Gli uomini e i gruppi politici (2)
Un altro gruppo numeroso era rappresentato dai
blanquisti i quali possedevano un'efficienza non facilmente riscontrabili in
altri gruppi. Erano nella maggioranza socialisti per istinto rivoluzionario:
così si comprende come nel campo economico furono da loro trascurate parecchie
cose. Non si concepisce, ad esempio il sacro rispetto che li caratterizzò
davanti alle porte della Banca di Francia. Essi comunque si preoccuparono
esclusivamente dall'azione insurrezionale e dei metodi di lotta rivoluzionari;
ponevano in primo piano la necessità della conquista del potere politico.
Educati alla scuola della cospirazione, ritenevano che un numero relativamente
piccolo di uomini decisi ed organizzati ferreamente potesse impadronirsi del
potere e mantenerlo fino a quando non fosse riuscito a lanciare la massa del
popolo nella rivoluzione, e una volta impadronitisi del potere, avrebbero
instaurato un governo dittatoriale, necessario per stroncare ogni opposizione
e, insieme, per attirare a sé le masse popolari. Erano, quindi, i fautori
dell'accentramento più energico e dittatoriale. “Il comunismo non si
realizza con i decreti (aveva
scritto Blanqui) ma sulla base di decisioni prese
volontariamente dalla nazione stessa, e queste decisioni possono avvenire solo
sulla base di una larga diffusione dell'istruzione”. Tra i
blanquisti parteciparono attivamente alla Comune: Casimir Bouis, Frédéric Cournet, Gaston Da Costa, Émile Eudes, Théophile Ferré, Gustave Flourens, Ernest Granger, Alphonse Humbert, Victor Jaclard, Eugène Protot, Raoul Rigault, Gustave Tridon, Édouard Vaillant. Per fortuna, malgrado fossero la
maggioranza, non ebbero influenza nella Comune. Essi furono responsabili degli atti e
delle azioni politiche, mentre dei decreti economici furono responsabili in
prima linea gli anarchici, comprendendo sotto questo nome i bakuniani e i proudhoniani.
In Francia erano molto diffuse le teorie
proudhoniane, secondo le quali occorreva conciliare lavoro e capitale. Ogni
cittadino doveva essere un produttore di beni, “un uomo libero, un vero
signore che agisce per propria iniziativa e sotto la sua personale
responsabilità, sicuro di ricevere per il proprio prodotto e per i suoi servizi
la giusta remunerazione”.
Una banca popolare avrebbe elargito credito a basso
interesse ai produttori di merci il cui valore sarebbe stato determinato dal
tempo di lavoro necessario a produrle. I prodotti sarebbero andati al mercato e
i produttori avrebbero ricevuto un numero di buoni equivalenti alle ore
lavorate, con i quali avrebbero potuto comperare merci e servizi a loro
necessari. In questo modo ciascuno avrebbe ricevuto il giusto compenso per il
proprio lavoro e avrebbe acquistato al giusto prezzo i prodotti altrui. Questo,
chiamato da Proudhon mutualismo, è “un sistema d'equilibrio
tra le forze libere, in cui a ogni forza sono assicurati eguali diritti, a
condizione che adempia eguali doveri; e a ogni forza è data la possibilità di
scambiare servizi con servizi corrispondenti”.
I proudhoniani erano nemici dello Stato e immaginavano
la nazione organizzata in una federazione di città: “ogni gruppo etnico,
ogni razza, ogni nazionalità ha il pieno dominio del proprio territorio; ogni
città, fidandosi della garanzie dei vicini, ha il pieno dominio della zona che
entra nel suo raggio d'azione. L'unità non è assicurata da leggi, ma soltanto
dagli impegni che i diversi gruppi autonomi assumono reciprocamente». Ogni comune doveva essere sovrano: “il
comune ha diritto all'autogoverno, all'amministrazione, alla riscossione dei
tributi, alla disponibilità della sua proprietà e delle sue imposte. Ha il
diritto di costruire scuole per la sua gioventù, di nominare gli insegnanti, di
avere la sua polizia, i suoi gendarmi e la sua Guardia Nazionale; di designare i giudici, di
avere giornali, di tenere assemblee, di possedere società private, imprese,
banche”.
Tuttavia i seguaci di Proudhon non costituivano un folto gruppo, ma tra
di essi ricordiamo: Augustin Avrial, Charles Beslay, François Jourde, Charles Longuet, Benoît Malon, Albert Theisz, Eugène Varlin, Auguste Vermorel.
