..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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martedì 30 agosto 2022

Michelina De Cesare, la Brigantessa

Michelina De Cesare nacque a Caspoli, in provincia di Caserta il 28 ottobre 1841. Secondo la testimonianza che il sindaco del suo paese rese alle autorità militari, Michelina fin da giovanissima aveva tenuto un atteggiamento ribelle. Egli la definì come refrattaria alla legge e ai buoni costumi, educata al furto fin da bambina. Ci resta tale testimonianza, non si sa se effettivamente rispondente ai fatti o ricostruita ex post a uso della giustizia.

Si sa che nel 1861 Michelina sposò tale Rocco Tanga, da cui rimase vedova appena un anno dopo.

Successivamente incontrò Francesco Guerra, capo di una banda che imperversava nella Terra del Lavoro, denominazione con cui era allora indicato il territorio che comprendeva ampie zone dell’attuale Lazio Meridionale, della Campania e del Molise.

Michelina decise di seguire Guerra, e ne divenne la consigliera. Forte della sua conoscenza dei luoghi, lo aiutò a programmare gli attacchi rivolti ai soldati italiani, ma anche a molte persone che erano state identificate come “ricche”.

La sorte che attendeva Michelina è stata simile a quella della maggior parte delle donne che avevano fatto la sua stessa scelta e che, a seguito di essa, hanno conosciuto la morte o la carcerazione. La strada del brigantaggio non permetteva ripensamenti.

Michelina, però, riuscì per ben tre anni a sfuggire al suo destino, nonostante la caccia molto determinata che venne data alla banda di Guerra.

La donna fu presa solo il 30 agosto 1868 a seguito della delazione di un massaio di Mignano. Egli, attirato dal compenso promesso a chi avesse passato informazioni utili alla cattura della banda Guerra aveva avvisato la Guardia nazionale della loro posizione. La Guardia nazionale aveva a sua volta allertato il fratello di Michelina, Giovanni De Cesare. Come spesso avveniva nella storia del brigantaggio, furono i conti sospesi in famiglia – liti, vecchi rancori, rappresaglie covate nel tempo, che determinarono l’esito. Anche in questo caso fu essenziale l’apporto di un familiare: fu proprio Giovanni che condusse nel posto indicato la Guardia nazionale e un gruppo di soldati del 27° fanteria agli ordini del maggiore Lombardi.

La cronaca della cattura viene riportata in un rapporto del Comando generale.

Per quanto concerne espressamente Michelina esso dice:

«… il compagno che con lui (Guerra) si intratteneva, appena visto l’attacco, tentò di fuggire; una fucilata sparatagli dietro dal medico di Battaglione Pitzorno lo feriva, ma non al punto di farlo cadere, che continuando invece la sua fuga, s’imbatteva poi in altri soldati per opera dei quali venne freddato: Esaminatone il corpo, fu riconosciuto per donna e quindi per Michelina De Cesare druda del Guerra».

Anche in questo scritto per indicare la compagna di un brigante viene utilizzata l’espressione dispregiativa “druda”, tratta dal gaelico. Essa sta a indicare l’amante disonesta, la femmina di malaffare: le cronache del tempo infatti erano spietate nel giudicare le donne che trasgredivano alle leggi, ma soprattutto alle regole imposte al loro sesso.

Nei documenti civili e militari dello Stato unitario, nei resoconti processuali e nelle cronache dei giornali del Nord esse venivano descritte come femmine lussuriose e spietate. La condanna nei loro confronti era inappellabile: esse avevano trasgredito alle leggi dello stato e anche a quelle, non scritte, dei comportamenti di genere.

E, nel caso di Michelina, alle parole fu aggiunto un ultimo oltraggio: il suo corpo fu esposto nudo nella piazza centrale di Mignano. Oltraggio e monito.

