..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

Translate

giovedì 29 dicembre 2022

Adeus Pelé

 

Max Stirner in birreria

Max Stirner era il suo nome di battaglia, in realtà il suo vero nome era Johann Kaspar Schmidt, nato il 25 ottobre 1806 a Bayreuth. Il suo pseudonimo di Stirner è un soprannome dovuto alla sua fronte pronunciata (Stirn in tedesco). Nome conservato per L’unico e la sua proprietà e le sue altre produzioni. Max amava frequentare il famoso gruppo del circolo berlinese dei « Liberati ». Un particolare gruppo davvero questo circolo o federazione che teneva le sue riunioni presso un certo Hippel, barista famoso per la buona qualità delle bevande ch'egli preparava e la cui casa era situata in una delle vie più frequentate della Berlino di allora. Senza statuto, senza presidente si disprezzavano tutte le correnti critiche e ci si faceva beffe di ogni tipo di censura. Qui si svolgevano discussioni molto appassionate in mezzo al fumo che emanavano le lunghe pipe di maiolica ben conosciute da coloro che hanno frequentato le birrerie al di là del Reno; si discuteva vuotando molti gotti di birra. Qui s'incontravano e si affiancavano svariati tipi umani, i frequentatori fissi e il circolo intimo, fedeli al loro posto per degli anni, infine c'erano degli ospiti saltuari che venivano, se ne andavano, tornavano, sparivano. Per comprendere bene la storia di questo gruppo, che è fino a un certo punto anche il luogo di nascita de L’Unico e la sua proprietà, bisognerebbe mettersi nei panni del mondo intellettuale tedesco dal 1830 al 1850. La Germania era allora sconvolta da cima a fondo, sia dalla critica della religione — la Vita di Gesù di Strauss è di questo periodo — sia dalle aspirazioni verso la libertà politica che dovevano concludersi con la rivoluzione tedesca del 1848. Presso i «Liberati» si discuteva di tutto e su tutto: su la politica, sul socialismo (nella sua forma comunista), sull'antisemitismo (che cominciava ad affermarsi), sulla teologia, sul concetto di autorità. Dei teologi come Bruno Bauer si frequentavano con dei giornalisti liberali, dei poeti, degli scrittori, degli studenti felici di sfuggire all'insegnamento accademico e persino qualche ufficiale capace di parlare di altri argomenti oltre che di cavalli e di donne e dotato d'abbastanza tatto per lasciare arroganza e frustino sulla porta. Si scorgeva anche qualche donna del bel mondo. Marx ed Engels lo frequentarono, ma non vi si trattennero.

Scioperati e iconoclasti com'erano, i «Liberati» non ebbero mai buona stampa, né buona fama. Si è insinuato che presso Hippel si svolgessero sempre delle vere e proprie orge alla tedesca. Uno dei loro visitatori occasionali, Arnold Ruge gridò loro un giorno: «voi volete essere dei liberati e non notate nemmeno la melma puzzolente dove vi siete tuffati. Non è con delle sconcezze che si liberano gli uomini e i popoli. Purificate voi stessi prima di accingervi a un tale compito». Max Stirner frequentò per dieci anni i «Liberati». Egli vi portava il suo sorriso ironico, lo sguardo sognatore e penetrante che emettevano, dietro gli occhiali d'acciaio, i suoi occhi blu.


lunedì 26 dicembre 2022

“I dirigenti rivoluzionari”

Dal momento in cui il popolo in rivolta rinuncia alla sua volontà per seguire quella dei suoi consiglieri, perde l'impiego della sua libertà e incorona, con l'ambiguo titolo di dirigenti rivoluzionari, i suoi oppressori di domani. In ciò consiste, in qualche sorta, l'astuzia del potere parcellare: esso genera delle rivoluzioni parcellari, scisse dal rovesciamento di prospettiva, separate dalla totalità; paradossalmente dissociate dal proletariato che le fa. Come potrebbe la totalità delle libertà rivendicate accontentarsi di qualche briciola delle libertà conquistate senza fare subito le spese di un regime totalitario? Si è creduto di vedervi una maledizione: la rivoluzione che divora i suoi figli: come se la sconfitta di Makhno, l'annientamento di Kronstadt, l'assassinio di Durruti non fossero già stati implicati dalla struttura dei nuclei bolscevichi iniziali, forse anche dai modi autoritari di Marx nella Prima Internazionale. Necessità storica e ragione di stato non sono che necessità e ragione dei dirigenti chiamati ad avallare il loro abbandono del progetto rivoluzionario, il loro abbandono della radicalità. La nuova ondata insurrezionale riunisce oggi dei giovani che si sono tenuti lontani dalla politica specializzata, che sia di sinistra o di destra, o che vi sono passati rapidamente, il tempo di un errore di giudizio o di un'ignoranza scusabili. Nel maremoto nichilista, tutti i fiumi si confondono. Ciò che importa è solo l'al di là di questa confusione. La rivoluzione della vita quotidiana sarà la rivoluzione di quelli che, ritrovando con maggiore o minore facilità i germi di realizzazione totale conservati, contrastati, nascosti nelle ideologie di ogni genere, avranno per ciò stesso cessato di essere mistificati e mistificatori.

venerdì 23 dicembre 2022

23 dicembre 1984: La strage del rapido 904

 

Il 23 Dicembre 1984 viene ricordato per la "Strage del rapido 904", anche detta "Strage di Natale".

Il rapido 904, proveniente da Napoli e diretto a Milano, quel giorno era pieno di viaggiatori, dal momento che era il periodo pre-natalizio. Il treno non giunse mai a destinazione: nella galleria di S. Benedetto Val di Sambro venne colpito da un attentato dinamitardo. Verso le 19 di sera ci fu una violentissima esplosione. L'ordigno, collocato sul treno durante la sosta alla Stazione di Firenze Santa Maria Novella, era stato posto su una griglia portabagagli, pressapoco al centro del convoglio. La detonazione fu causata da una carica di esplosivo radiocomandata. Al contrario del caso dell'Italicus, però, questa volta gli attentatori attesero che il veicolo penetrasse nel tunnel, in modo da massimizzare l'effetto della detonazione.

L'esplosione causò 15 morti e 267 feriti. I soccorsi però arrivarono con difficoltà, dato che l'esplosione aveva danneggiato la linea elettrica e parte della tratta era isolata. Inoltre il fumo bloccava l'accesso dall'ingresso sud dove si erano concentrati inizialmente i soccorsi. Ci volle più di un'ora e mezza perchè i primi aiuti riuscissero a raggiungere il luogo dell'esplosione. Nel conto finale delle vittime, i morti furono 17. Tutto fu predisposto per provocare il maggior numero possibile di vittime: l’occasione del Natale, la potenza dell’esplosivo, il “timer” regolato per fare esplodere la bomba sotto la galleria in coincidenza del transito, sul binario opposto, di un altro convoglio. Dal momento che l'esplosione avvenne pressapoco nei pressi del punto in cui dieci anni prima era avvenuta la strage dell'Italicus e che fu utilizzato lo stesso esplosivo usato per l'agguato di via Amelio, l'attentato fu immediatamente ricondotto alla Mafia e Riina fu indicato come mandante della strage.

