..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

Translate

giovedì 25 aprile 2019

Giovedì 25 aprile. Ricordo, fiori, bicchierata alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni

Giovedì 25 aprile ore 15 - ricordo, fiori, bicchierata, info antifascista e distro alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni in corso Giulio Cesare angolo corso Novara
Il governo caccia i poveri dalle città, riduce le tutele per i profughi, condanna a morire in mare e nelle galere libiche i migranti, apre nuove prigioni per i senza documenti.
Il lavoro è precario e pericoloso, i padroni diventano sempre più ricchi, i militari sono nelle nostre strade: siamo in guerra.
Oggi come nel 1945 la democrazia è un’illusione di libertà e giustizia, che somiglia sempre più al fascismo.
I partigiani di Barriera hanno combattuto perché volevano un mondo libero, senza schiavitù salariata.
Il loro sogno continua ogni giorno nella lotta per una società di liberi ed eguali.

martedì 23 aprile 2019

Cinque su sei. Dopo mesi in carcere assolti gli antifascisti di Torino

Il 22 febbraio a Torino un corteo antifascista cingeva d’assedio il comizio finale di un partitino neo-fascista che aveva affittato un lussuoso hotel per chiudere la propria campagna elettorale. In tempi di vortici social, la memoria si fa corta e l’indignazione diventa merce deperibile quindi ricordiamo brevemente il contesto in cui quel corteo ebbe luogo.
Due settimane prima, a Macerata, un uomo di ventott’anni, già candidato con la Lega nord, prende la sua auto e comincia a sparare su tutti i neri che gli capitano a tiro e ferendone sei. Prima di arrendersi fa il saluto romano e si avvolge in un tricolore. Indignazione, lacrime di coccodrillo della politica ma la campagna elettorale va avanti. Anzi, l’agibilità dei vari partitini neo-fascisti, formazioni che spesso non potrebbero neanche mettere il naso fuori dalle rispettive sedi se non fossero protetti da ingenti schieramenti di polizia, viene garantita manu militari dall’allora ministro dell’interno Marco Minniti. È esattamente quello che succede il 22 febbraio a Torino quando centinaia di agenti in assetto anti-sommossa vengono schierati per difendere il nazi meeting. Nonostante la sinistra cittadina butti acqua sul fuoco da giorni chiedendo che l’antifascismo rimanga nel platonico regno delle idee, per ore una corposa marcia antifascista prima chiede a gran voce di passare poi prova concretamente ad arrivare all’hotel NH. Al corteo segue un’isteria nazionale senza precedenti. Una maestra elementare che ha avuto l’ardire di insultare la polizia dopo aver preso una manganellata viene licenziata tra le acclamazioni giornalistiche, l’allora presidente del consiglio Matteo Renzi va in TV chiedendo bava alla bocca pene esemplari contro gli antifascisti, i sindacati di polizia pretendono la testa dei manifestanti sostenendo di aver subito attacchi con armi letali degne di jeeg robot. La procura di Torino si mette subito in moto e a qualche settimana dal corteo arresta sei persone riconosciute in piazza perché per lo più attive nella lotta notav, nei collettivi studenteschi e nei picchetti anti-sfratto. Poche settimane dopo Matteo Salvini, che con il partitino neo-fascista del comizio aveva scattato selfie e intrattenuto stretti rapporti, diventa ministro dell’interno.
L’impianto accusatorio mosso contro gli arrestati appare da subito semplicemente grottesco. Ad alcuni manifestanti vengono imputati interventi al megafono troppo “aggressivi” contro i fascisti, altri vengono riconosciuti fantasiosamente su alcuni video. Tutto ruota attorno al cosiddetto “concorso morale” di cui si sarebbero resi colpevoli i manifestanti partecipando a un tale corteo senza che siano imputabili loro singole condotte criminose. L’importante è comunque inscenare uno spettacolo che risponda alle attese di giustizia sommaria invocate dalla politica. Un liceale diciottenne viene arrestato all’alba, esibito come un trofeo di caccia nei video ufficiali della questura di Torino. Messo agli arresti domiciliari, per giorni gli viene impedito di frequentare la scuola. Una studentessa subisce una perquisizione domiciliare durante la quale il possesso di adesivi “io sono antifascista” del celebre fumettista zerocalcare viene considerata una prova della sua “radicalità ideologica”. Un falegname poco più che vent’enne viene tradotto in carcere dove viene detenuto per tre mesi e per poi essere messo agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. Durante la detenzione la procura di Torino riesce a fargli perdere due posti di lavoro negando pervicacemente i permessi. Tutti vengono sottoposti a pesantissime misure cautelari chi rimane detenuto, chi è costretto all’obbligo di firma per mesi prima che inizi qualsiasi processo. Processo la cui sentenza è arrivata proprio ieri. Cinque dei sei arrestati sono stati semplicemente assolti per non aver commesso il fatto.
Poco ci interessa fare dei distinguo giuridici. Per noi quel corteo era giusto e necessario, le pratiche messe in campo la minima risposta necessaria davanti ai fatti di Macerata e alla palese connivenza delle autorità italiane alla presenza neo-fascista nel nostro paese. Tutti i manifestanti arrestati, l’abbiamo detto fin dal primo giorno, non avevano altra colpa se non quella di aver fatto seguire alle parole i fatti. Se altri come loro non avessero aspettato di avere i fascisti nelle istituzioni prima di riscoprirsi antifascisti probabilmente non ci troveremmo nella situazione attuale.
Rimane l’ennesima figura imbarazzante della Procura di Torino che usa ormai le misure cautelari come clava per le proprie personali crociate politiche. Procura che non si è fatta problemi a giocare con le vite di sei giovani torinesi separandoli dagli affetti, costringendoli per mesi dietro le sbarre o tra quattro mura per salvare la “democrazia”: quella che garantisce ai fascisti di continuare ad agire indisturbati, alla polizia di fare della prepotenza la cifra della propria azione e ai PM di continuare a fare porcate come questa senza che nessuno chieda loro di renderne conto. A pochi giorni dalla festa della Librazione ci sembra una buona fotografia dello stato dell’arte nel nostro paese.
CSOA ASKATASUNA