sabato 27 agosto 2022

La schiavitù nel ventunesimo secolo

Nel nome del progresso, lo sviluppo su scala mondiale e l'impero stanno schiavizzando l'umanità e distruggendo la natura, dappertutto. Il rullo compressore noto come globalizzazione ha assorbito quasi ogni opposizione, schiacciando la resistenza per mezzo di un sistema capitalistico e tecnologico implacabile e universalizzante. Un senso di fatalità prossimo al nichilismo viene accettato come risposta inevitabile alla modernità. Ma le ragioni che stanno dietro al cambiamento globale si palesano agli occhi di chi voglia esaminarne i presupposti fondamentali. Il degrado della vita, che avanza a pieno ritmo in ogni ambito, deriva dalle dinamiche della civilizzazione stessa. L'addomesticamento degli animali e delle piante, un processo vecchio di appena diecimila anni, ha pervaso ogni centimetro quadrato del pianeta. Il risultato è l'eliminazione dell'autonomia e della salute individuale e comunitaria, oltre alla distruzione dilagante e accelerata, del mondo naturale. La globalizzazione non è una novità. La divisione del lavoro, l'urbanizzazione, la conquista, l'esproprio e le diaspore sono state parte integrante e fardello della condizione umana sin dall'inizio della civilizzazione. Ma la globalizzazione spinge il processo di addomesticamento a nuovi livelli. Adesso il capitale mondiale vuole sfruttare tutta la vita a disposizione; questo è uno dei tratti caratteristici e originali della globalizzazione. Agli albori del Ventesimo secolo, alcuni osservatori constatarono l'instabilità e la frammentazione che necessariamente accompagnavano la modernizzazione. Queste diventano ancora più evidenti nella fase attuale, molto probabilmente quella terminale. Il progetto di integrazione attraverso il controllo planetario provoca ovunque disintegrazione: maggior sradicamento, ripiegamento, inutilità... e nulla di tutto questo è comparso nel volgere di una notte. 

mercoledì 24 agosto 2022

Pazienza, etica e tolleranza nel pensiero di Eliseo Reclus

Tra il difensore della giustizia e il complice del crimine non ci son vie di mezzo! In questo campo, come in tutte le altre questioni sociali, si pone il grande problema che si discute tra Tolstoi e gli altri anarchici, quello della non-resistenza o della resistenza al male. Da parte nostra, pensiamo che l'offeso che non resiste consegna in anticipo gli umili ed i miseri agli oppressori ed ai ricchi. Resistiamo senza odio, senza rancore né spirito di vendetta, con tutta la dolcezza serena del filosofo e la sua volontà intima in ciascuno dei suoi atti, ma resistiamo!" (...) "Dal punto di vista rivoluzionario, mi asterrò dal preconizzare la violenza e sono desolato quando degli amici trasportati dalla passione si lasciano andare all'idea della vendetta, tanto poco scientifica, sterile. Ma la difesa armata di un diritto non significa violenza" (...) "Quotidianamente si compiono tante ingiustizie, tante crudeltà individuali e collettive che non ci si stupirebbe di vedere nascere continuamente tutta una messe di odii... e l'odio è sempre cieco" (...) "Naturalmente, ammiro la nobile personalità di Ravachol, come si è andata rivelando persino durante gli interrogatori di polizia. È pure superfluo aggiungere che considero ogni rivolta contro l'oppressione come un atto buono e giusto. "Contro l'iniquità la rivendicazione è eterna". Ma dire che "i mezzi violenti sono gli unici davvero efficaci", oh no, sarebbe come dire che la collera è il più efficace dei ragionamenti! Essa ha la sua ragion d'essere, ha il suo giorno e la sua ora, ma la lenta penetrazione della parola e dell'affetto nel pensiero ha tutt'altra potenza. Già per definizione, la violenza impulsiva non vede che lo scopo; sollecita la giustizia con l'ingiustizia; vede "rosso", ossia l'occhio ha perduto la sua chiarezza. Ciò non impedisce affatto che il personaggio di Ravachol, così come lo vedo io e come lo tramanderà la leggenda, non sia una figura grandissima.

domenica 21 agosto 2022

La rivoluzione sociale

La rivoluzione sociale non può che essere radicale, dunque occorre che si svolga in un breve lasso di tempo. Il suo scopo consiste nel restituire alle masse popolari tutta la ricchezza sociale esistente, non soltanto quella relativa alla sfera della produzione, ma anche quella pertinente al consumo.

L'espropriazione deve comprendere tutto ciò che permette a chicchesia - banchiere, industriale o coltivatore - di appropriarsi del lavoro altrui. In altri termini, la rivoluzione ha il compito di far ritornare alla collettività l'insieme materiale dei mezzi dello sfruttamento. Poiché l'espropriazione costituisce il momento decisivo della rivoluzione, ne deriva che se fosse fatta a metà risulterebbe controproducente perché provocherebbe soltanto un formidabile scompiglio nella società e una sospensione delle sue funzioni, non appagherebbe nessuno, seminerebbe il malcontento generale e apporterebbe fatalmente il trionfo della reazione. Quindi il giorno che si colpirà la proprietà privata in una qualunque delle sue forme si sarà costretti a colpirla in tutte le altre.

L'espropriazione immediata e generalizzata permette di perseguire due finalità: dà la possibilità alle classi sfruttate di godere, fin da subito di una certa "agiatezza”, guadagnandole in tal modo alla causa rivoluzionaria; eleva il protagonismo popolare alla sua massima capacità, mentre pone in secondo piano l'azione del rivoluzionarismo politico «che le baionette giacobine non vengano ad interporsi; che i cosiddetti teorici scientifici non vengano a confonder nulla».

