Della pandemia
ormai si sa quasi tutto, anche che era stata prevista negli anni scorsi, a
volte con sconcertante precisione, da scienziati ed esperti, regolarmente
rimasti inascoltati. Non è una novità che quelli di lassù abbiano altre
priorità, altri interessi, tipo rincorrere le borse, la finanza, i mercati,
garantire al capitalismo pace e prosperità, cercare sempre il modo di come
arginare il malcontento popolare. Altro che pandemie, allarmi sanitari, che
richiedono di distorcere lo sguardo dai più loschi e materiali interessi ed
occuparsi di qualcosa che va nella direzione opposta.
Sappiamo quindi
che il virus denominato Covid-19 non nasce dal nulla, ma è il prodotto della
dissennata impronta di quella macchina distruttrice denominata capitalismo
nella natura, nell’ambiente; il tentativo di addomesticarli ai propri
interessi, deforestando, inquinando, imponendo colture e allevamenti intensivi
e conseguenti stili di vita ad essi assoggettati, globalizzando e trasformando
l’umanità in una massa di consumatori ed un’altra di vittime sacrificali,
produce, oltre ai tanti effetti sociali devastanti, anche malattie virali
nuove, sconosciute, più sofisticate e più pericolose. Esse non vengono dal
nulla, sono prodotti del sistema. E in quanto tali ne rappresentano tutte le
storture di classe.
Se il
coronavirus invaderà (come sta già facendo) l’Africa e tutti i paesi costretti
alla povertà che abbondano nel Mondo, dove mancano acqua, alloggi, condizioni
di alimentazione decenti, sarà strage, altro che le migliaia di morti che
vengono contabilizzati attualmente. Ma anche dentro le società occidentali le
condizioni dei ricchi e quelle della maggioranza della popolazione, con le sue
frange più povere, fanno emergere modi differenti di vivere la pandemia: chi
non ha un reddito sufficiente, chi vive una vita precaria, chi ha un alloggio
modesto e malmesso, e chi non ha un tetto sotto cui ripararsi, chi vive nei
campi, come i nomadi o gli irregolari dell’immigrazione lasciati senza dimora
dalle leggi sicurezza; e poi chi è costretto a lavorare, a proprio rischio e
pericolo, sia nell’ambito sanitario che anche negli altri settori, tutti
costoro vivono la pandemia da vittime.
Il linguaggio
bellico vomitato da capi di Stato e loro sottoposti nasconde una narrazione
pericolosa, quella che impone l’emergenza militare per gestire l’emergenza
sanitaria; quella che sguinzaglia eserciti e polizie e sfrutta il supporto
delle nuove tecnologie diffuse, per tenere sotto controllo la popolazione e
reprimere gli irrequieti, i non obbedienti; quella che compra il consenso delle
masse scatenando la caccia agli untori, premiando i delatori, gli spioni,
reprimendo chi rifiuta una gestione autoritaria della pandemia.
Non solo si
condannano milioni di lavoratori a proseguire la produzione anche in settori
non indispensabili o addirittura nocivi, come le fabbriche di armamenti, e
spesso senza le minime protezioni; ma si impone il lavoro a distanza (smart
working) prima negato, che per molti (vedi insegnanti) è diventato un vero
incubo. In un presunto scontro tra autorità nazionali e autorità regionali e
locali, emergono vocazioni ducesche, sindaci sceriffi, dittatori in miniatura
attivi in una campagna elettorale permanente, e stupisce notare come tutto ciò
abbia il consenso della maggioranza della gente, talmente impressionata e
impaurita da abdicare alla propria libertà in cambio di una protezione
poliziesca della salute. Protezione gestita da chi, in realtà, ha creato le
condizioni perché la salute venisse minacciata, perché tanti si ammalassero, in
migliaia morissero, colpiti direttamente o indirettamente dal virus.C’è da
aspettarsi che le tecniche di controllo che si stanno utilizzando, subiranno
un’impennata anche dopo, quando diverranno pura normalità.
I ducetti locali
e nazionali sono stati gli artefici dei tagli alla sanità, dello smantellamento
delle strutture pubbliche per stornare somme ingenti verso le private; sono
stati i fedeli esecutori delle direttive di Maastricht o del FMI, che hanno
ridotto “la sanità migliore al mondo” ad un immenso colabrodo che proprio nelle
regioni più industrializzate d’Italia ha dimostrato tutti i suoi limiti. Sanità
depotenziata, ambiente inquinato all’inverosimile: ecco il mix fatale in cui il
piccolo virus ha trovato terreno fertile per spargersi.