L'obiettivo, secondo il Pm che si occupò inizialmente dell'indagine, era quello di distogliere l'attenzione di polizia e magistratura dalla mafia e rilanciare il terrorismo come unico reale nemico contro cui lo Stato doveva combattere. Fin dall'inizio però emersero altre responsabilità: dall'ambiente dell'estrema destra ai serivizi segreti. Un deputato missino fu condannato per aver consegnato l'esplosivo nelle mani di Misso, boss camorrista e neofascista del rione Sanità. La stessa commissione parlamentare ha segnalato la "distrazione" di Sismi e Sisde nel segnalare attività di tipo terroristico. Secondo l'associazione dei familiari delle vittime, i mafiosi non sono i soli responsabili dell'attentato e la commissione parlamentare "[...] ha evidenziato la possibilità e l’attualità della reiterazione di atti criminali alla scopo di turbare e condizionare lo svolgimento della vita democratica del Paese, mettendo in luce come nel caso dei più recenti attentati del 1993, vi sia stata un’opera sistematica di disinformazione della “falange armata” che si è avvalsa di un supporto informativo e logistico non disponibile sul semplice mercato criminale".

 

mercoledì 21 dicembre 2022

I Falsi Principi della Nostra Educazione - Max Stirner

Una volta conquistata la libertà di pensiero, esiste uno sforzo nel nostro tempo per perfezionarla, con lo scopo di trasformarla in libera volontà, principio di una nuova epoca. In tal modo lo scopo finale dell'educazione non può più essere il sapere, ma il volere nato da questo sapere. In breve l'educazione tenderà a creare un individuo personale e libero. Che cos'è la verità se non la rivelazione  di chi siamo  noi? Si tratta di scoprire noi stessi, di liberarci da tutto quello che ci è estraneo, di sottrarci o di sbarazzarci di ogni autorità, di riconquistare la spontaneità. La scuola non forma degli uomini così assolutamente autentici. Se ne esiste qualcuno, ciò avviene  malgrado la scuola. Questa senza dubbio ci rende padroni delle cose e anche al limite padroni della nostra stessa natura. Ma essa non crea in noi dei caratteri liberi. In effetti  nessun tipo di cultura, fosse anche approfondita ed estesa, e nessuno spirito acuto e sagace e nemmeno nessuna abilità dialettica possono premunirci contro la bassezza del pensiero e della  volontà. Tutti i tipi di vanità e di sete di guadagno, d'arrivismo e di zelo servile e di doppiezza ecc. si accompagnano molto bene sia con un'ampia cultura, sia con un'elegante formazione classica e tutto questo fardello scolastico che non esercita nessun'influenza sul nostro comportamento morale, noi lo dimentichiamo spesso; tanto più facilmente in quanto non ci serve a nulla. Ci si scrolla via la polvere della scuola non appena la si lascia. Perché? Perché l'educazione consiste unicamente nella forma o nel contenuto, al massimo in una mescolanza di entrambi, ma nient'affatto nella verità, nella formazione dell'uomo vero. Come certi altri campi, il campo pedagogico fa parte di quegli ambiti in cui ci si sforza di non lasciare  passare la libertà, di non tollerare il dissenso: quello che si vuole ottenere è la sottomissione. Non si mira ad altro che a un addestramento puramente formale e materiale. Dalle formazioni degli umanisti non escono che dei sapienti, da quelle dei materialisti che dei «cittadini utili». Il nostro buon vecchio carattere  fondamentale di «cattiveria» è represso con molta energia e perciò avviene il rinnegamento della cultura in una volontà libera. In tal modo la vita scolastica forma essa stessa dei filistei. Nella stessa misura in cui da bambini ci veniva insegnato ad accettare tutto quello che ci veniva imposto, noi più tardi ci siamo accomodati in una vita positiva; noi ci pieghiamo, a nostra volta, noi ne diventiamo i servi, e i pretesi «buoni cittadini».

domenica 18 dicembre 2022

18 Dicembre 1922: la strage di Torino

Il 18 dicembre del 1922 inizia quella che viene ricordata come ‘La strage di Torino': nelle giornate tra il 18 ed il 20, le squadre fasciste aggrediscono diversi militanti delle organizzazioni popolari, uccidendo 11 antifascisti e causando decine di feriti.

A partire dalla marcia su Roma di un paio di mesi prima, a Torino la violenza squadrista si era già manifestata più volte con particolare ferocia.

Ad essere colpiti nelle tre giornate di dicembre sono operai, sindacalisti, militanti comunisti.

Tutto ha inizio la sera del 17, quando l’operaio e militante comunista Francesco Prato subisce un agguato da parte di un gruppo di tre fascisti che gli sparano ad una gamba; Prato si difende prontamente e uccide due degli squadristi, mentre il terzo riesce a mettersi in fuga.

La rappresaglia fascista non tarda a farsi sentire: la mattina del 18 dicembre una cinquantina di camicie nere, capitanate dal federale Pietro Brandimarte, fa irruzione all’interno della Camera di Lavoro di Torino, dove il deputato socialista Vincenzo Pagella, il ferroviere Arturo Cozza e il segretario della Federazione dei metalmeccanici, Pietro Ferrero, vengono picchiati dagli squadristi e poi lasciati andare.

Di qui ha inizio una serie di incursioni (sia nelle strade che nelle abitazioni) a danno di diversi personaggi ‘scomodi’. Ora i fascisti attaccano con il chiaro intento di uccidere, forti della garanzia di non intervento che le autorità cittadine hanno deciso di adottare in un vertice in Prefettura che si conclude poche ore prima dell’inizio degli eccidi.

Il primo ad essere colpito è Carlo Berruti, segretario del Sindacato ferrovieri e consigliere comunale comunista, che viene caricato in una macchina e portato in aperta campagna, dove viene fatto incamminare lungo un sentiero per essere poi colpito alla schiena da diversi proiettili.

Nel primo pomeriggio un gruppo di squadristi fa irruzione in un’osteria di via Nizza, perquisendo ed identificando tutti i presenti: Ernesto Ventura, trovato in possesso della tessera del partito Socialista, viene colpito con una revolverata, mentre il gestore del locale, Leone Mazzola, dopo aver tentato di opporsi all’attacco dei fascisti, viene colpito a coltellate e poi freddato da un colpo di pistola. Nel frattempo l’operaio Giovanni Massaro scappa dal locale ma viene rincorso fin dentro la sua abitazione e ucciso.