Petr A. Kropotkin

giovedì 18 agosto 2022

18 agosto 1944: l'insurrezione di Parigi

Il 18 agosto 1944 viene comunemente considerata la giornata che dà inizio all’insurrezione generale di Parigi. Mentre truppe di alleati, sotto la direzione del comandante in campo Dwight Eisenhower, erano sbarcate il 6 giugno sulle coste della Normandia e, nonostante le ingenti perdite, il 25 luglio avevano iniziato l’offensiva verso Est, nella capitale francese, la resistenza popolare organizzava da sé la liberazione della città. A seguito dei sommovimenti iniziati dagli agenti della metropolitana, dai gendarmi, dai poliziotti e dagli impiegati delle poste, il 18 agosto scoppia uno sciopero generale. Gli operai attraversano la città, incitando tutti i parigini all’insurrezione contro le forze naziste e collaborazioniste. I giornali collaborazionisti smettono di essere pubblicati e per i muri della città vengono affissi i manifesti del colonnello Rol-Tanguy che proclamano la mobilitazione generale. La Resistenza interna si batte contro i 20.000 tedeschi presenti nella capitale. Si innalzano barricate e fin dal giorno successivo scoppiano violenti combattimenti. Il 19 agosto vengono occupate la Prefettura della Polizia e i municipi degli arrondissement, i Ministeri, i giornali. I militari tedeschi tentano un assalto alla Prefettura, che in serata, infatti, firma una tregua, ma i combattimenti per le strade continuano ugualmente e sempre con maggior intensità. Domenica 20 agosto è riconquistato l’Hotel de Ville da Léo Hamon, vicepresidente del CPL (Comité parisien de Libération).

La tregua è rotta ufficialmente lunedì 21 e gli scontri avranno il loro culmine il 22 agosto. Parigi è un’enorme barricata e il colonnello Rol- Tanguy proclamerà solennemente: «Tous aux barricades!». Il giorno successivo Hitler ordina di distruggere Parigi. Viene incendiato il Grand Palais e il generale Von Choltitz minaccia di attaccare gli edifici pubblici con armi pesanti. Ma la popolazione parigina non arretra di un passo e a partire dal giorno successivo i tedeschi sono costretti mano a mano a ritirarsi dalla città. Si parla di 1.500 membri della Resistenza francese e di civili morti durante i combattimenti per la liberazione della capitale francese.

Solo il 25 agosto la 2a Divisione blindata del Generale francese Leclerc e le truppe alleate entrano in città. Per la prima volta dopo il 1940, il vessillo tricolore è di nuovo issato in alto sulla Tour Eiffel. Nel pomeriggio, il Generale von Choltitz firma la resa degli occupanti mentre il Generale de Gaulle arriva a Parigi e stabilisce al Ministero di Guerra la sede del Governo provvisorio della Repubblica francese. Alle 19.00, dal balcone dell’Hôtel de ville, pronuncia il suo celebre discorso: «Parigi oltraggiata! Parigi martirizzata! Ma Parigi liberata!».

Il discorso viene accompagnato il giorno seguente, il 26 agosto 1944, dalla parata della vittoria lungo gli Champs-Élisées, seguita da una nuova parata della 28° Divisione di fanteria USA il 29 agosto, quando la città era già stata completamente liberata.

18 Agosto 1944: La Banda Corbari

 

E prèm a caschê

e fo Curbera

e par la bòta

o tremê la tëra

e o fo sobit sera

l’è bèl finì e’ su dé par na bangera

Il primo a cadere

fu Curbera

e per la botta

tremò la terra

e fu subito sera

è bello finire la vita per una bandiera

 

Alle prime luci dell’alba del 18 agosto 1944, Il casolare di Ca’ Cornio (situato sull’Appennino Tosco Romagnolo tra Modigliana e Tredozio), dove si erano rifugiati Arturo Spazzoli, Sirio Corbari, Iris Versari e Franco Casadei fu completamente circondato, da un reparto scelto del Battaglione Mussolini e da un’intera compagnia della I Divisione Alpen Jager. A tradirli fu un certo Franco Rossi, un giovane che si diceva partigiano e ottenuto con l’inganno un incontro con Corbari aveva scoperto il suo nascondiglio.

