico il compierlo.

Ma se io cadrò senza avere raggiunto il risultato che da tanti anni spero di raggiungere, sono sicuro che altri prenderà il mio posto. Ai tiranni non si perdona, non si deve dar tregua mai. Facciamo nostro il motto del tiranno stesso: «rendere la vita impossibile ai nemici». Nessuno più di lui è nemico del genere umano. Ebbene, noi dobbiamo cercare con tutti i mezzi ed in tutti i luoghi, di rendere la vita impossibile tanto al boia che ai suoi tirapiedi. Ce lo impongono le esigenze della lotta. La tirannia muove alla libertà una guerra spietata, senza tregua. Noi non abbiamo soltanto il diritto, ma anche il dovere di difendere nella libertà i destini dell'umanità. Accettiamo la sfida e la vittoria sarà nostra.

E se nell'opera del vindice esiste un merito, se alla sua memoria hanno da tributarsi glorificazioni; se io riuscissi nel mio disegno, quel merito non sarà stato mio, ma dell'idea che mi ha sempre animato, che mi assiste e mi incoraggia ad osare, che mi insegna quanto si deve amare la libertà, quanto si deve odiare la tirannia. Senza questa idea sarei anch'io una delle tante pecore del gregge che dà tutta la lana che può dare; senza di essa sarei uno qualunque della folla che vive alla giornata sopportando rassegnato tutte le peggiori oppressioni. Ad essa idea quindi i meriti e le glorificazioni.

L'ideale anarchico che educa l'individuo alle sublimi bellezze dell'amore sconfinato, della solidarietà sociale, della giustizia e della libertà integrali, è anche animatore dello spirito di vendetta contro il male e di distruzione per tutto ciò che è obbrobrio e vergogna. E il fascismo col suo capo sanguinario, con la sua monarchia fedifraga, è la vergogna e l'obbrobrio insieme del nostro tempo.

Questo nobile ideale anarchico ch'è tanta parte di me, ha dato molti martiri per la libertà, un grande numero di eroici giustizieri. Io non dubito che anche questa volta saprà far giustizia del macabro despota di Roma.

Se riuscirò nei miei intenti, veglino gli anarchici tutti perché alla demagogia politica sempre pronta a trar profitto del sacrificio altrui, non sia lecito travisare i meriti che avrà il gesto che sto per compiere, gesto che non può essere che anarchico. Veglino perché non si tenti di toglierne di fronte agli uomini e di fronte alla storia, l'onore e la gloria all'alto ideale che lo ispira e che, in quest'ultima tappa del mio cammino, è il solo viatico della mia coscienza: l'Anarchia».

 

Dicembre 1930.

venerdì 28 maggio 2021

150 anni fa … Riflessioni sulla Comune (parte 9)

 Insegnamenti (2)

  

La Comune è stata la più grande festa del 19° secolo. Alla base di essa si trova la convinzione degli insorti di essere divenuti padroni della loro propria storia.

La Comune non ha avuto capi. E questo in un periodo storico nel quale l’idea che fosse necessario averne dominava completamente il movimento operaio.

L'esperimento della Comune di Parigi rimane, nonostante la sconfitta, un'esperienza assolutamente valida per gli insegnamenti che da essa possono trarre anche le attuali forze rivoluzionarie. Un filo ideologico parte infatti dalla Comune e la lega all'occupazione armata delle fabbriche in Italia agli inizi del ‘900, alla lotta dei Machnovisti in Ucraina, alla ribellione di Kronstadt, all'autogestione e alle Comuni agricole organizzate dalla CNT-FAI in Spagna durante la guerra civile, alla comunità La Cecilia nello stato brasiliano del Paranà fino ad arrivare a Cristiania in Danimarca.

Tale filo conduttore si determina in una parola, in una esperienza storica in cui si configura l'essenza stessa del socialismo: autogestione. Autogestione a tutti i livelli da parte del popolo in lotta, di ogni strumento rivoluzionario e di organizzazione sociale.

Marx nel 1871 fu costretto dalla forza degli eventi a sottoscrivere in termini entusiastici il federalismo anarchico dei Comunardi proprio mentre, in seno all'Internazionale, tendeva invece a centralizzare, all'interno del Consiglio Generale di Londra, la struttura del movimento operaio contrapponendosi ai bakuninisti. Così il Lenin pseudo-libertario di «Stato e Rivoluzione» fortemente influenzato dal movimento libertario che si sviluppava sul territorio sovietico, assume un'ambiguità sconcertante circa la concezione della società rivoluzionaria, salvo poi a rimangiarsi tutto, riproponendo i termini del «centralismo democratico», ponendo così le basi della involuzione politica del movimento proletario russo, dello sterminio di tanti compagni sinceramente rivoluzionari, dello stalinismo e del revisionismo contemporaneo, come logica conseguenza di ogni struttura burocratica e gerarchica.