mercoledì 17 aprile 2019

L'impulso alla domesticazione


Gli uomini e le donne hanno ceduto la loro spontaneità naturale, fatta di stimoli sensoriali totali, permettendo ad una rete culturale (simbolica) di avvilupparci e di indicarci come vivere e pensare. Infatti, "la cultura simbolica inibisce la comunicazione umana bloccando o sopprimendo i canali della consapevolezza sensoriale. La nostra esistenza sempre più tecnologica restringe notevolmente il campo di ciò che è percepibile". La cultura simbolica ha operato in modo radicale e progressivo nell'addomesticare i nostri sensi, disponendoli secondo una logica gerarchica che privilegia la vista, quel senso che più degli altri crea una distanza tra gli esseri e le cose, trasformando l'individuo in uno spettatore: "La supremazia del visivo non è affatto accidentale: la gratuita elevazione della vista nella gerarchia dei sensi non solo pone il vedente al di fuori di ciò che vede, ma rende fondamentalmente possibile il principio di controllo di dominio". L'udito, l'olfatto, il tatto vengono isolati e sottomessi gerarchicamente alla vista, mentre le sensazioni corporee più intime e profonde vengono umiliate e sottovalutate: "Il vero marchio di fabbrica della società moderna è la definitiva separazione corpo/mente, ascritta all'idee di Cartesio. La grande ansia cartesiana, lo spettro del caos intellettuale e morale, è stata risolta attraverso la soppressione della dimensione sensuale e passionale dell'esistenza umana. Ancora una volta, alla base della cultura troviamo l'impulso alla domesticazione, la paura di non avere il controllo; un controllo che in questo caso punta il dito contro i sensi, con spirito di vendetta".