Un manipolo di fascisti e militari tedeschi irruppe all’interno del casolare. Un ufficiale nazista si affacciò nella camera di Sirio e Iris: lei aveva già lo Sten in pugno e lo uccise. Si scatenò l’inferno: gli assedianti aprirono il fuoco con mitragliatrici e mortai, la casa fu sventrata dalle granate, porte e finestre si sbriciolano sotto le raffiche di grosso calibro, ma dall’interno i partigiani continuarono a rispondere colpo su colpo.

 

Iris Versari - Sirio Corbari (Curbera)

Corbari avrebbe voluto prendere in braccio Iris, ferita ad una gamba, e scappare saltando giù per una scarpata dietro la casa, ma lei sapendo che gli sarebbe stata di impaccio si uccise con un colpo di pistola, un gesto estremo per costringerlo a fuggire da solo. Corbari, stravolto dalla disperazione, strinse per l’ultima volta la compagna tra le braccia e poi, urlando e sparando, si buttò fuori dalla finestra al primo piano e rotolò lungo la scarpata.

 

Arturo Spazzoli

Arturo Spazzoli aveva attirato il fuoco su di sé: aveva le gambe sfracellate e una vasta ferita al ventre. Pochi istanti dopo, durante la fuga, anche Corbari fu ferito alle gambe, sfinito e inerte precipitò dall’argine del torrente, sbattendo la testa contro un masso.

 

Adriano Casadei

Adriano Casadei, che era ormai in salvo tra i cespugli, tornò indietro, se lo caricò in spalla e raggiunse un piccolo avvallamento, dove adagiò il compagno privo di conoscenza con il cranio fratturato. Rimase accanto a lui e così facendo si consegnò ai fascisti della Alpen Jager guidati da Franco Rossi il traditore.

 

I fascisti requisirono un carretto trainato dai buoi e ci caricarono sopra Corbari svenuto e Arturo Spazzoli agonizzante. Casadei, le mani legate dietro la schiena, fu costretto a seguirli a piedi. Dopo qualche chilometro, i fascisti finirono a colpi di pistola Arturo, per non sentire più i suoi gemiti. Raggiunti i camion in sosta sulla strada, si diressero a Castrocaro.

La mattina del 18 agosto 1944 Sirio Corbari fu impiccato nella piazza del municipio di Castrocaro, senza aver mai ripreso conoscenza. Prima che il boia gli stringesse il cappio intorno al collo, Adriano Casadei lo abbracciò e lo baciò per l’ultima volta, poi si mise il cappio da solo. Ma la corda tirata con eccessiva foga si spezzò. Ne portarono una nuova e Casadei stringendosi di nuovo il nodo scorsoio al collo disse ad alta voce in dialetto romagnolo: “Siete marci anche nella corda!”.

Nel pomeriggio i corpi furono trasferiti a Forlì e impiccati per la seconda volta, nella centralissima piazza Saffi, come monito per la cittadinanza. L’indomani decisero di appendere anche i cadaveri di Arturo Spazzoli e di Iris Versari.

venerdì 12 agosto 2022

12 agosto 1944: l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema

Estate 1944, l'ultima estate di guerra. La zona della Versilia in questo momento costituisce il fronte occidentale della Linea Gotica e le disposizioni tedesche costringono la popolazione di evacuare l'area , per spostarsi al di là dell'Appennino, in provincia di Parma. L'ordine è impraticabile, vista la scarsità dei mezzi a disposizione, ma la popolazione della piana si vede comunque costretta a sfollare, per sottrarsi ai rischi della zona di guerra.

È così che un piccolo paesino di mezza montagna,raggiungibile solo attraverso le mulattiere, Sant'Anna di Stazzema, comincia ad accogliere molti rifugiati e vede di fatto quadruplicare la propria popolazione, che raggiunge i 1500 abitanti.

All'alba del 30 luglio i partigiani della X Brigata Garibaldi danno battaglia alle truppe tedesche sul monte Ornato, non distante da Sant'Anna di Stazzema, che il 5 agosto viene investita dal terribile ordine di sfollamento, che fortunatamente viene però ritirato alcuni giorni dopo, in quanto la zona viene qualificata come "zona bianca" cioè adatta ad accogliere sfollati, in quanti i partigiani hanno abbandonato la zona, attestatisi in una zona più interna, in direzione di Lucca. L'operazione tedesca arriva perciò, improvvisa e del tutto inaspettata.

All'alba del 12 agosto tre reparti di SS (in tutto alcune centinaia di unità), accompagnati da fascisti collaborazionisti in funzione di guide della zona, salgono a Sant'Anna, mentre un quarto reparto si attesta più in basso, nel paese di Valdicastello, per chiudere qualsiasi via di fuga.

Alle sette il paese è completamente circondato: la popolazione, pensando ad un'operazione di rastrellamento, si divide; gli uomini scappano nei boschi, per evitare la deportazione in Germania, mentre donne e bambini restano rintanati nelle proprie case.