Così fallisce l'esperienza centralizzatrice del Partito rivoluzionario come astrazione dalla classe operaia allo stesso modo che lo Stato lo è nei confronti della società.

È questa l'indicazione che nasce dall'esperienza comunarda.

È questa la concreta proposta di «azione diretta» che gli anarchici, i sinceri rivoluzionari con le loro lotte autonome, autogestite, continuamente slegate dai vertici sindacali e dai partiti riformisti traditori della classe operaia, fanno oggi a tutto il movimento popolare anticapitalista, antimperialista e antirevisionista contemporaneo, sulla traccia libertaria iniziata nel 1871 con la Comune di Parigi.

Se si pensa che tutto questo ed altro, specie nel campo dell’istruzione, delle biblioteche, della lotta contro la chiesa, della propaganda a mezzo dei giornali, fu compiuto in appena 72 giorni, ci si rende conto che la produttività fu massima e che ognuno fece quando ha potuto ed anche di più. Ci furono, naturalmente, delle eccezioni che vennero comunque circoscritte ed eliminate dall’incarico.

È proprio questo il principio che ha retto la Comune e che deve reggere il fondamento di qualsiasi rivoluzione proletaria e della successiva organizzazione: la delega in base alla funzione, non più in base al titolo, al casato o all’acquisto di consensi, di voti, ma soltanto in base alla funzione; naturalmente con la premessa indispensabile della removibilità.

In questo si vede il più alto insegnamento della Comune, in quanto si vede l’indirizzo anarchico e l’organizzazione libertaria della Comune parigina che fu spontanea, senza organizzazione partitica o di gruppi organizzati, senza capi; socialista, anarchica, fatta di uguali, dove ci furono si delle deleghe, ma fatte con consenso popolare ed in qualsiasi istante revocabili sempre col volere del popolo.

Questo fenomeno, in quella sede, non fu che un lampo appena (in altre sedi successive, come in Ucraina dal 1917 al 1921 e in Spagna nel 1936, l’esperimento poté durare più a lungo), ma ci da la speranza e soprattutto la convinzione che un giorno non lontano l’esperimento possa passare a fatto definitivo.

Tutti noi dobbiamo raccogliere e riplasmare l’eredità spirituale e materiale della Comune di Parigi, non dimenticando la sua gente: donne, uomini e anche giovani morti con la speranza di averci dato un insegnamento: si può, si deve creare un mondo nuovo. Anche se ultimamente diminuita, la volontà della massa operaia non manca, la sua capacità produttiva è sempre più ampia, la sua rottura con le ristrette cerchie degli sfruttatori capitalisti continua ad essere decisa; resta solo di evitare che una nuova marea di oratori, di letterati, di sognatori in buona e in mala fede, riesca a montare all’assalto della realtà rivoluzionaria, … il resto non tarderà a venire.

 

La conquista del cielo è possibile!




martedì 25 maggio 2021

Salari, prezzi e mercati

 

"Da troppi anni ormai assistiamo alla impotenza dei governi nel determinare un certo equilibrio tra prezzi e salari: partiti, sindacati. associazioni. gruppi parlamentari, cooperative, non hanno mai studiato sufficientemente il problema ed ogni qualvolta si sono stentatamente  mossi è avvenuto l'urto con la dura resistenza degli speculatori e degli uomini che dal potere li favoriscono. Sempre quelle battaglie sono rimaste senza pratica efficacia; sempre i cartellini dei prezzi e le tariffe dei servizi hanno segnato e segnano inesorabilmente la sconfitta dei consumatori e la vittoria degli speculatori. Ciò significa che abbiamo sempre battuto una falsa strada, usato un metodo inefficace. Quel poco che stato ottenuto è il risultato di un'azione accorta e tenace dei consumatori stessi.