sabato 13 aprile 2019

Il filo rosso


La manifestazione del 23 marzo a Roma “per il clima e contro le grandi opere inutili e imposte”, è stata davvero grande, e non solo per i numeri; si può infatti disquisire se eravamo in 150.000 o la metà, ma nessuno può ignorare il fatto che da tutta Italia e dalle isole, decine di migliaia di persone, attivisti di base, organismi di lotta il cui elenco sarebbe praticamente impossibile da fare, con i propri mezzi, si siano spostati nella capitale per esprimere un corale e unitario No alle politiche distruttive del capitalismo, alla sua folle corsa al profitto che dopo aver impoverito buona parte del Pianeta, adesso sta mettendo in discussione l’intera esistenza della vita sulla stessa Terra. Il silenzio dei media, del resto, è la conferma della necessità, da parte di governo e padronato, di oscurare un evento di portata forse storica.
Il dato politico rilevante, oltre quello quantitativo, è questa nuova fase dei movimenti, i quali, cercando e trovando un filo rosso comune, hanno dimostrato quanta apertura, quanta coscienza, quanta capacità di analisi ci sia nelle singole resistenze territoriali, i cui percorsi sono tutti egualmente incanalati verso una visione generale del problemi. Cioè dello sfruttamento delle risorse e degli esseri umani, delle ineguaglianze, della mancanza di giustizia sociale, delle guerre e delle politiche militariste e guerrafondaie condotte anche laddove c’è la”pace”: leit motiv che accomuna tutti i sistemi di dominio nel Mondo, tutti gli Stati, tutte le strategie economiche del capitale e dei suoi strumenti operativi.
In ogni angolo del Paese, dentro ognuna delle tante battaglie che fette di popolazione, in maniera autorganizzata, portano avanti contro un progetto imposto, devastante, finalizzato solo all’arricchimento di pochi, borghesi, mafiosi o magnati locali, nazionali o internazionali, si svolge una parte di questa battaglia per salvare il Pianeta.
La ricchezza, la varietà, la consistenza della manifestazione del 23 marzo ha di fatto cancellato il ruolo dei partiti, grandi e piccoli, della cosiddetta sinistra come del qualunquista Movimento 5 Stelle; ognuno a modo suo ha cercato di intestarsi una singola lotta o tutte nel loro insieme, cercando di usare la passione e la tenacia di migliaia e migliaia di persone che da anni ci mettono la faccia, i corpi, e la stessa loro libertà; col discorso sul clima partiti come il PD, da sempre dalla parte dei devastatori ambientali, si cerca di rifare una verginità. Il grande movimento di massa del 23 marzo ha spazzato via ogni illusione che le battaglie popolari possano essere cavalcate da qualcuno, o che ci possano addirittura essere governi amici; i governi, da che mondo e mondo, mandano la celere e la digos, i carabinieri e l’esercito; difendono gli interessi dei saccheggiatori privati o di Stato; sprecano miliardi in spese militari e sono asserviti alle logiche di guerra, le stesse che in Sicilia ci impongono da ben 70 anni la base di Sigonella e tutte le altre, e da alcuni anni il MUOS di Niscemi, strumenti di offesa e di morte.
Certamente non siamo così ingenui da non comprendere come anche all’interno di questi movimenti soffino mire egemoniche da parte di una o l’altra componente “più forte” e dei loro sponsor più vicini; questo rimane un discorso aperto su cui va espressa la massima attenzione per evitare che le strumentalizzazioni che abbiamo fatto uscire dalla porta rientrino dalla finestra.
D’altro canto, non è neanche un mistero che all’interno della maggior parte delle realtà territoriali o meno, agiscano forze politiche e sindacali minoritarie, o siano in atto tentativi di far passare progetti di coordinamento finalizzati a strategie e obiettivi elaborati all’esterno. La differenza con il passato è che molte realtà sono in possesso degli anticorpi necessari a tenere sotto controllo tali ingerenze, a difendersene per garantirsi la propria libertà. E la dimostrazione ce l’ha data proprio il corteo di Roma, dove, in una piazza S. Giovanni già gremita, affluiva la patetica coda del corteo composta da partitini residuali, autoreferenziali, in maniera evidente staccati dalla massa popolare e militante.
Un passo importante è stato fatto; adesso bisogna continuare la corsa, perché c’è sempre meno tempo e sempre più rabbia.
Pippo Gurrieri

giovedì 11 aprile 2019

Senza confini

La trasgressione dei confini esistenti e la contestazione degli stessi possono ispirare una nuova forma di cittadinanza, che permetta la coabitazione di diversi, che consenta alle singolarità di fare comunità senza rivendicare un'identità, a alle persone di coappartenere senza una rappresentabile condizione di appartenenza.
Così come i mondi, anche i nostri luoghi di enunciazione interiore hanno le proprie geografie. Le trans-culture non temono nessuna geografia. La ricerca dei continenti inesplorati deve portare fino alla vertigine in cui ribolle la materialità e l'immaterialità della vita, come ci hanno insegnato i surrealisti. Ci deve essere una biologia per scatenare le forze degli esseri, e le relazioni tra loro, senza usare le inservibili pratiche della vecchia politica, così come c'è, nella medicina cinese, una tecnica per guarire parti del corpo, toccando punti sull'estensione del corpo stesso, lontano dalle parti da curare.