In serata è il turno di Matteo Chiolero, fattorino e comunista, che, rientrato a casa propria dopo il lavoro, sente bussare alla porta, apre e viene freddato senza una parola da tre colpi alla testa, sotto gli occhi terrorizzati della moglie e della figlia di due anni.

Il comunista Andrea Chiomo viene prelevato poco dopo da sette fascisti, trascinato in strada e massacrato di botte; con le ultime energie rimastegli riesce a scappare per pochi metri ma viene raggiunto da una fucilata alla schiena.

Pietro Ferrero, già vittima della violenza fascista consumatasi durante la mattinata, aveva deciso di lasciare la città la mattina successiva, ma viene scoperto mentre passa di fronte alla Camera del Lavoro, assediata ormai da ore dalle camicie nere, che lo portano in una stanza dell’edificio adibita a prigione e lo picchiano selvaggiamente. Verso mezzanotte il corpo di Ferrero, incapace di muoversi ma ancora vivo, viene legato ad un camion e trascinato sull’asfalto per diversi metri per essere poi abbandonato in mezzo alla strada.

Le ultime due vittime di quella giornata di terribile violenza sono Emilio Andreoni e Matteo Tarizzo.

Il primo, operaio di 24 anni, viene prelevato dalla sua abitazione e ucciso poco fuori Torino; successivamente gli squadristi tornano a casa di Andreoni e, con la moglie e il figlio di un anno presenti, la devastano.

Matteo Tarizzo, 34 anni, viene sorpreso nel sonno dall’irruzione dei fascisti, prelevato e ucciso a bastonate poco lontano da casa sua.

Durante la giornata del 18 dicembre molte altre persone vengono ferite, anche in modo grave.

I vili attacchi squadristi proseguirono ancora per tutti e due i giorni successivi.

Fu chiaro da subito che l’omicidio dei due fascisti ad opera di Francesco Prato era stato solo un pretesto per mettere in atto un piano preordinato che vedeva la connivenza delle autorità cittadine e delle forze dell’ordine, che durante diversi attacchi squadristi consumatisi nei tre giorni rimasero impassibili a guardare.

L’obiettivo era quello di dare un segnale a tutta la città di Torino, che da subito si distinse per la sua forte resistenza al fascismo.

Lo stesso Brandimarte dichiarerà due anni dopo che l’operazione era stata «ufficialmente comandata e da me organizzata [...] noi possediamo l'elenco di oltre tremila nomi sovversivi. Tra questi tremila ne abbiamo scelto 24 e i loro nomi li abbiamo affidati alle nostre migliori squadre, perché facessero giustizia».

Alle vittime di quei tre giorni è stata intitolata la piazza XVIII Dicembre su cui si affaccia la stazione ferroviaria di Porta Susa di Torino.

giovedì 15 dicembre 2022

Un fatto di cronaca

Nel 1973 quando era in prima media, Claudia Pinelli, la minore delle due figlie di Licia e Pino, raccontò la sua versione dei fatti in un compito in classe.


Tema: Un  fatto di cronaca

Svolgimento

Erano verso le h. 4 del pomeriggio, a un tratto echeggiò una esplosione, molta gente accorse dove si era sentito il boato; davanti a loro stavano le macerie di una banca distrutta e qua e là corpi straziati. Così avvenne quella che noi ora definiamo: La strage di Piazza Fontana. La polizia non sapeva dove mettere le mani, così decise di addossare la colpa agli anarchici. Li vennero a prendere per portarli in questura. In quelle tragiche notti perse la vita il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli fermato dalla polizia come tanti altri suoi compagni. La moglie (Licia Pinelli) ora si sta battendo per scoprire la verità sulla morte del marito, perché lei è convinta con le sue figlie, che Giuseppe Pinelli non si è suicidato, ma sia stato ucciso. La  polizia, vedendo la reazione della moglie, si affrettò subito a dire che Pinelli era un bravuomo e che il giorno seguente lo dovevano liberare. Ma  alla vedova Pinelli non bastavano le loro assicurazioni; ora era sola e doveva provvedere  al mantenimento delle sue due bambine, Silvia di 9 anni e Claudia di 8. Intanto  per la strage di Piazza Fontana  era stato accusato  Valpreda. Sono passati tre anni dalla strage di Piazza Fontana e Valpreda è stato rilasciato in libertà provvisoria senza un vero processo (ben due processi sono stati rinviati). Speriamo che il terzo processo sia quello che faccia trionfare la giustizia liberando gli innocenti e imprigionando i veri colpevoli.

lunedì 12 dicembre 2022

La strage di Piazza Fontana

La strage di p.za Fontana non ci è giunta del tutto inattesa. Da molto tempo prevedevamo e temevamo un attentato sanguinario. Era nella logica dei fatti. Era nella logica dell’escalation provocatoria  iniziata il 25 aprile. Per giustificare la repressione, per seminare la giusta dose di panico, per motivare  la diffamazione giornalistica e scatenare l'esecrazione pubblica ci voleva del sangue. E il  sangue c'è stato. Purtroppo, come avevamo previsto, la repressione mascherata da “democratica” tutela dell'ordine contro gli opposti  estremisti ha continuato la sua  marcia. Solo noi anarchici sembravamo accorgercene. Per mesi abbino gridato nelle piazze, scritto sui muri, sui manifesti, nei volantini, ripetuto nei nostri giornali che era solo l'inizio. E sulle pane ci ritrovavamo soli, manganellati, fermati, denunciati e per di più ignorati dai marx-leninisti, dal M.S. e dagli altri “neo-rivoluzionari”, i quali ritenevano di avere cose più importanti di cui occuparsi, ben lieti in fondo che polizia magistratura stampa se la prendessero con gli  anarchici. Poi, come avevamo previsto, la repressione si è estesa, con igliaia di denunce a operai, centinaia di fermi, perquisizioni ecc. Per la prima volta a Milano è stato violentemente impedito un corteo del  Movimento Studentesco (quelli anarchici erano stati sempre dispersi brutalmente)... Anche un cieco  avrebbe potuto capire cosa stava succedendo e sembrava che anche i giovani dilettanti della rivoluzione marx-leninista cominciassero finalmente a capire. E invece no. Eccoli a gridare — facendo coro con la sinistra parlamentare, ben altrimenti interessata — che la repressione non passerà. Come se la repressione non fosse già passata, come se fosse normale routine democratica tutto quello che da qualche mese sta' succedendo, come se fosse normale routine democratica che i fermati dalla polizia “cadano” dal 4° piano della questura e diecimila operai vengano denunciati e decine di militanti di gruppi extraparlamentari vengano incriminati e condannati rispolverando i famigerati articoli 270-71-72 del codice fascista... Come se fosse  normale routine democratica che per gli attentati scopertamente  reazionari vengano immediatamente accusati gli anarchici (cfr. dichiarazione del poliziotto dr. Calabrese) e fermati, interrogati, perquisiti 588 (cinquecentoottantotto) militanti della sinistra extraparlantentare e 12 fascisti (rilasciati per primi dopo essere stati trattati con ogni riguardo)... A quanto pare i nostri scientificissimi “cugini” marxisti riconoscono la repressione ed il fascismo solo quando porta il fez (e solo, naturalmente, quando li colpisce direttamente). In questo bollettino non abbiamo potuto raccogliere per mancanza di tempo e spazio tutta la documentazione sull'estendersi della repressione (già del resto ampiamente documentata dalla stampa). Ci siamo limitati al campo anarchico, trovando in esso non solo la nostra specifica funzione di Crocenera, ma anche purtroppo sufficiente materiale. Perché la repressione si è estesa, ma continua a colpire sempre e pesantemente gli  anarchici. Anarchico era Pinelli, la prima vittima prescelta della repressione (dopo i morti di Avola e Battipaglia, vittime “casuali”);   anarchico è Valpreda, capro espiatorio della montatura provocatoria;  anarchici in larga parte i fermati ed i perquisiti (oltre settanta solo a Milano); anarchico il movimento politico scelto come primo più facile bersaglio della calunnia dei pennivendoli... (da  Crocanera n. 5, febbraio 1970)

