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mercoledì 12 maggio 2021

150 anni fa … Riflessioni sulla Comune (parte 6)

 Gli uomini e i gruppi politici (2)

 

Un altro gruppo numeroso era rappresentato dai blanquisti i quali possedevano un'efficienza non facilmente riscontrabili in altri gruppi. Erano nella maggioranza socialisti per istinto rivoluzionario: così si comprende come nel campo economico furono da loro trascurate parecchie cose. Non si concepisce, ad esempio il sacro rispetto che li caratterizzò davanti alle porte della Banca di Francia. Essi comunque si preoccuparono esclusivamente dall'azione insurrezionale e dei metodi di lotta rivoluzionari; ponevano in primo piano la necessità della conquista del potere politico. Educati alla scuola della cospirazione, ritenevano che un numero relativamente piccolo di uomini decisi ed organizzati ferreamente potesse impadronirsi del potere e mantenerlo fino a quando non fosse riuscito a lanciare la massa del popolo nella rivoluzione, e una volta impadronitisi del potere, avrebbero instaurato un governo dittatoriale, necessario per stroncare ogni opposizione e, insieme, per attirare a sé le masse popolari. Erano, quindi, i fautori dell'accentramento più energico e dittatoriale. “Il comunismo non si realizza con i decreti (aveva scritto Blanqui) ma sulla base di decisioni prese volontariamente dalla nazione stessa, e queste decisioni possono avvenire solo sulla base di una larga diffusione dell'istruzione”. Tra i blanquisti parteciparono attivamente alla Comune: Casimir Bouis, Frédéric Cournet, Gaston Da Costa, Émile Eudes, Théophile Ferré, Gustave Flourens, Ernest Granger, Alphonse Humbert, Victor Jaclard, Eugène Protot, Raoul Rigault, Gustave Tridon, Édouard Vaillant. Per fortuna, malgrado fossero la maggioranza, non ebbero influenza nella Comune. Essi furono responsabili degli atti e delle azioni politiche, mentre dei decreti economici furono responsabili in prima linea gli anarchici, comprendendo sotto questo nome i bakuniani e i proudhoniani.

In Francia erano molto diffuse le teorie proudhoniane, secondo le quali occorreva conciliare lavoro e capitale. Ogni cittadino doveva essere un produttore di beni, “un uomo libero, un vero signore che agisce per propria iniziativa e sotto la sua personale responsabilità, sicuro di ricevere per il proprio prodotto e per i suoi servizi la giusta remunerazione”.

Una banca popolare avrebbe elargito credito a basso interesse ai produttori di merci il cui valore sarebbe stato determinato dal tempo di lavoro necessario a produrle. I prodotti sarebbero andati al mercato e i produttori avrebbero ricevuto un numero di buoni equivalenti alle ore lavorate, con i quali avrebbero potuto comperare merci e servizi a loro necessari. In questo modo ciascuno avrebbe ricevuto il giusto compenso per il proprio lavoro e avrebbe acquistato al giusto prezzo i prodotti altrui. Questo, chiamato da Proudhon mutualismo, è “un sistema d'equilibrio tra le forze libere, in cui a ogni forza sono assicurati eguali diritti, a condizione che adempia eguali doveri; e a ogni forza è data la possibilità di scambiare servizi con servizi corrispondenti”.

I proudhoniani erano nemici dello Stato e immaginavano la nazione organizzata in una federazione di città: “ogni gruppo etnico, ogni razza, ogni nazionalità ha il pieno dominio del proprio territorio; ogni città, fidandosi della garanzie dei vicini, ha il pieno dominio della zona che entra nel suo raggio d'azione. L'unità non è assicurata da leggi, ma soltanto dagli impegni che i diversi gruppi autonomi assumono reciprocamente». Ogni comune doveva essere sovrano: “il comune ha diritto all'autogoverno, all'amministrazione, alla riscossione dei tributi, alla disponibilità della sua proprietà e delle sue imposte. Ha il diritto di costruire scuole per la sua gioventù, di nominare gli insegnanti, di avere la sua polizia, i suoi gendarmi e la sua Guardia Nazionale; di designare i giudici, di avere giornali, di tenere assemblee, di possedere società private, imprese, banche”.

Tuttavia i seguaci di Proudhon non costituivano un folto gruppo, ma tra di essi ricordiamo: Augustin Avrial, Charles Beslay, François Jourde, Charles Longuet, Benoît Malon, Albert Theisz, Eugène Varlin, Auguste Vermorel.