Insomma, un gran
bel casino in cui il giocattolo rischiava di scoppiare nelle mani dei potenti,
che sono corsi ai ripari quando hanno cominciato a sentire il puzzo di bruciato
degli incendi per le rivolte nelle carceri, degli assalti, i furti o le
autoriduzioni ai supermercati, gli scioperi nelle fabbriche lasciate
impunemente aperte su pressione di padroni avidi e irresponsabili. E allora
ecco i sussidi, le casse integrazioni, i buoni pasto, e soprattutto i soldi
alle imprese, tanti soldi, perché i primi, quelli lasciati allo sbaraglio, non
si lamentino troppo, non vadano in escandescenze, non attizzino ribellioni e
sommosse, e i secondi non falliscano, perché è sempre il mercato l’obiettivo
principale da salvaguardare. Confindustria e i suoi servi a pagamento hanno evitato
la chiusura della maggior parte delle aziende e spingono per la riapertura di
quelle chiuse; persino le fabbriche di armi (da Cameri quella che assembla i
cacciabombardieri F35, alla RWM in Sardegna, quella che produce munizioni per
stati in guerra), con la scusa che danno occupazione, sono oggetto di cure e
attenzioni; hanno addirittura concluso affari come l’acquisto di due
sommergibili per 2 miliardi e 300 milioni di euro durante la pandemia:
Leonardo, ora che probabilmente non potrà costruire navi da crociera,
incrementerà la sua produzione nel ramo militare, sempre in nome
dell’occupazione, ovviamente. In Sardegna non si fermano nemmeno le
esercitazioni militari. E non è retorica ribadire quanti ospedali, reparti di
terapia intensiva, apparecchiature si sarebbero potuti acquistare e costruire
con quei soldi e con tutti gli altri che quotidianamente solo in Italia si
spendono (70 milioni di euro) in nome di un concetto di “Difesa” che non serve
a nulla per difenderci da un microscopico virus.
Dovrebbero
chiedersi, i tanti che sono cascati nella trappola della paura con cui lo Stato
ci sta schiavizzando, perché non si fermano neanche le esercitazioni militari,
nel mare o in Sardegna o altrove; perché non si trovano le mascherine, un
oggetto da pochi centesimi ma molto utile alla “Difesa” da una pandemia, ma
abbiamo caserme e arsenali pieni di strumenti di offesa e di morte, e basi
militari pronte a far la guerra ad ogni momento.
Quelli che
“restano a casa” dovrebbero chiedersi perché le Borse sono rimaste attive in
questi mesi, per quali speculazioni garantire?
E sarebbe il
caso di cominciare a pensare che è giunta l’ora che chi ha speculato, chi si è
arricchito, paghi il conto di tutto il danno che ha fatto all’umanità e al
Pianeta; che non basterà un misero sussidio di sopravvivenza in emergenza, ma
va garantita a tutti una vita dignitosa; chiedersi che se i rigidi parametri
economici (lo spread, il PIL, le leggi di stabilità, il pareggio di bilancio,
il tabù degli aiuti di Stato…) eretti come muri insormontabili per rigettare le
richieste di una vita migliore fatte dalle classi lavoratrici, dai pensionati,
dai disoccupati, ora sono saltati, ebbene potranno e dovranno saltare anche in
seguito e definitivamente per assicurare il benessere delle masse popolari; che
se l’aria ora è pulita perché non circolano auto e le ciminiere sbuffano di
meno, allora si potrà risolvere il problema dell’inquinamento.
Tutte le
narrazioni tossiche di economisti, uomini di Stato, generali, manager della
finanza e delle multinazionali sono state sputtanate dalla pandemia: emerge una
società che ha bisogno di mutuo appoggio, di solidarietà, di strutture
sanitarie e servizi pubblici efficienti sempre, e non solo in emergenza, di
ambiente pulito, di rappacificarsi con il Pianeta. Una società in cui non
domini la Paura ma la consapevolezza dell’inutilità e della dannosità di uno
Stato e di un capitalismo che ogni giorno uccidono la libertà, il benessere, la
gioia di vivere, ed oggi hanno la faccia tosta (e la polizia) per presentarsi
come i salvatori. Non vogliamo vivere in una prigione permanente in nome della
nostra salute e della nostra libertà. O ci salviamo da soli o continueremo a
galleggiare nella merda di un sistema in putrefazione e delle sue pandemie, di
ieri di oggi e di domani.