mercoledì 7 dicembre 2022

7 dicembre 1976: I circoli del proletariato giovanile impediscono la Prima della Scala

I Circoli del proletariato giovanile cominciarono a diffondersi agli inizi del '76, specialmente nell'aerea milanese, nel tentativo di darsi una struttura stabile e riconoscibile nell'ambiente sociale. Riunendo i giovani della periferia su base ambientale (il bar, il centro ricreativo di quartiere, un ritrovo nel paese-satellite) essi fornivano più che obiettivi precisi o un programma determinato, un luogo di scambio sociale

Nacquero infatti dal rifiuto totale di schemi e valori espresso da un'intera generazione di giovani che si affacciò alla politica tra il 1975 e il 1976; rifiuto che si risolse successivamente nella lotta aperta e nella ricerca di vie alternative attraverso le quali poter soddisfare il bisogno di un'altra socialità e di un altro sapere.

Data la continuità di queste forme comunitarie, successivamente si avviarono alcune azioni politiche quali, per esempio, le iniziative di autoriduzione nei cinema e, più tardi, la contestazione della prima della Scala a Milano, il 7 dicembre 1976, che segnò l'inizio del movimento del '77.

A Milano, la borghesia milanese inaugurò in questa data, con la prima della Scala, un nuovo anno di sfruttamento e di dominio, ostentando la sua ricchezza e i suoi privilegi. Il 1976 era infatti per la borghesia un'occasione di affermazione politica sul proletariato e un'ostentazione di una forza che si stava ricostruendo, un insulto al proletariato costretto a fare sacrifici per mandare i borghesi alla prima.

Quella sera, la città fu teatro di violentissimi scontri tra i giovani dei Circoli del proletariato giovanile e un ingente schieramento di forse dell'ordine, 5000 carabinieri.

La nottata si risolse con lancio di bottiglie molotov contro la polizia e di uova, sassi vernice contro le signore impellicciate che andavano a vedere la prima dell'Otello di Zeffirelli; 250 i ragazzi fermati, 30 gli arresti e 21 i feriti.

I Circoli del proletariato giovanile davano così inizio ad una serie di rivendicazioni caratterizzate da un invito esplicito all'esproprio proletario: “alla riappropriazione cioè di quegli oggetti – vestiti, dischi, libri - attraverso i quali organizzazioni mafiose ci sfruttano (…). Nell'orgia consumistica del Natale vogliamo anche noi il diritto al regalo (…). La logica dei sacrifici dice: ai proletari la pastasciutta, ai borghesi il caviale. Noi rivendichiamo il diritto al caviale: perchè siamo arroganti, perchè nessuno potrà mai convincerci che in tempi di sacrifici i borghesi possono andare in prima visione e noi no, che loro possono mangiare il parmigiano e noi no, o addirittura a costringerci a digiunare. I privilegi che la borghesia riserva per se sono i nostri, li paghiamo noi. Per questo li vogliamo conquistare e ne facciamo una questione di principio.”

martedì 6 dicembre 2022

6 dicembre 2005. Attacco alla Libera Repubblica di Venaus

«Squilla il telefono: “Stanno arrivando!”.

Abbiamo poco tempo. Ecco le luci e le sirene blu in lontananza, l’atmosfera è surreale.

Sotto i fari accecanti saliamo sulla barricata per capire cosa sta succedendo, c’è una ruspa della polizia! Ma che fa?! Avanza! Urliamo per fermarli per avvisare che c’è gente sulle barricate, ma nulla.

Intanto ai lati, partono due squadre di carabinieri e polizia. Si sentono legni spezzarsi, la paura sale, le grida sono più forti, la ruspa sta sfondando la barricata, la gente cade, si appende a ciò che trova ma il mezzo non si ferma. Sopra c’è il vice questore che continua ad urlare con gli occhi fuori dalle orbite “SCHIACCIATELI, AMMAZZATELI!”.

Si riesce a scappare tra le strutture che stanno cadendo, nel frattempo a destra i carabinieri e la polizia spaccando una recinzione ed entrano in un terreno. Cercano di circondarci! La recinzione, poi divelta, per fortuna li rallenta ostacolandoli, riusciamo a raggrupparci e a fare cordone…bisognava vederli mentre si sfogavano contro i pali di cemento. Sembravano dei pazzi, dei cocainomani pazzi! La recinzione cede e iniziano a spingerci indietro, sono troppi, chi fa resistenza viene preso, manganellato, preso a calci o ferito con gli scudi…avanzano e non intendono fermarsi. Lo stesso dirigente della polizia non riusciva a far stare calmi i carabinieri, drogati, erano come assatanati, dalle file dietro i loro colleghi incitano la prima fila a massacrarci.

Arriviamo fino al Presidio e a calci alcuni celerini ci dicono di andare alla baracca, altri ci spingono sul prato. Lo spintonamento continua, si divertono, alcuni ridono e nel mentre ci filmano. Per farci coraggio e per far intendere che non è per nulla finita, parte spontaneo un coro, la canzone che più di ogni altra ha valore qui in Valsusa, “Bella ciao”. Si levano le voci commosse e spaventate della gente e ad esse si vanno ad aggiungere quelle dei compagni al Presidio, dietro al cordone di polizia. Siamo ancora uniti, e l’unione è la nostra forza…

Chi è rimasto al presidio se l’è vista peggio: la polizia è arrivata dai campi e ha massacrato chiunque fosse presente, senza curarsi di nulla: anziani, ragazze, donne inermi e chi dormiva nelle tende.