Per determinare l'andamento del costo della vita è sufficiente incoraggiare o scoraggiare la speculazione: per incoraggiarla basta il lasciar fare; per scoraggiarla basta che si abbia la convinzione di trovarci di fronte ad una opinione pubblica avvertita e allarmata. La via giusta da seguire è l'azione diretta dei consumatori - da non confondere con l'azione diretta dei lavoratori, che è altra cosa-. In questa azione, nessun organismo od ente estraneo deve intervenire: né partiti, ne sindacati, né associazioni tipo di ogni genere. Solo i consumatori in quanto tali formano l'opinione pubblica interessata, e sono milioni, e fra questi nessuna intrusione politica deve intervenire, per evitare che nella compagine si creino contrasti di partito che la manderebbero in frantumi, compromettendo tutto. E ciò perché l'obiettivo resti quello e non altro da cui affiorino speculazioni di partito o sindacali. Gli anarchici dovrebbero in ogni località lanciare questa idea, farla circolare ovunque: nei luoghi di lavoro, nelle case, nei ritrovi; dovrebbero procurarsi degli alleati (individui e come  tali), promuovere assemblee di caseggiato, di rione. animare le massaie, far parlare la stampa, organizzare manifestazioni davanti ai mercati e alle prefetture, boicottare gli esercenti esosi. far gridare alla piazza il basta tanto desiderato, da tutti invocato ma da nessuno finora detto con risoluta energia".

(Umberto Marzocchi, Umanità Nova, 26 luglio 1969)

domenica 23 maggio 2021

150 anni fa … Riflessioni sulla Comune (parte 8)

 Insegnamenti (1)

 

La Comune, fu una «leva» per distruggere le basi economiche su cui si appoggia l'esistenza delle classi, e quindi il dominio di classe; fu anche una «leva» per distruggere lo Stato che si regge su quelle basi. E, d'altra parte, che Stato sarebbe quello in cui l'esercito permanente scompare, la polizia finisce di avere il compito repressivo, la Chiesa viene resa autonoma e non parassita, i funzionari revocabili in ogni momento, i salari uguali a quelli operai, l'istruzione gratuita ecc.? Che Stato sarebbe uno stato che ormai ha perso ogni attributo tipico di esso? Ecco il significato della parola estinzione: con la Comune lo Stato si sarebbe estinto, ma non per fare posto ad un altro organismo repressivo, che poi altro non sarebbe che un'altro Stato, la macchina statale sarebbe stata spezzata in maniera definitiva solo per lasciare che la società civile, che gli operai, i contadini e il popolo in genere si governassero da se, senza nessuna delega (come è intesa oggi) né sottomissione.

Ecco il perché del significato profondo dell’esperienza della Comune, il perché una sconfitta della classe operaia viene ancora oggi celebrata.

ll nazionalismo che caratterizzava gli operai francesi prima della rivoluzione del 18 marzo non era certo un elemento rivoluzionario in se, anzi poteva essere considerato un puntello, un fattore per stringere attorno alla borghesia guerrafondaia tutta la nazione francese e fare così passare in secondo piano le contraddizioni interne che opponevano gli operai ad essa. Si poteva rivelare un supporto per la politica espansionistica di Luigi Bonaparte il quale tentava, con un vecchio stratagemma caro alle classi dominanti, di unificare il paese contro il nemico esterno e così superare le difficoltà interne con un bagno di sangue, naturalmente, di proletari e operai.

Non fu così: borghesia e burocrazia si rivelarono incapaci non solo di risolvere le contraddizioni sociali, ma anche di condurre una guerra, tale era il disfacimento e la decadenza in cui ormai versavano. La guerra, che doveva salvarle dalla rivoluzione sociale, si stava per rivelare la loro tomba, ed il nazionalismo, di cui prima avevano gioito, in una trappola mortale. Tanto più pericolosa quanto più essi cercavano di soffocarlo, fino a quando non furono costretti. a gettare la maschera e a concludere un armistizio. Il loro nemico ormai non era più il prussiano, ma il parigino armato non solo del fucile ma di una coscienza rivoluzionaria che solo nella lotta si era potuta sviluppare.

La Comune ci ha fatto capire che da una parte bisogna abolire la vecchia macchina repressiva dello Stato, e dall'altra che bisogna assicurarsi contro i propri deputati e impiegati, dichiarandoli senza nessuna eccezione e in ogni momento revocabili. Non si tratta, quindi, di trasferire da una mano all'altra il potere dello Stato, di mettere al posto dei vecchi burocrati altri burocrati che dovrebbero fare gli interessi del popolo, ma che poi finiranno per fare solo i propri. Il popolo deve spezzare, demolire la macchina statale e non limitarsi semplicemente ad impossessarsene. Ma spezzare e demolire lo stato non significa costruirne uno nuovo, o uno proletario (come intendevano Marx o Lenin con la loro «dittatura del proletariato»), in sostituzione di quello vecchio. Per Stato non si intende solo lo stato borghese, ma ogni tipo di Stato, anche quello «popolare». Non fu dunque una rivoluzione contro la forma di potere statale legittimista, costituzionale, repubblicano, imperiale, la Comune fu una rivoluzione contro ogni tipo di Stato.