I nazisti inizialmente rastrellano circa centocinquanta persone, le conducono nel piazzale antistante la chiesa e aprono il fuoco. Terminate le raffiche dei mitragliatori, ammassano sul cumulo di corpi, tra cui vi erano ancora dei vivi, le panche e le suppellettili della chiesa, dandovi fuoco. Altre decine di persone, atterrite e sconvolte, quindi incapaci di opporre resistenza, vengono spinte vive nel rogo.

Nel frattempo altre SS entrano in ogni casa, rastrellano tutti i presenti e li rinchiudono nelle stalle e nelle cucine delle case, e poi provvedono, con feroce meticolosità, all'eccidio, con colpi di mitra, fuoco e bombe a mano.

Chiunque cerchi di fuggire verso il bosco viene raggiunto da raffiche di mitra, alcuni bambini vengono colpiti alla testa con calci di fucile e lanciati nel forno del pane.

A mezzogiorno tutte le piccole case di Sant'Anna bruciano.

I tedeschi, esaltati e brutali, scendono a valle per il sentiero, continuando ad ammazzare e bruciare qualsiasi cosa incontrino sulla propria strada: solo il calar delle tenebre pone finalmente fine all'eccidio. In tutto le vittime saranno un numero imprecisato, sicuramente superiore alle 560 persone, per la maggior parte bambini, donne e anziani. Le indagini sul massacro di Sant'Anna di Stazzema inizieranno immediatamente, inizialmente condotte da inglesi e americani, con lo scopo di identificare i responsabili: una verità giudiziaria definitiva non arriverà però per più di cinquant'anni. Si tratterà di una delle tante vergogne di cui si coprirà il sistema giudiziario italiano: nel 1960, infatti, verrà disposta l'archiviazione di circa 695 fascicoli riguardanti gli eccidi nazisti che in Italia hanno provocato più di quindicimila vittime.

I fascicoli verranno ritrovati nel 1994, durante il processo a Eric Priebke, in quello che verrà chiamato "l'armadio della vergogna". Infine, il 22 giugno 2005 il Tribunale Militare di La Spezia condannerà all'ergastolo tutte e dieci le SS imputate per il massacro di Sant'Anna: Sonner, Sontag, Schonemberg, Bruss, Rauch, Schendel, Concina, Gopler, Richter e Goring.

  

mercoledì 10 agosto 2022

Il sentiero dell’anarchia

Ci muoviamo in tempi strani, dove le strade della libertà non sono asfaltate. Scegliere dove camminare senza bussole non è affatto semplice ma guardandosi intorno senza voltarsi indietro la pista dell’anarchismo è in primo luogo, una precisa scelta di campo. Il movimento libertario, nella sua molteplicità di approcci e tendenze, offre disponibilità al confronto e riconosce come compagni di lotta anche chi non condivide le idee anarchiche, questo non significa affatto che sia un ombrello sotto cui porre qualsiasi interpretazione personale dell’anarchia. Si può essere individualisti o comunisti, organizzatori o antiorganizzatori, educazionisti  o insurrezionalisti, ma comunque certi presupposti sono fuori discussione perché definiscono l’anarchismo stesso. Il rifiuto coerente di ogni potere (politico, militare, religioso …) e di ogni sfruttamento (sia questo capitalista o statale), di tutte le discriminazioni (razziste, di genere …), delle diverse forme di coercizione (polizie, leggi, carceri, lager, sedie elettriche, torture, repressione, proibizionismo …) non sono un di più, bensì punti fermi di un pensiero davvero alternativo e antagonista al dominio. Nessuno/a è obbligato a condividerli, ma sia chiaro che chi non vi si riconosce si colloca fuori dall’anarchismo. Un metodo incentrato sull’auto-emancipazione, attraverso l’impegno per l’autoformazione individuale, l’azione diretta e l’autogestione collettiva. Perché la liberazione è rivoluzione quotidiana, a partire dal proprio intessere relazioni e vivere in un mondo che certo non è il migliore possibile. La libertà non ammette limitazioni da parte dei suoi nemici. Fuori da questi paletti c’è l’autoritarismo comunque mascherato o l’illusione riformista, ossia la convinzione di poter pacificamente umanizzare l’inumano. D’altra parte la libertà non è obbligatoria, così come nessuna/o è tenuto ad essere sovversivo.


martedì 9 agosto 2022

9 agosto 1981: il secondo sciopero della fame dei detenuti irlandesi

Il 9 agosto 1981 in tutta l'Irlanda fu attraversata da un'altra ondata di rivolta e scontri nelle strade con la polizia. Ciò avvenne in seguito alla morte di Thomas McElwee, ormai il nono prigioniero politico irlandese a morire in conseguenza del secondo sciopero della fame nel carcere.