Li hanno poi chiusi nel presidio. Lo spazio era troppo piccolo per la gente che c’era e li han sbattuti contro i vetri della baracca, volevano farli passare attraverso le finestre, alcune si sono rotte e la gente è caduta dentro. Intanto altre squadre si davano da fare per spaccare tutto, questi erano gli ordini che si sentivano gridare, e così han fatto. Hanno rotto le tende e le strutture presenti, hanno massacrato a manganellate chi dormiva. Quel poco che avevamo lasciato (zaini, documenti, portafogli, oggetti personali) è stato spazzato via.

Il pullman dei carabinieri blocca l’uscita alle autoambulanze affollate di gente…le campane della Chiesa e la sirena del comune suonano ininterrottamente per chiamare la gente, tutti si ammassano chiedendo che il pullman venga spostato, risposta? Altre cariche violentissime, gente cade a terra senza sensi, c’è chi sanguina e chi vomita per i colpi ricevuti…ecco allora le TV e i giornali…questa notte erano spariti, sarà un caso? Per miracolo riescono a giungere due barellieri!

Nel giro delle prime ore del mattino la popolazione viene a sapere del massacro di Venaus, tutti scendono in piazza, si bloccano tutte le vie di comunicazione…la valle è ferma. Adesso basta!

“VI PREGO NON PICCHIATEMI, HO LE MANI ALZATE…VI PREGO!”

queste le parole che macchiarono il silenzio di Venaus alle 4.00 di mattina, queste le parole che macchiano di infamia i celerini e svuotano di significato parole come “Stato” e “Democrazia”».

 

Questo fu quello che accadde in Valle, il 6 dicembre del 2005.

Affinché Nessuno dimentichi.

Affinché tutti sappiano che NESSUN* DI NOI - chi era presente e chi non lo era - PERDONA.




lunedì 5 dicembre 2022

Caccia alle streghe

Alcuni secoli fa in Europa la paura della stregoneria portò alla famigerata caccia alle streghe, e molte persone vennero messe a morte.

Il fenomeno interessò prevalentemente Francia, Germania, Italia settentrionale, Svizzera e gli attuali Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi, “persero la vita decine di migliaia di persone, sia in Europa che nelle colonie europee”, Americhe comprese, e furono “milioni quelle che soffrirono a causa di torture, arresti, interrogatori, odio, sensi di colpa o paura”. Come ebbe inizio questa ossessione e cosa la alimentò? L’Inquisizione e il Malleus Maleficarum. Su questa storia si staglia minacciosa l’ombra dell’Inquisizione. Fu creata nel XIII secolo dalla Chiesa Cattolica Romana “per convertire gli apostati e impedire l’allontanamento” dei fedeli. L’Inquisizione era praticamente la polizia della Chiesa. Il 5 dicembre 1484 papa Innocenzo VIII emanò una bolla che condannava la stregoneria. Il papa inoltre incaricò due inquisitori di combattere il problema: Jakob Sprenger e Heinrich Kramer, conosciuto anche con il nome latino di Henricus Institoris. I due scrissero un libro intitolato Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe). Cattolici e protestanti lo accettarono come opera di riferimento sulla stregoneria. Conteneva storie immaginarie sulle streghe basate sulla tradizione popolare. Proponeva argomentazioni di natura teologica e legale contro la stregoneria e forniva istruzioni per identificare ed eliminare le streghe. Il Malleus è stato definito “il libro più pericoloso e [...] più dannoso della letteratura mondiale”. Non c’era bisogno di prove per accusare qualcuno di stregoneria. Un libro afferma che l’obiettivo dei processi “era solo quello di ottenere una confessione con la persuasione, le pressioni psicologiche o la forza” (Hexen und Hexenprozesse). Spesso si ricorreva alla tortura. In Europa il Malleus e la bolla di Innocenzo VIII scatenarono una caccia alle streghe di enormi proporzioni. Inoltre l’avvento di una nuova tecnologia, la stampa, spinse la psicosi delle streghe al di là dell’Atlantico fino a raggiungere l’America.

 

Chi veniva accusato?

In più del 70 per cento dei casi si trattava di donne, specialmente vedove, che spesso non avevano chi le difendesse. Venivano anche presi di mira i poveri, le persone anziane e le donne che preparavano rimedi a base di erbe (soprattutto se questi non avevano effetto).

La donna fa paura: i medici non conoscono quasi nulla della fisiologia del corpo femminile e i teologi, la considerano un essere incostante che bisogna sorvegliare. Dal punto di vista giuridico, infine, essa è sotto la tutela del padre, prima, e del marito, poi. Solo con la vedovanza acquista una relativa autonomia, ma il suo riconoscimento sociale è messo in discussione ed è forte il rischio della marginalizzazione. Il problema della stregoneria si intreccia dunque con quello del ruolo della donna nella società cristiana. In effetti, quelle che vengono colpite dalle accuse di stregoneria sono in genere donne sole o vedove che hanno acquisito una relativa autonomia, oppure anziane, che conoscono le proprietà curative delle erbe medicinali (le "medichesse") o, ancora, levatrici, che assistono nei parti difficili o aiutano ad interrompere gravidanze indesiderate. Si tratta di figure che occupano una posizione sociale al limite dell'irregolarità, in una società in cui la donna vede riconosciuta e giustificata la sua esistenza solo all'interno di una famiglia.