Questo é l'insegnamento principale della Comune e questa era la strada verso la quale essa si stava avviando se la borghesia non avesse prematuramente soffocato il suo tentativo.

Il diritto uguale di tutti ai beni e alle gioie di questo mondo, la distruzione di ogni autorità, la negazione di ogni freno morale, ecco, se si scende alla radice delle cose, la ragion d’essere dell’insurrezione del 18 marzo. Là “il socialismo rivoluzionario ha tentato una prima manifestazione magnifica e pratica (Bakunin)”.

Coloro che parlano di rivoluzione e di lotta di classe senza riferirsi esplicitamente alla vita quotidiana, senza comprendere ciò che vi è di sovversivo nell’amore, nella fratellanza, nella cooperazione, nella divisione dei beni e di positivo nel rifiuto radicale di tutte le costrizioni, si riempiono la bocca di escrementi.

venerdì 21 maggio 2021

Terra e libertà per il popolo palestinese

 

Palestina libera

Palestine libre

Free Palestine

Freies Palästina

Palestina libre

Palestina livre

Δωρεάν Παλαιστίνη

فلسطين حرة

ןשחררו את פלסטי

Filistîna azad

Palestina askea

Palestina lliure

Libera Palestino

Palestine an-asgaidh

無料のパレスチナ

自由巴勒斯坦

Palestina Am Ddim

Vapaa Palestiina

स्वतंत्र फिलिस्तीन

An Phalaistín Saor

Palestine Koreutu

Свободная Палестина

Falastiin oo xor ah

Befria Palestina

ฟรีปาเลสไตน์

Özgür Filistin

פּאַלעסטינע פריי

IPalestine yamahhala

Palestina Huru

 













 

Si dice che quando un disequilibrio economico o politico non può diventare guerra diventa crisi. La Palestina è quel territorio dove lo Stato d'Israele ha costruito una esteriorità interna su cui scaricare ogni crisi, in cui ogni crisi diventa guerra.

E quindi a più di un anno dall'inizio della crisi pandemica, con l'evidente gestione etnica della stessa, ecco che riparte l'aggressione al popolo palestinese, questa volta tra le strade di Gerusalemme per poi diffordersi a tutti i territori occupati fino a minacciare l'intervento militare nella Striscia di Gaza che da giorni fa nuovamente i conti con le decine di morti quotidiani per i bombardamenti. Torna subito alla mente l'operazione Piombo Fuso che nel dicembre 2008 si inseriva nel quadro di un'altra crisi, quella finanziaria globale.

La crisi poi è anche quella del quadro istituzionale, tanto israeliano quanto palestinese. In Israele si sono celebrate da poco le quarte elezioni in due anni che non sono comunque state in grado di consegnare un governo al paese. Sembrava che per la prima volta da più di un decennio ci potesse essere un cambio di leadership, con il premier Benjamin Netanyahu appesantito da tre accuse di corruzione, e una complessa frammentazione del panorama politico. Ma gli scontri delle ultime settimane, con l'evidente intento di solleticare la pancia dell'ultradestra e dei movimenti dei coloni, hanno sortito il loro effetto. Oggi il leader della formazione Yamina, Naftali Bennet, ha sostanzialmente annunciato che sosterrà Netanyahu nella formazione di un nuovo governo.

Allo stesso tempo lo scenario politico palestinese sta vivendo una nuova trasformazione. Se le accuse di corruzione e complicità con gli israeliani rivolte ad Al Fatah hanno visto un sotanziale deteriorarsi della credibilità politica di Abu Mazen e della sua consorteria politica, allo stesso tempo anche Hamas, per quanto salda al controllo della Striscia di Gaza, sembrava stare vivendo negli ultimi anni una crisi di leggittimità. Nuove opzioni iniziavano a palesarsi come quella la lista Hurriyah (Libertà), guidata da Barghouti (uno dei leader della prima e della seconda Intifada tuttora in carcere). Tanto che alla fine le elezioni previste per il 22 maggio, le prime in 15 anni, a cui tra l'altro si erano iscritti oltre il 90% dei palestinesi, sono state infine rinviate. 