Altri elementi di spicco della rivoluzione parigina furono l'ex garibaldino e anarchico Amilcare Cipriani, il pittore Gustave Courbet, gli anarchici André Léo, Gustave Lefrançais, Louise Michel ed Élisée Reclus.

Non bisogna dimenticare che la Comune coincide con la fase più acuta del conflitto Marx-Bakunin in seno alla 1ª Internazionale e che le sezioni francesi di quest’ultima erano nettamente orientate a favore del secondo il quale, sebbene non fosse presente, aveva a Parigi, tramite Varlin e i suoi amici, molta influenza, non nel senso che a Parigi si aspettavano sue direttive, ma che ci si ispirava a lui e al suo collettivismo nel prendere le più importanti iniziative economiche,

Certo è, comunque, il fatto che né Marx né Engels ebbero alcuna influenza sulla Comune. Engels scrisse in seguito a Sorge: “l’Internazionale non ha mosso un dito per favorire la Comune”. Varlin, è vero, era uno dei due segretari del comitato federale parigino dell’Internazionale, ma non fu in tale qualità che lavorò per la Comune. I verbali delle sedute del Consiglio Federale non contengono quasi accenno del movimento che poi sfociò nella Comune. Qualcuno dei membri influenti dell'Internazionale prese certo parte attiva all’instaurazione di essa, ma il Consiglio Generale di Londra, di cui faceva parte Marx, non mosse davvero un dito.

Bakunin non prese parte alla preparazione: dopo il fallimento dell’insurrezione a Lione. tutte le speranze da lui riposte nella Francia si erano affievolite. per non dire annullate: “non ho più alcuna fiducia nella rivoluzione in Francia, questo paese non è più per nulla rivoluzionario” disse. Ciò nonostante egli era ancora dell`avviso che solo “la rivoluzione sociale avrebbe potuto salvare il popolo francese”. Ma i suoi amici e seguaci questa volta non lo ascoltarono: se a Lione si era fallito. ciò era dovuto al fatto che non ci si era preparati a sufficienza: per questo i parigini non erano ancora insorti e stavano preparando la loro rivoluzione. La battaglia era imminente: essi mettevano ordine alle loro fila.

Il 18 Marzo il momento nazionalista era ormai completamente superato, il popolo parigino ormai aveva fatto una netta distinzione tra borghesia e classi sfruttate ed era giunto alla consapevolezza, non più istintiva, ma ideologica, della contrapposizione fra i propri interessi e quelli della classe dominante: lo dimostra il fatto che la Comune, in uno dei suoi primi proclami, dichiarò che le spese di guerra dovevano essere pagate da coloro che erano stati i veri autori di essa. Si era compreso come dietro lo «Stato» francese che combatteva contro lo Stato prussiano, non stessero tutti i francesi, ma solo la borghesia.

Ma come era avvenuta questa crescita di coscienza nelle masse? Era forse calata dall'alto? No: “I nostri amici socialisti di Parigi hanno pensato ch'essa (una rivoluzione sociale) non poteva essere fatta e condotta al suo completo sviluppo che mediante l'azione spontanea e continuata delle masse, dei gruppi e delle associazioni popolari” disse Bakunin. Erano convinti che l'azione delle masse doveva esser tutto: “tutto ciò che gli individui possono fare è di elaborare, di chiarire, e di propagare le idee corrispondenti all'istinto popolare e, di più, di contribuire coi loro sforzi incessanti all'organizzazione rivoluzionaria della potenza naturale delle masse. Ma nulla oltre a ciò; tutto il resto non può e non deve essere fatto che dal popolo stesso; altrimenti si arriverebbe alla dittatura politica, cioè alla ricostituzione dello stato, dei privilegi, delle ineguaglianze, di tutte le oppressioni dello stato, e per una via indiretta, ma logica, si arriverebbe alla restaurazione della schiavitù politica, sociale ed economica delle masse popolari (Bakunin)”.

Il tipo di maturazione che ebbe allora la classe operaia, la progressiva radicalizzazione della lotta e il coinvolgimento in essa di ceti piccolo borghesi, dimostra un altro aspetto estremamente interessante: soltanto nella lotta pratica e nello scoprire non più a livello ideologico, ma nella prassi, le contraddizioni del sistema borghese, che a una formale libertà associa sempre una reale repressione e sfruttamento della classe operaia, i proletari prendono coscienza totalmente della propria collocazione di classe. Solo dopo che la contraddizione esplode nella realtà, essa può sboccare completamente nella coscienza degli individui e si trasforma da ideologia e teoria rivoluzionaria in prassi sovvertitrice della società costituita.