Appartiene a questa categoria femminile anche Benvenuta Pincinella di Nave, la cui vicenda è esemplare per la ricostruzione degli atteggiamenti mentali dei contemporanei sulle streghe. Benvenuta ha sessant'anni, quando denunciata per stregoneria, viene condotta davanti all'inquisitore di Brescia per sottoporsi all'interrogatorio. La donna ha già subito in precedenza un altro processo, concluso con un'ammenda e con l'obbligo di indossare un abito da penitente davanti alla chiesa di Nave, paesino della Valcamonica, e di non esercitare la sua "arte medica". Questa volta però -siamo nel 1518- le accuse sono circostanziate e aggravano ulteriormente la posizione dell'imputata, la quale non solo non ha smesso di praticare i suoi rimedi, ma ha addirittura guarito la figlia di un nobile della città. Seguendo le procedure del Malleus, vengono registrate dal notaio le testimonianze, rigorosamente anonime e il processo segue la prassi usuale: la donna viene rasata nel corpo alla ricerca del bollo, l'infamante marchio diabolico, (poteva essere semplicemente un neo o una particolare macchia della pelle che si dimostrasse insensibile al dolore), si utilizza poi la tortura come mezzo di confessione rapida dei malefici, segue, infine, l'interrogatorio. Le deposizioni pervenute di questo processo ci restituiscono i dati biografici e la personalità dell'imputata, altrimenti scarni. Sono sequenze in cui la realtà e la fantasia si fondono, lasciando emergere un complesso sistema di credenze e di superstizioni arcaiche pagane, connotate religiosamente e sopravvissute fino al XVI secolo. Dopo l'ennesima tortura, Benvenuta confessa, esausta: ha partecipato al sabba, ha reso omaggio al demonio, ha avuti rapporti sessuali con un demonio, Giuliano, che dice di aver portato con sé nella propria gamba per tredici anni, ha operato malefici contro persone e animali. C'è però, nella sua confessione, una consapevolezza, quasi orgogliosa, delle sue particolari conoscenze, tanto da essere richiesta perfino dal podestà di Brescia. Ella conosce le proprietà medicinali delle erbe che sa attivare grazie a formule magico-rituali, tramandate da una cultura orale, tipica di una mentalità animistica e antiscientifica, soprattutto nell'uso di simboli religiosi o di formule guaritorie: "Dio ve salvi, madonna ruta, da parte che Jesu Cristo e san Zulian, vi prego de quella gratia che v'ho domandato". E' un sapere tramandato oralmente che a differenza della cultura medica dotta, quella scritta delle "auctoritates", concepisce il mondo naturale dotato di personalità e volontà propria, e che per questo bisogna invocare per ricevere aiuto. 

La macchina giudiziaria ha ormai elementi sufficienti per emettere la sentenza: "Iudichemo essere veramente rescada ne la eretica pravità, benché al presente sei pentida […] del iudicio nostro ecclesiastico ti getemo et lassemo, overo noi te demo al brazo et iudicio secolar". La sentenza è la morte capitale.

Coloro che erano ritenute streghe venivano accusate di ogni sorta di sventura. Si diceva che “causassero gelate e arrecassero piaghe di lumache e bruchi per distruggere semi e prodotti della terra”. Se un raccolto veniva distrutto dalla grandine, se una mucca non produceva latte, se un uomo era impotente o una donna era sterile, sicuramente la colpa era di qualche strega!

Chi era sospettato veniva pesato, perché si credeva che le streghe pesassero poco o nulla. Come si faceva a riconoscere una strega? A volte la persona sospettata veniva legata e gettata in uno specchio d’acqua “benedetto”. Se affondava, veniva dichiarata innocente e tirata fuori. Se invece galleggiava, era considerata una strega e messa immediatamente a morte oppure sottoposta a processo. Un’altra prova consisteva nel trovare il “marchio del Diavolo”, ovvero “un segno tangibile del patto che la strega aveva stretto con il Diavolo”. Per cercare il marchio, gli incaricati “radevano completamente la persona e ne esaminavano ogni punto del corpo”, e come se non bastasse il tutto avveniva in pubblico. Poi infilavano un ago in tutti i punti sospetti, ad esempio voglie, verruche o cicatrici. Se l’ago non provocava dolore o sanguinamento, si era trovato un marchio di Satana. La caccia alle streghe fu promossa da governanti sia cattolici che protestanti e in certe zone i protestanti furono più severi dei cattolici. Col tempo, però, cominciò a prevalere la ragione. Per esempio nel 1631 Friedrich Spee, un sacerdote gesuita che aveva accompagnato al rogo molte persone condannate come streghe scrisse che secondo lui nessuna era colpevole. Nel frattempo i medici cominciarono a capire che certi fenomeni, ad esempio le convulsioni, potevano essere ricondotti a un problema di salute anziché alla possessione demonica. Durante il XVII secolo i processi diminuirono notevolmente e alla fine dello stesso secolo praticamente cessarono.


venerdì 2 dicembre 2022

2 dicembre 1968: La rivolta di Avola

Verso la fine degli anni Sessanta, la società rurale siciliana era caratterizzata da forti squilibri sociali e da un pesante sfruttamento dei lavoratori agricoli. Da un lato la riforma agraria del 1950 aveva spezzato i gruppi di potere economico e politico provocando la fuga della grande proprietà latifondista; dall'altro però, solo enti statali e speculatori privati ne avevano tratto giovamento.

Per diventare proprietari dei terreni a loro assegnati, le famiglie dovevano pagare per trent'anni una rata mensile, che quasi sempre si rivelava troppo onerosa.

Nel '68 – '69 le masse meridionali furono così coinvolte nella più grande rivolta dell'intero paese che interessò scuole, fabbriche e campagne: il suo obiettivo principale era la necessità di creare nuovi rapporti di produzione non più basati sulla discriminazione di classe.

La lotta intrapresa dai lavoratori agrari della provincia di Siracusa e a cui parteciparono anche i braccianti di Avola iniziò il 24 novembre 1968, e rivendicava l'aumento della paga giornaliera, l'eliminazione delle differenze salariali e di orario fra le due zone nelle quali era divisa la provincia, l'introduzione di una normativa atta a garantire il rispetto dei contratti e l'avvio delle commissioni paritetiche di controllo.

Gli agrari rifiutarono di trattare con il Prefetto sull'orario e sulle commissioni, non presentandosi alle diverse convocazioni e facendo così proseguire lo sciopero in un clima di tensione sempre più alto. Il 2 dicembre Avola partecipò in massa allo sciopero generale; i braccianti iniziarono dalla notte i blocchi stradali sulla statale per Noto, con gli operai al loro fianco. Intorno alle 14, il vicequestore Samperisi ordinò al reparto Celere giunto da Catania di attaccare: la polizia cominciò quindi un fitto lancio di lacrimogeni, ma per effetto del vento il fumo gli tornò contro, diventando così un ottimo bersaglio per una fitta sassaiola.

Senza esitare, i militi cominciarono a sparare sulla folla: il bilancio fu di due braccianti morti, Angelo Sigona e Giuseppe Scibilia, e 48 feriti, di cui 5 molto gravi.

Sul posto furono trovati quasi tre chili di bossoli. Verso mezzanotte il ministro dell'Interno Restivo convocò una riunione fra agrari e sindacalisti, che durò fino al giorno dopo. Il contratto venne firmato, le richieste dei braccianti furono accolte.

La spontanea risposta all'eccidio di operai, lavoratori, studenti fu massiccia in tutto il paese. Il 4 dicembre le confederazioni sindacali indirono una giornata nazionale di lotta. Fabbriche, città e campagne si fermarono. Da più parti si chiese il disarmo degli agenti in servizio di ordine pubblico.