Il secondo sciopero della fame fu iniziato da Bobby Sands e altre decine di militanti dell'IRA e alcuni dell'INLA, nel carcere Haze, all'interno del famigerato blocco H.

Le richieste dei detenuti erano chiare:

1) Il diritto di indossare i propri vestiti.

2) Il diritto di astenersi dai lavori penali.

3) Il diritto alla libera associazione.

4) Il diritto ad attività ricreative ed educative in accordo con le autorità carcerarie.

5) Il ripristino del condono della pena.

La lotta per migliorare la situazione dei militanti rinchiusi, durava da molto tempo e fu un escalation di determinazione, forza e sacrificio per i compagni rinchiusi, che trovarono davanti a loro la cinica indifferenza del governo Britannico della Thatcher e la repressione del movimento di massa creatosi al di fuori delle carceri per sostenere i detenuti.

Bobby Sands fu il primo di dieci, a morire di fame nel carcere di Haze. Il coraggio di quelle persone, che come lui fecero questo atto eroico per l'Irlanda e tutti i popoli oppressi, è ricordato ancora oggi. Questo sciopero nella sua tragicità è diventato il simbolo della lotta di liberazione irlandese.

Lo sciopero fu iniziato a marzo e si protrasse fino ad agosto. Il prezzo pagato fu altissimo, e anche se solo alcune delle richieste furono conquistate, il merito più grande dello sciopero, fu il movimento di massa che ne scaturì e che invase le strade d'Irlanda soprattutto nel Nord. La conflittualità e la massificazione della lotta in quel periodo aprirono un nuovo fronte di lotta per la causa dell'Irlanda socialista e portarono moltissimi militanti tra le fila dell'IRA.

A così tanti anni di distanza è bene ricordare le motivazioni che spinsero queste persone a scarificare le proprie vite. Sicuramente molto lontane dal cosi detto "processo di pace".

Lottavano contro chi da otto secoli opprimeva ed opprime tutt'ora la loro terra. Lottavano contro il sistema di sfruttamento e le gabbie economiche del capitaliamo.

Sono morti perchè volevano un'Irlanda libera.

sabato 6 agosto 2022

6 agosto 1922: le barricate antifasciste di Parma

La notte tra il 5 e il 6 agosto le squadre fasciste che assediavano Parma smobilitano e lasciarono velocemente la città senza essere riuscite a penetrare nelle zone di resistenza antifascista. Il 6 agosto nei borghi e nelle piazze la popolazione esultava. Le ragioni sociali e politiche della vittoria antifascista di Parma sono numerose e si legano a vecchie e nuove esperienze del movimento locale dei lavoratori.

Fu in seguito all'inasprirsi delle violenze fasciste contro le organizzazioni e le sedi del movimento operaio e democratico, che l'Alleanza del Lavoro (organo di un ampio fronte sindacale) proclamò per il 1° agosto 1922 uno sciopero generale nazionale in "difesa delle libertà politiche e sindacali". Contro la mobilitazione dei lavoratori si scatenò la violenza delle squadre fasciste lungo tutta la penisola. Nei giorni di agosto furono mobilitati dal Partito Fascista per la spedizione su Parma circa 10.000 uomini, giunti dai paesi del Parmense e dalle province limitrofe; a comandarle venne inviato Italo Balbo, già protagonista di analoghe spedizioni militari a Ravenna e a Forlì. L'Alleanza del Lavoro sospese lo sciopero il 3 agosto, ma le aggressioni aumentarono e solo in poche città fu organizzata la resistenza alle azioni delle camicie nere. Le spedizioni punitive ebbero così un totale successo con la distruzioni di circoli, cooperative, sindacati, giornali ed amministrazioni popolari.