La novità sta anche nelle dinamiche dal basso che si sono date: le proteste contro lo sfratto delle famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah, le notti di scontri sulla Spianata delle Moschee e il diffondersi di mobilitazioni in tutte le località della Palestina con una forte presenza araba hanno dimostrato una vivacità e un'indisponibilità dei settori popolari che non si vedeva da tempo e che alcuni avevano già archiviato come processi ormai storicizzati concentrandosi unicamente sul conflitto nei pressi della Striscia di Gaza.

In questa guerra come politica, in questo sporco gioco poi ad essere ulteriormente vomitevoli sono le reazioni internazionali con la politica italiana che si allinea bipartisan sotto la bandiera d'Israele sporca di sangue palestinese e la leadership europea che assiste imbarazzata condannando le violenze "da entrambe le parti", ponendosi persino alla destra di Biden che reputa "eccessiva" la reazione israeliana. 

È necessario come non mai dunque prendere posizione in questo conflitto, leggerlo alla luce dell'attualità e delle tendenze che mostra, ed essere consapevoli che la lotta palestinese per la vita e la dignità è anche la nostra lotta, la lotta di chiunque si oppone a questo modello di sviluppo e di organizzazione sociale in piena decadenza.


giovedì 20 maggio 2021

La libertà di abitare

Oggi coloro che difendono la propria libertà di abitare o sono molto ricchi o vengono trattati come devianti.

Questo vale sia per quelli a cui il cosiddetto 'sviluppo' non ha ancora fatto dimenticare il desiderio di abitare, sia per le frange alternative, alla ricerca di nuove forme di abitazione tali da rendere il paesaggio industriale abitabile, almeno nei suoi punti deboli e di frattura. Sia i non modernizzati sia i post-moderni si oppongono al divieto della società all'autodeterminazione spaziale, e dovranno fare i conti con la repressione poliziesca del disturbo che creano. Saranno definiti invasori, occupanti illegali, anarchici e disturbatori, secondo le circostanze in cui affermano la propria libertà di abitare: indios che si installano in un terreno incolto a Lima; "favellados" di Rio de Janeiro che ritornano a occupare la collina da cui sono appena stati cacciati dalla polizia (dopo averla abitata per quarant'anni); studenti che sanno trasformare in abitazioni le rovine del Kreuzberg a Berlino; portoricani che con la forza tornano a occupare gli edifici bruciati e murati del South Bronx. Saranno tutti sloggiati, non tanto per il danno che arrecano al proprietario del terreno o perché rappresentino una minaccia per la pace o per la salute dei vicini, ma per la sfida che lanciano all'assioma sociale che definisce il cittadino come unità che ha bisogno di un garage standard.

Sia la tribù di indios che scende dalle Ande per installarsi nei sobborghi di Lima, sia il consiglio di quartiere che si dissocia dall'ente cittadino preposto all'edilizia, sia gli squatter che contestano il modello oggi dominante del cittadino come Homo castrensis, (uomo acquartierato). Ma la sfida dei nuovi arrivati e quella dei disinseriti (unpluggers) provocano reazioni opposte. Gli indios si possono trattare da pagani, che debbono essere educati ad apprezzare la cura materna che lo stato si prende del loro bisogno di un tetto. Il disinserito moderno è molto più pericoloso: egli offre testimonianza degli effetti castranti del materno abbraccio della città. A differenza del pagano, questo eretico contesta l'assioma della religione civica sottostante a tutte le varie ideologie che solo superficialmente si contrappongono fra loro. Secondo questo assioma, il cittadino in quanto homo castrensis ha bisogno della merce chiamata "alloggio", Il suo diritto all'alloggio è sancito dalla Legge. il disinserito non si oppone a questo diritto, ma contesta le condizioni concrete in cui il diritto all'alloggio è in contrasto con la libertà di abitare. E questa libertà è per lui, quando vi è conflitto fra le due cose. più preziosa della merce alloggio, che per definizione è scarsa.

lunedì 17 maggio 2021

150 anni fa … Riflessioni sulla Comune (parte 7)

 La violenza

 