L'inchiesta giudiziaria fu archiviata nel novembre 1970, poi arrivò l'amnistia per i lavoratori. Nulla si è mai saputo degli esiti dell'inchiesta amministrativa. 


giovedì 1 dicembre 2022

1 dicembre 1999: rivolta a Seattle

Tra la fine di Novembre e l'inizio di Dicembre del 1999 si doveva svolgere a Seattle il WTO Millennium Summit, farsa autocelebrativa del neoliberismo più becero; da subito raggiunsero la città decine di migliaia di persone con il dichiarato obbiettivo di non far svolgere il vertice.

L'apparato repressivo messo in piedi per l'occasione era impressionante, migliaia di poliziotti in tenuta antisommossa supportati dai mezzi blindati della guardia nazionale; inoltre era stata imposto il divieto assoluto di entrare nella zona dove si sarebbe svolto il summit ed era stata vietata la vendita in tutto lo stato di Washington di maschere antigas.

La mattina del 30 novembre i manifestanti, partiti con due cortei contemporaneamente da nord e da sud della zona rossa, riuscirono a circondarla impedendo ai delegati di raggiungere la zona del summit. Così facendo, riuscirono a tagliare in due lo schieramento della polizia che in parte era schierata all'interno della zona rossa tagliandoli fuori dalla linea dei rifornimenti.

Durante i cortei partirono diverse azioni volte a sanzionare i simboli del capitalismo: furono distrutte banche, sedi di multinazionali, negozi di lusso.

La polizia, per cercare di rompere i blocchi, attaccò i manifestanti con cariche, gas lacrimogeno e spray urticante in diversi punti della città non riuscendo comunque, se non in parte, a disperdere l'accerchiamento della zona rossa.

L'episodio più grave si svolse la sera del 30 Novembre nel quartiere di Capitol Hill, dove la polizia caricò con proiettili di gomma e granate stordenti scatenando poi la caccia all'uomo.

Gli scontri durarono anche il giorno successivo fino a quando la polizia riuscì a rompere il blocco dei manifestanti da sud permettendo ai delegati di arrivare al centro conferenze dove si doveva svolgere il summit.

Il bilancio degli scontri fu di oltre 600 arresti e centinaia di feriti tra i manifestanti.

Le giornate di Seattle vengono generalmente riconosciute come quelle che diedero il via al ciclo di mobilitazioni contro i vertici internazionali

mercoledì 30 novembre 2022

Azione diretta

Detto semplicemente, vuol dire rompere con le infinite mediazioni burocratiche, risolvere i problemi da sé invece di appellarsi alle autorità costituite o di chiedere interventi esterni da parte delle istituzioni. Qualsiasi azione che mira a raggiungere degli obbiettivi scavalcando deleghe e rappresentanze è un’azione diretta. In una società dove il potere politico, il capitale economico e il controllo sociale sono centralizzati nelle mani di una élite, certe forme di azione diretta vengono scoraggiate, se non criminalizzate; e proprio queste pratiche sono di particolare importanza per chi lotta contro la gerarchia e contro la violenza delle istituzioni. Ci sono mille situazioni in cui puoi mettere in pratica l’azione diretta: forse i rappresentanti di una multinazionale stanno per invadere la tua città per un summit, e tu vuoi protestare contro di loro in forme che non siano soltanto il solito corteo in cui tenere in mano il solito cartellone; magari hanno già messo radici nel tuo ambiente da molto tempo, costruendo punti vendita che sfruttano i lavoratori e che devastano l’ambiente, e tu cerchi un modo per attirare l’attenzione pubblica o per intralciare i loro progetti; forse vuoi organizzare un evento pubblico festoso e comunitario come uno street party. Con l’azione diretta puoi far sorgere un giardino pubblico in un terreno inutilizzato oppure puoi difenderlo paralizzando i bulldozer, puoi praticarla per occupare gli edifici abbandonati e dare un tetto agli homeless o per mandare in tilt gli uffici governativi. Che tu stia agendo con pochi amici fidati o che tu stia agendo con migliaia di persone, i principi di base sono sempre gli stessi.

domenica 27 novembre 2022

Kropotkin - Le ragioni e il metodo di una scienza della morale

Kropotkin iniziò ad occuparsi di scienze naturali durante la giovinezza, mentre prestava servizio con i Cosacchi nell’estremo oriente siberiano. Iscrittosi poi alla facoltà di scienze, intraprese alcune importanti spedizioni naturalistiche come geografo nella penisola scandinava. Attraverso le osservazioni e i dati raccolti in questi viaggi egli riuscì in seguito a fornire delle spiegazioni esatte dell’orografia euroasiatica e delle fasi dell’era glaciale in Europa, che gli valsero la nomina a segretario della sezione geofisica della Società russa di geografia – incarico che rifiutò poiché “Tutte le belle parole sono inutili, quando gli apostoli del progresso si tengono lontani da quelli che pretendono spingere in avanti”3. Proprio nel corso di questi viaggi in luoghi remoti, selvaggi e solitari l’interesse naturalistico si lega a quello etico-politico, fino a portare Kropotkin ad elaborare un metodo filosofico transdisciplinare ed una filosofia di vita rivoluzionaria e ribelle. Gli uomini primitivi appresero dunque dall’osservazione degli animali immersi nel proprio habitat delle vere e proprie lezioni di socialità e di etica. Essi impararono che gli individui e i gruppi, tranne rare eccezioni, sono inseparabili l’uno dall’altro, che essi non si uccidono quasi mai l’uno con l’altro, e che le specie più deboli possono, grazie all’unione e alla fiducia l’uno nell’altro, affrontare avversari ben più forti di loro. I nostri antenati poterono senz’altro osservare che in molti gruppi animali sono presenti sentinelle che si alternano a fare la guardia nei momenti in cui il gruppo è esposto ad un possibile pericolo; si può ragionevolmente ipotizzare che l’uomo, ancora nomade, abbia capito proprio dall’osservazione di animali riuniti in colonie tutti i vantaggi di una vita stabile, oppure aver compreso da alcune specie animali l’utilità di una riserva di cibo, o ancora l’importanza del gioco per rinsaldare la fiducia reciproca. Secondo Kropotkin, esiste una doppia tendenza “caratteristica della vita in generale”: “da un lato la tendenza alla socialità; dall’altro, come risultato di questa, l’aspirazione a una più grande intensità di vita, da cui il bisogno di una più grande felicità per l’individuo”. Tale duplice aspirazione costituisce “una delle proprietà fondamentali e uno degli attributi necessari a qualsiasi aspetto della vita sul nostro pianeta”. Nell’uomo questa doppia tendenza risponde a due bisogni e a due sentimenti contrapposti: da un lato il bisogno di unione e il sentimento di reciproca simpatia – che porta gli uomini ad unirsi in gruppo “per attendere con uno sforzo comune all’attuazione di ciò che non è possibile realizzare da soli” – e dall’altro il bisogno di lotta e di autoaffermazione, che spinge gli uomini a “dominare i loro simili per scopi personali”. Tuttavia, poiché nella natura animale “gli istinti più durevoli prevalgono sugli istinti meno persistenti”, la nostra coscienza morale “è il risultato di una lotta durante la quale un istinto personale meno forte cede all’istinto sociale più costantemente presente”; il risultato di una comparazione tra il proprio desiderio personale e gli istinti sociali – che sono prevalenti perché ereditari, riconosciuti da tutti i membri del gruppo e riconoscibili nelle altre specie. Si cerca allora di rendersi conto di quel sentimento morale che s’incontra ad ogni passo, senza averlo ancora spiegato, e che non si spiegherà mai finché lo si crederà un privilegio della natura umana, finché non si discenderà sino agli animali, alle piante, alle rocce per comprenderlo.