lunedì 8 aprile 2019

I cittadini e la città

Nelle città la maggior parte delle persone non riesce a vivere come vuole; l’ambiente urbano, così com'è, non permette che nascano e si sviluppino le loro personalità; è inadatto a soddisfarne i bisogni, organizzato com'è a vantaggio di qualcos'altro. L’attività di ognuno, che sia lavoro, uso del tempo libero, dormire, cucinare, studiare, eccetera, è di norma organizzata in spazi che solo in minima parte possono essere creati, modificati e gestiti da chi li abita. Gli ambienti sono concepiti in modo tale che l’abitare sia funzionale non alla vita di ciascuno, ma agli interessi di persone estranee ad essa. Così la scuola è costruita primariamente per educare alla disciplina, la fabbrica o l’ufficio per creare profitto, i condomini per spezzare la socialità, il cubo in cui viviamo per ammansirci; difficilmente possono essere modificati.
Se si vuole cambiare qualche cosa nella propria casa si deve chiede il permesso a qualche autorità.
Regolamenti edilizi e burocrazie di ogni genere hanno criminalizzato ogni intervento creativo all’esterno, ma anche all’interno delle abitazioni.
Nell’intimo delle mura domestiche la possibilità di gestire lo spazio si limita a poche cose, per lo più intese a isolare all’interno delle quattro mura le persone che ci abitano.
L’unico ambito in cui si ha il permesso di organizzare la propria casa è confinato alla disposizione dei mobili, alla tinteggiatura delle pareti: tutto il resto è precluso, dove si abita e come si abita sono sotto stretto controllo.
Per cambiare tutto ciò, l’individuo deve evolversi, liberarsi dalla delega, diventare cittadino a tutti gli effetti fino a trovare il proprio posto e mettere le radici. Questo cambiamento spetta a coloro che nel territorio vivono, non a coloro che ci investono, e l’unico ambito in cui ciò è possibile è quello offerto dall’autogestione territoriale generalizzata, cioè la gestione del territorio da parte dei suoi abitanti attraverso assemblee comunitarie. La città deve generare un’aria che renda liberi gli abitanti che la respirano.

giovedì 4 aprile 2019

La società maschiocentrica


In una civiltà che svaluta la natura, la donna diventa l'immagine della natura, la più debole e la più piccola, e le differenze fra i sessi imposte dalla natura diventano, in una società dominata dai maschi,le più umilianti che possano esistere... uno stimolo chiave all'aggressione.
Ciò nondimeno, la donna ossessiona questa civiltà maschile con un potere che non è solo arcaico e atavico: ogni società maschiocentrica deve continuamente esorcizzare gli antichi poteri della donna, che risiedono nella sua capacità di riprodurre la specie, di allevare la prole, di fornire un rifugio amoroso dal mondo ostile, cioè in realtà di svolgere quei compiti - coltivazione del cibo, ceramica, tessitura, per citare le più sicure invenzioni tecniche femminili - che rendono possibile quel mondo, per quanto in termini assai differenti da quelli formulati dal maschio.
Ancor prima che l'uomo intraprenda la conquiste dell'uomo, ovvero il dominio di una classe sull'altra, la morale patriarcale gli impone di affermare la sua conquista della donna. Il soggiogamento della natura femminile e la sua assimilazione nel complesso della morale patriarcale costituiscono il primo atto di dominio e un processo che porterà, nell'immaginario maschile, all'idea di sottomissione della natura. Non è forse casuale che i termini natura e terra abbiano conservato il genere femminile fino ai giorni nostri. Quello che può sembrarci un atavismo linguistico, riflesso di una epoca trapassata, in cui la vita sociale era matricentrica e la natura ne era la dimora domestica, potrebbe anche essere una persistente sottile espressione della continua violenza dell'uomo sulla donna come natura e sulla natura come donna.