Bertolt Brecht, nel dramma I giorni della Comune, fa chiaramente intendere che una delle principali cause della sconfitta è stata l'incapacità (prevalentemente ideologica). dei Comunardi di contrapporre al terrore della borghesia il terrore del proletariato. Egli mette in bocca a Varlin queste parole pronunciate al Consiglio della Comune: “Cittadini delegati, si dice che le donne dei soldati di Versailles piangano, ma le nostre non piangono. Volete abbandonarle impotenti nelle mani di un nemico che non ha mai indietreggiato davanti alla violenza? Qualche settimana fa si è detto: le operazioni militari non sono necessarie, Thiers non ha truppe, sarebbe la guerra civile sotto gli occhi del nemico. Ma la nostra borghesia non ha esitato a legarsi col nemico della nazione, per condurre contro di noi la guerra civile. Da questo nemico la borghesia ha ricevuto delle truppe: contadini della Vandea che erano caduti in prigionia, forze fresche, cui non è potuta arrivare la nostra parola. Nessun conflitto fra due borghesie potrà mai impedir loro di unirsi immediatamente contro il proletariato dell'una o dell'altra: Si è anche detto: niente terrore! Che diventerebbe altrimenti l'epoca nuova? Ma Versailles esercita il terrore e ordinerà un massacro generale, così che nessuna epoca nuova possa avere inizio. Se saremo sconfitti, sarà per la nostra indulgenza, che è sinonimo di ignoranza. Cittadini, vi scongiuro, impariamo finalmente dal nemico!

Si direbbe che mentre tanti Comunardi, che pur hanno dimostrato di sapersi battere eroicamente, sono rimasti vittime delle proprie ideologie utopistiche, cosicché, ancora sulla soglia del tragico finale, discutono sulla violenza, e c'è chi gridava: “è una bestemmia” al blanquista[2] Raoul Rigault che dichiarava: “esigo solo terrore contro terrore”, le donne della Comune, che da sempre conoscevano l'incommensurabile violenza del potere, ritenevano del tutto normale che solo col fucile si possa vivere liberi. Quanto avessero ragione, lo si è visto alla conclusione della tragedia, quando le truppe di Versailles son potute penetrare a Parigi, ed è incominciata la così detta Settimana sanguinante (cui Brecht fa assistere, da Versailles con i binocoli, la classe al potere, che esclama estatica: “quale sublime spettacolo!”).

sabato 15 maggio 2021

Il destino dell’energia

 

L'energia è una sorta di proiezione fantastica che alimenta tutti i sogni industriali e tecnici della modernità ed è essa inoltre a flettere la concezione dell'uomo nel senso di una dinamica della volontà. Sappiamo tuttavia, grazie all'analisi dei fenomeni di turbolenza, di caos e di catastrofe nella fisica più recente, che qualunque flusso, qualunque processo lineare, quando lo si accelera, assume una curvatura strana che è propria della catastrofe.

La catastrofe che ci attende non è quella di un esaurimento delle risorse. Di energia, in tutte le sue forme, ce ne sarà sempre di più, almeno entro una scadenza temporale al di là della quale non siamo più umanamente interessati. L'energia nucleare è inesauribile, l'energia solare, quella delle maree, dei grandi flussi naturali, quella stessa delle catastrofi naturali, dei sismi o dei vulcani, tutta è inesauribile (ci si può fidare dell'immaginazione tecnica).

La cosa drammatica, invece, è la dinamica dello squilibrio, l’impazzimento del sistema energetico stesso che può produrre una sregolazione micidiale a scadenza molto breve. Abbiamo già avuto alcuni esempi spettacolari delle conseguenze della liberazione dell'energia nucleare (Hiroshirna e Chernobyl), ma qualunque  reazione a catena, virale o radioattiva, è potenzialmente catastrofica.

Nulla ci protegge da un'epidemia totale, neppure le murate che circondano le centrali atomiche. Potrebbe anche essere che l'intero sistema di trasformazione del mondo da parte dell'energia sia entrato in una fase virale ed epidemica, corrispondente a ciò che in fondo l'energia per essenza: un dispendio, una caduta, un differenziale, una catastrofe in miniatura, che produce dapprima effetti positivi ma che poi, superata dal suo stesso movimento, prende le dimensioni di una catastrofe globale.

Si può considerare l'energia come una causa che produce degli effetti, ma anche come un effetto che si riproduce da sé e quindi cessa di obbedire a qualunque causalità. Il paradosso dell'energia consiste nel fatto di essere, al tempo stesso, una rivoluzione delle cause e una rivoluzione degli effetti, quasi indipendenti l'una rispetto all'altra, e diventa il luogo non solo di un concatenamento

delle cause, ma di un concatenamento degli effetti.