A Parma, sola eccezione, gli sviluppi dello sciopero furono ben diversi: la città divenne teatro di una resistenza armata alle squadre fasciste che, dopo cinque giorni di combattimenti, risultò vittoriosa. La popolazione dell' Oltretorrente e dei rioni Naviglio e Saffi si prepara all'aggressione, come ormai da storica abitudine, innalzando barricate e scavando trincee, volendo difendere ad oltranza le sedi delle organizzazioni proletarie, di quelle centriste e le case, conoscendo le devastazioni che i fascisti avevano compiuto in altri paesi, ad esempio nel Ravennate, guidati proprio da Italo Balbo. A Parma l'idea di resistere si radicava sempre di più. Nei quartieri popolari i poteri istituzionali passarono al direttorio degli Arditi del Popolo comandati da Guido Piceli. Qui l'innalzamento delle barricate, tra le vie strette e torte, con il lancio di tegole dai tetti e di pietre per le strade, si era consolidato come forma di autodifesa contro le forze di polizia e l'esercito già alla fine del XIX secolo.In secondo luogo la cultura parmense dell'interventismo di sinistra e l'esperienza combattentistica nella Prima guerra mondiale di molti lavoratori avevano rafforzato una forte volontà di cambiamento sociale e politico. Inoltre i congedati portarono dal fronte le conoscenze delle tecniche di guerra, la disciplina e la tattica militare. Gli scontri coinvolsero attivamente tutta la popolazione e venne superata ogni polemica politica tra le diverse tendenze: arditi del popolo, sindacalisti corridoniani, confederali, anarchici, comunisti, popolari, repubblicani e socialisti combatterono, fianco a fianco, le squadre delle camicie nere. Cinque furono i caduti dietro le barricate: il consigliere comunale del PPI Ulisse Corassa, il giovanissmo Gino Gazzola, Carluccio Mora, Giuseppe Mussini e Mario Tomba.

L'intreccio tra l'insurrezionalismo urbano e l'esperienza combattentistica, oltre alla figura carismatica di Picelli e alla sua proposta politica per un fronte unitario antifascista, furono alla base degli avvenimenti parmigiani dell'agosto 1922.

6 agosto 1860: La sommossa di Bronte

In “Adele e i Pistacchi” una madre racconta la storia di un uomo, suo figlio e di altri uomini che oggi potremmo definire “vinti” dalla storia e quindi, come spesso accade, in parte cancellati dalla nostra memoria.

L’unità d’Italia era ed è una madre sempre incinta dell’odio e del rancore.

Una storia che andrebbe riscritta e riletta “mille” e “mille” volte ancora.

In tre mesi la Sicilia fu loro, e dopo poche settimane conquistarono tutto il resto.

A Bronte, Adele c'era. Nino Bixio represse una rivolta fucilando cinque innocenti. L'"esempio", prova di potere lascia l'ultimo ricordo davanti al convento di San Vito. Una lapide che condanna quella giustizia sommaria che come mandante ha l'eroe dei due Mondi, un capo che per alcuni altro non era che un miserabile colonialista assassino.

Sconfitti i Borboni, sconfitta l'Italia, sconfitti i liberali, sconfitti i contadini, sconfitti i cinque figli di Adele. Quest'infamia, però, non offuscò il trionfo di Roma.

Nella società del ricatto e non in quella che cerca il dialogo e la convivenza civile buona parte della politica, quella che ci ostacola per tenere in piedi interessi e privilegi privati, commemora l’unità di una nazione dove pullulano studi televisivi e chiudono biblioteche. Lo studio di questi fatti mi riscalda il cervello semi-ibernato.

Qulacuno scrisse che "La storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa", una frase che meglio di altre racchiude il risultato di quell’esigenza di unificazione nazionale..........

Durante l’avanzata di Giuseppe Garibaldi per l’annessione del Regno delle Due Sicilie a Bronte esplode una rivolta.


Il decreto di Garibaldi del 2 Giugno 1860 riapriva l’eterna promessa della divisione delle terre e la “storia” regalava ai contadini il sogno, durato 4 secoli, della “libertà”. La popolazione, allo sbarco dei Mille era divisa in due fazioni: da un lato i "Comunisti" (decisi a difendere gli interessi del Comune e dei popolani, desiderosi di dividersi i demani comunali ed avere finalmente accesso ad un pezzo di terra); dall'altro i "Civili", difensori delle prerogative del Duca di Nelson. L’eterna attesa del cambiamento portò disordini e creò un clima di terrore. I contadini, sicuri di potersi impadronire del patrimonio terriero della Ducea, sfogarono la loro rabbia secolare nell’ eccidio di "cappelli" e di "ducali".

L’eroe dei due mondi, più per tutelare gli interessi dei possedimenti inglesi (in merito erano pressanti le sollecitazioni del console inglese John Goodwin) che per ragioni di ordine pubblico, diede ordine al suo fidato luogotenente Nino Bixio, di recarsi immediatamente a Bronte per reprimere la rivolta. Contro i diritti primari dei brontesi scelse quelli impropri dei cittadini inglesi.