Altri elementi di spicco della rivoluzione parigina
furono l'ex garibaldino e anarchico Amilcare Cipriani, il pittore Gustave Courbet, gli anarchici André Léo, Gustave Lefrançais, Louise Michel ed Élisée Reclus.
Non bisogna dimenticare che la Comune coincide con la fase più acuta del
conflitto Marx-Bakunin in seno alla 1ª Internazionale e che le sezioni francesi di
quest’ultima erano nettamente orientate a favore del secondo il quale, sebbene
non fosse presente, aveva a Parigi, tramite Varlin e i suoi amici, molta influenza, non nel
senso che a Parigi si aspettavano sue direttive, ma che ci si ispirava a lui e
al suo collettivismo nel prendere le più importanti iniziative economiche,
Certo è, comunque, il fatto che né Marx né Engels ebbero alcuna influenza sulla Comune. Engels scrisse in seguito a Sorge: “l’Internazionale non ha mosso un dito per
favorire la Comune”. Varlin, è vero, era uno dei due segretari del
comitato federale parigino dell’Internazionale, ma non fu in tale qualità che
lavorò per la Comune. I verbali delle sedute del Consiglio
Federale non contengono quasi accenno del movimento che poi sfociò nella Comune. Qualcuno dei membri influenti dell'Internazionale prese certo parte attiva all’instaurazione
di essa, ma il Consiglio Generale di Londra, di cui faceva parte Marx, non mosse davvero un dito.
Bakunin non prese parte alla preparazione: dopo il
fallimento dell’insurrezione a Lione. tutte le speranze da lui riposte nella
Francia si erano affievolite. per non dire annullate: “non ho più alcuna
fiducia nella rivoluzione in Francia, questo paese non è più per nulla
rivoluzionario” disse. Ciò nonostante egli era ancora dell`avviso che solo
“la rivoluzione sociale avrebbe potuto salvare il popolo francese”. Ma i
suoi amici e seguaci questa volta non lo ascoltarono: se a Lione si era fallito. ciò era dovuto al fatto che
non ci si era preparati a sufficienza: per questo i parigini non erano ancora
insorti e stavano preparando la loro rivoluzione. La battaglia era imminente:
essi mettevano ordine alle loro fila.
Il 18 Marzo il momento nazionalista era ormai
completamente superato, il
popolo parigino ormai
aveva fatto una
netta distinzione tra borghesia e classi sfruttate ed era giunto alla
consapevolezza, non più istintiva, ma ideologica, della contrapposizione fra i
propri interessi e quelli della classe dominante: lo dimostra il fatto che la Comune, in uno
dei suoi primi proclami, dichiarò che le spese di guerra dovevano essere pagate da coloro che erano stati i veri
autori di essa. Si era compreso come dietro lo «Stato» francese che combatteva
contro lo Stato prussiano, non stessero tutti i francesi, ma solo la borghesia.
Ma come era avvenuta questa
crescita di coscienza nelle masse? Era forse calata dall'alto? No: “I nostri
amici socialisti di Parigi hanno pensato ch'essa (una rivoluzione sociale) non
poteva essere fatta e condotta al suo completo sviluppo che mediante l'azione
spontanea e continuata delle masse, dei gruppi e delle associazioni popolari”
disse Bakunin. Erano convinti che l'azione delle masse
doveva esser tutto: “tutto ciò che gli individui possono fare è di
elaborare, di chiarire, e di propagare le idee corrispondenti all'istinto
popolare e, di più, di contribuire coi loro sforzi incessanti
all'organizzazione rivoluzionaria della potenza naturale delle masse. Ma nulla
oltre a ciò; tutto il resto non può e non deve essere fatto che dal popolo
stesso; altrimenti si arriverebbe alla dittatura politica, cioè alla
ricostituzione dello stato, dei privilegi, delle ineguaglianze, di tutte le
oppressioni dello stato, e per una via indiretta, ma logica, si arriverebbe
alla restaurazione della schiavitù politica, sociale ed economica delle masse
popolari (Bakunin)”.
Il tipo di maturazione che ebbe
allora la classe operaia, la progressiva radicalizzazione della lotta e il
coinvolgimento in essa di ceti piccolo borghesi, dimostra un altro aspetto
estremamente interessante: soltanto nella lotta pratica e nello scoprire non più a livello
ideologico, ma nella prassi, le contraddizioni
del sistema borghese, che a una formale libertà associa sempre una reale
repressione e sfruttamento della classe operaia, i proletari prendono coscienza
totalmente della propria collocazione di classe. Solo dopo che la
contraddizione esplode nella realtà, essa può sboccare completamente nella
coscienza degli individui e si trasforma da ideologia e teoria rivoluzionaria in prassi sovvertitrice della società
costituita.