L'energia è una surfusione. L'intero sistema di trasformazione del mondo entra in surfusione. Da variabile materiale e produttiva l'energia diventa un processo vertiginoso che si alimenta da se stesso (il che d'altra parte è la ragione per cui non rischia di venir meno).

mercoledì 12 maggio 2021

150 anni fa … Riflessioni sulla Comune (parte 6)

 Gli uomini e i gruppi politici (2)

 

Un altro gruppo numeroso era rappresentato dai blanquisti i quali possedevano un'efficienza non facilmente riscontrabili in altri gruppi. Erano nella maggioranza socialisti per istinto rivoluzionario: così si comprende come nel campo economico furono da loro trascurate parecchie cose. Non si concepisce, ad esempio il sacro rispetto che li caratterizzò davanti alle porte della Banca di Francia. Essi comunque si preoccuparono esclusivamente dall'azione insurrezionale e dei metodi di lotta rivoluzionari; ponevano in primo piano la necessità della conquista del potere politico. Educati alla scuola della cospirazione, ritenevano che un numero relativamente piccolo di uomini decisi ed organizzati ferreamente potesse impadronirsi del potere e mantenerlo fino a quando non fosse riuscito a lanciare la massa del popolo nella rivoluzione, e una volta impadronitisi del potere, avrebbero instaurato un governo dittatoriale, necessario per stroncare ogni opposizione e, insieme, per attirare a sé le masse popolari. Erano, quindi, i fautori dell'accentramento più energico e dittatoriale. “Il comunismo non si realizza con i decreti (aveva scritto Blanqui) ma sulla base di decisioni prese volontariamente dalla nazione stessa, e queste decisioni possono avvenire solo sulla base di una larga diffusione dell'istruzione”. Tra i blanquisti parteciparono attivamente alla Comune: Casimir Bouis, Frédéric Cournet, Gaston Da Costa, Émile Eudes, Théophile Ferré, Gustave Flourens, Ernest Granger, Alphonse Humbert, Victor Jaclard, Eugène Protot, Raoul Rigault, Gustave Tridon, Édouard Vaillant. Per fortuna, malgrado fossero la maggioranza, non ebbero influenza nella Comune. Essi furono responsabili degli atti e delle azioni politiche, mentre dei decreti economici furono responsabili in prima linea gli anarchici, comprendendo sotto questo nome i bakuniani e i proudhoniani.

In Francia erano molto diffuse le teorie proudhoniane, secondo le quali occorreva conciliare lavoro e capitale. Ogni cittadino doveva essere un produttore di beni, “un uomo libero, un vero signore che agisce per propria iniziativa e sotto la sua personale responsabilità, sicuro di ricevere per il proprio prodotto e per i suoi servizi la giusta remunerazione”.

Una banca popolare avrebbe elargito credito a basso interesse ai produttori di merci il cui valore sarebbe stato determinato dal tempo di lavoro necessario a produrle. I prodotti sarebbero andati al mercato e i produttori avrebbero ricevuto un numero di buoni equivalenti alle ore lavorate, con i quali avrebbero potuto comperare merci e servizi a loro necessari. In questo modo ciascuno avrebbe ricevuto il giusto compenso per il proprio lavoro e avrebbe acquistato al giusto prezzo i prodotti altrui. Questo, chiamato da Proudhon mutualismo, è “un sistema d'equilibrio tra le forze libere, in cui a ogni forza sono assicurati eguali diritti, a condizione che adempia eguali doveri; e a ogni forza è data la possibilità di scambiare servizi con servizi corrispondenti”.

I proudhoniani erano nemici dello Stato e immaginavano la nazione organizzata in una federazione di città: “ogni gruppo etnico, ogni razza, ogni nazionalità ha il pieno dominio del proprio territorio; ogni città, fidandosi della garanzie dei vicini, ha il pieno dominio della zona che entra nel suo raggio d'azione. L'unità non è assicurata da leggi, ma soltanto dagli impegni che i diversi gruppi autonomi assumono reciprocamente». Ogni comune doveva essere sovrano: “il comune ha diritto all'autogoverno, all'amministrazione, alla riscossione dei tributi, alla disponibilità della sua proprietà e delle sue imposte. Ha il diritto di costruire scuole per la sua gioventù, di nominare gli insegnanti, di avere la sua polizia, i suoi gendarmi e la sua Guardia Nazionale; di designare i giudici, di avere giornali, di tenere assemblee, di possedere società private, imprese, banche”.

Tuttavia i seguaci di Proudhon non costituivano un folto gruppo, ma tra di essi ricordiamo: Augustin Avrial, Charles Beslay, François Jourde, Charles Longuet, Benoît Malon, Albert Theisz, Eugène Varlin, Auguste Vermorel.