L’ammiraglio Nelson, così come Guglielmo e Franco Thovez, era un inglese ormai così bene ambientato da poter essere considerati notabili del paese. “a loro che si deve il particolare rigore che Garibaldi raccomandò a Bixio per la repressione della rivolta di Bronte e che Bixio ferocemente applicò: alle sollecitazioni del console inglese, a sua volta dai fratelli Thovez sollecitato”. (Leonardo Sciascia)

Oltre allo stato d'assedio, l’eroe dei due mondi, applicò pesanti sanzioni economiche alla popolazione. Con un "proclama" intimò nel termine di tre ore la consegna delle armi ed una tassa di guerra di 10 onze l’ora.Per dare anche un esempio di rigore, quale deterrente per altre simili situazioni che stavano verificandosi in altri comuni, attuò una rappresaglia senza precedenti contro l’inerme popolazione contadina trasformando, improvvisato giustiziere, in vittime innocenti i primi che caddero nella rete. Costituito un tribunale di guerra in poche ore vengono giudicate circa 150 persone e di queste 5 innocenti condannati alla esecuzione capitale. Tra gli uomini uccisi, senza un regolare processo ed in totale assenza di prove, vi era anche Nunzio Ciraldo Fraiunco totalmente incapace d'intendere e di volere.

«In paese erano tornati a fare quello che facevano prima; già i galantuomini non potevano lavorare le loro terre colle proprie mani, e la povera gente non poteva vivere senza i galantuomini. Così fu fatta la pace». E il Radice aggiunge che «così ebbe fine questa sanguinosa sommossa, che ira cumulata di generazioni per soprusi e ingiustizie, mal governo del Comune, pochezza di senno e di animo nelle autorità e nei cittadini, discordia e cupidigia di potere in tutti, fruttò al paese tanto sterminio e tanta morte».

giovedì 4 agosto 2022

Un mondo dove la gratuità è peccato

In un mondo che proibisce assolutamente solo la gratuità, tutto è lecito fuorché il godimento. Agli occhi delle religioni, ogni piacere era peccato. Così, traducevano nel cielo della merce, Io sguardo  castratore della necessità di produrre. Ma tanto va il profitto che ormai i piaceri si emancipano dal peccato: si riacquistano comprandoli, e la loro apparente libertà è un assoggettamento ancora più grande all'economia resa alla sua verità terrena. Come il salariato, essi hanno il prezzo di costo di una vita di proletario. Non ci sarà emancipazione  del proletariato senza emancipazione  reale dei piaceri. Il godimento non ha frontiere, e noi intendiamo premunirci contro tutto ciò che tenta di limitarlo. Quando il desiderabile cede al necessario, noi lo sfuggiamo come un lavoro. Ciò che si accanisce a distruggerci ci indica assai bene che non c'è piacere all'infuori dell'affermazione della vita.

lunedì 1 agosto 2022

I tempi non sono maturi!

I tempi non sono maturi! Ecco come s’insulta all’umanità, al diritto, alla giustizia. Ecco la più insulsa delle offese, e la più cretina delle risposte.

Chi farà maturi i tempi? E chi ne avvertirà del momento quando lo saranno? E che farete voi anche allora, perché non lo fate adesso? Voi direte allora: “I tempi non sono maturi”. Perché voi non volete il progresso, perché voi non volete la libertà, perché voi non volete la giustizia.

I tempi sono sempre maturi, per togliere l’ingiustizia, quando l’ingiustizia esiste. Attendete che l’uomo si sia rimesso in piedi per rialzarlo? Allora sarà venuto il momento di dargli aiuto? O quando giace? O quando l’aggressore gli sta sopra? O quando vi chiede soccorso?

I tempi sono maturi, quando domina l’ingiustizia, quando trionfa il male, quando la misura e colma, quando la voce dell’umanità oltraggiata si alza terribile, e fa agghiacciare il sangue dei traditori, dei parassiti.

I tempi sono maturi, perché si sente nell’aria un rombo che è come la voce di mille e mille grida di dolore e di rabbia, perché l’eco se ne ripercuote fragorosa dalle catene dei monti d’Irlanda a quelle della Sicilia; perché un grande pensiero avvicina gli operai di tutto il mondo; perché tutti gli schiavi si fanno della partita.

Sì, il polline è maturo e sta per cadere, perché l’ovario si distende trepidante, invocando il bacio fecondatore. Prepariamo il terreno che si vuol coltivare.

Bisogna ricuperare la massima parte dell’umanità, che langue senza pensiero, senza dignità, senza vita.

E non sono maturi i tempi per farlo?

I tempi sono maturi!

Proviamo a scuotere tutti insieme basti e catene!

Si udirebbe un gran fracasso!

Il fracasso divertirà … e si vedranno allibire quelli che ce lo vogliono tenere il basto, quelli che dicono i tempi non sono maturi.

 

(Da Carlo Cafiero, La Plebe, Milano, 26-27 novembre 1875)