Altri elementi di spicco della rivoluzione parigina furono l'ex garibaldino e anarchico Amilcare Cipriani, il pittore Gustave Courbet, gli anarchici André Léo, Gustave Lefrançais, Louise Michel ed Élisée Reclus.

Non bisogna dimenticare che la Comune coincide con la fase più acuta del conflitto Marx-Bakunin in seno alla 1ª Internazionale e che le sezioni francesi di quest’ultima erano nettamente orientate a favore del secondo il quale, sebbene non fosse presente, aveva a Parigi, tramite Varlin e i suoi amici, molta influenza, non nel senso che a Parigi si aspettavano sue direttive, ma che ci si ispirava a lui e al suo collettivismo nel prendere le più importanti iniziative economiche,

Certo è, comunque, il fatto che né Marx né Engels ebbero alcuna influenza sulla Comune. Engels scrisse in seguito a Sorge: “l’Internazionale non ha mosso un dito per favorire la Comune”. Varlin, è vero, era uno dei due segretari del comitato federale parigino dell’Internazionale, ma non fu in tale qualità che lavorò per la Comune. I verbali delle sedute del Consiglio Federale non contengono quasi accenno del movimento che poi sfociò nella Comune. Qualcuno dei membri influenti dell'Internazionale prese certo parte attiva all’instaurazione di essa, ma il Consiglio Generale di Londra, di cui faceva parte Marx, non mosse davvero un dito.

Bakunin non prese parte alla preparazione: dopo il fallimento dell’insurrezione a Lione. tutte le speranze da lui riposte nella Francia si erano affievolite. per non dire annullate: “non ho più alcuna fiducia nella rivoluzione in Francia, questo paese non è più per nulla rivoluzionario” disse. Ciò nonostante egli era ancora dell`avviso che solo “la rivoluzione sociale avrebbe potuto salvare il popolo francese”. Ma i suoi amici e seguaci questa volta non lo ascoltarono: se a Lione si era fallito. ciò era dovuto al fatto che non ci si era preparati a sufficienza: per questo i parigini non erano ancora insorti e stavano preparando la loro rivoluzione. La battaglia era imminente: essi mettevano ordine alle loro fila.

Il 18 Marzo il momento nazionalista era ormai completamente superato, il popolo parigino ormai aveva fatto una netta distinzione tra borghesia e classi sfruttate ed era giunto alla consapevolezza, non più istintiva, ma ideologica, della contrapposizione fra i propri interessi e quelli della classe dominante: lo dimostra il fatto che la Comune, in uno dei suoi primi proclami, dichiarò che le spese di guerra dovevano essere pagate da coloro che erano stati i veri autori di essa. Si era compreso come dietro lo «Stato» francese che combatteva contro lo Stato prussiano, non stessero tutti i francesi, ma solo la borghesia.

Ma come era avvenuta questa crescita di coscienza nelle masse? Era forse calata dall'alto? No: “I nostri amici socialisti di Parigi hanno pensato ch'essa (una rivoluzione sociale) non poteva essere fatta e condotta al suo completo sviluppo che mediante l'azione spontanea e continuata delle masse, dei gruppi e delle associazioni popolari” disse Bakunin. Erano convinti che l'azione delle masse doveva esser tutto: “tutto ciò che gli individui possono fare è di elaborare, di chiarire, e di propagare le idee corrispondenti all'istinto popolare e, di più, di contribuire coi loro sforzi incessanti all'organizzazione rivoluzionaria della potenza naturale delle masse. Ma nulla oltre a ciò; tutto il resto non può e non deve essere fatto che dal popolo stesso; altrimenti si arriverebbe alla dittatura politica, cioè alla ricostituzione dello stato, dei privilegi, delle ineguaglianze, di tutte le oppressioni dello stato, e per una via indiretta, ma logica, si arriverebbe alla restaurazione della schiavitù politica, sociale ed economica delle masse popolari (Bakunin)”.

Il tipo di maturazione che ebbe allora la classe operaia, la progressiva radicalizzazione della lotta e il coinvolgimento in essa di ceti piccolo borghesi, dimostra un altro aspetto estremamente interessante: soltanto nella lotta pratica e nello scoprire non più a livello ideologico, ma nella prassi, le contraddizioni del sistema borghese, che a una formale libertà associa sempre una reale repressione e sfruttamento della classe operaia, i proletari prendono coscienza totalmente della propria collocazione di classe. Solo dopo che la contraddizione esplode nella realtà, essa può sboccare completamente nella coscienza degli individui e si trasforma da ideologia e teoria rivoluzionaria in prassi sovvertitrice della società costituita.