(P. KROPOTKIN, La morale anarchica)

giovedì 24 novembre 2022

Walker C. Smith sul sabotaggio

Nel suo opuscolo Smith dedica una prima parte alla ricostruzione della storia del sabotaggio sia come pratica, nata contemporaneamente allo sfruttamento umano, sia come termine, scelto per indicare un metodo di lotta sociale solo a partire da Congresso confederale di Toulouse del 1897 (prima in Inghilterra e Scozia tale pratica era indicata con il nome “Ca’ Canny”, cioè “andare piano”). Indica anche tre possibili versioni sulla sua origine lessicale, tutte riconducibili alla parola sabot: nella prima ipotesi il riferimento è riconducibile all’episodio in cui un operaio francese utilizzò il suo zoccolo per danneggiare un macchinario, oppure potrebbe derivare dal fatto che i sabot si presentano come calzature pesanti e ciò causerebbe rallentamenti nel lavoro, infine l’ultima possibilità è che la parola sabotaggio derivi da un termine dello slang che indica lo sciopero fatto senza lasciare il proprio posto di lavoro. Alla base dell’idea di sabotaggio sta innanzi tutto una critica al mercato del lavoro, alla disparità di potere tra padroni e operai che, restando tagliati fuori dalla legge della domanda-offerta, si trovano stretti in un sistema senza stabilità salariale: “Sabotaggio significa, quindi, che i lavoratori combattono direttamente le condizioni imposte dai padroni secondo la formula ‘salari bassi-cattivo lavoro' ” (Walker C. Smith). Danneggiare la merce, scioperare o rallentare il lavoro e le consegne delle merci prodotte attraverso lo sfruttamento sono tutti metodi di sabotaggio. Non sempre però tale mezzo è messo in pratica a beneficio dei lavoratori, anzi spesso sono gli stessi imprenditori che ne impongono l’uso per aumentare il valore della merce. Smith porta come esempio, tra gli altri, i carichi di patate distrutti in Illinois, o le mele lasciate marcire sugli alberi dei frutteti di Washington, o ancora le mistificazioni dei documenti ai danni dei concorrenti della Standard Oil Company. Tali azioni altro non sono che “sabotaggio capitalista”, come già le aveva chiamate tre anni prima William Trautmann. Se divenisse una pratica diffusa tra gli operai, secondo Smith il sabotaggio potrebbe fermare le guerre e bloccare gli arresti di chi sciopera; per riuscirci però dovrebbe diffondersi la coscienza del potere che porterebbe, per conseguenza, alla solidarietà tra lavoratori. Come pratica di massa, se utilizzata da ogni operaio di ogni comparto produttivo, permetterebbe addirittura di giungere alla fine delle classi, dello Stato e della produzione come mezzo di profitto anziché di prodotti di utilità. Attingendo alla tradizione anarcosindacalista europea, Walker C. Smith adatta l’idea di sabotaggio alla situazione statunitense del primo Novecento, rendendolo applicabile da una classe lavoratrice in balìa delle leggi della speculazione, sfruttata, vilipesa e molto spesso massacrata dalle milizie padronali.

martedì 22 novembre 2022

Decreto anti-rave

Il cosiddetto “decreto anti-rave” è esemplificativo di un clima generale che negli ultimi anni si è andato consolidando di restringimento degli spazi per le forme di espressione giovanile e di attacco al dissenso sociale.

Questo infatti non riguarda solo i rave-party, ma tra le casistiche che potrebbero rientrare al suo interno vi sono anche molte pratiche che fanno parte della storia della protesta e del dissenso sociale nel nostro paese, dalle occupazioni delle università e delle scuole, ai picchetti davanti alle fabbriche, alle manifestazioni non autorizzate.

Ma questo decreto non è altro che l’epifenomeno di un lungo processo di criminalizzazione dei comportamenti giovanili, degli ultimi e degli indesiderabili, delle lotte sociali.

Come dimenticare le legislazioni anti-degrado che regolano in maniera sempre più escludente la vita nelle grandi città? Per non parlare dei Daspo urbani e di tutta un’altra serie di normative volte ad affrontare problemi sociali come problemi di ordine pubblico.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una pioggia di inchieste per associazione a delinquere o sovversiva nei confronti di lotte, movimenti sociali e sindacati. A Torino ne sono state messe in campo ben due nel giro di brevissimo tempo. Anche le lotte studentesche, ad esempio l’opposizione all’alternanza scuola-lavoro, sono state represse con carcerazioni preventive e misure cautelari a giovani liceali e universitari*.

Ma non solo, abbiamo visto una crescente applicazione degli strumenti della legislazione antimafia nei confronti di movimenti sociali e militanti politici. E’ evidente che si vuole trattare il conflitto ed il dissenso sociale come un fenomeno criminale con delle logiche che evidenziano una progressiva deriva autoritaria.

Crediamo dunque che sia necessario non fare passare sotto silenzio quanto sta succedendo e comprendere a fondo quali siano i meccanismi e le tendenze che abbiamo di fronte. 

  

lunedì 21 novembre 2022

21 novembre 1831: Rivolta dei Canuts

A quel tempo, i tessuti erano la principale industria francese e la fabbrica di seta di Lione sosteneva la metà degli abitanti della seconda città del regno con più di 30.000 telai, così come altri lavoratori intorno a Lione.

Questi tessitori di Lione, o canut , erano maestri operai che possedevano i loro telai a casa e lavoravano a casa in famiglia, con i compagni che ospitavano e nutrivano. In tempi di magra si impiegavano principalmente donne, meno pagate, e apprendisti o ragazzi di razza, che a Lione si chiamano rana , ancor meno pagati, mentre le travi dove il tessuto era avvolto erano molto pesanti da trasportare. E davanti a loro, i padroni che a Lione sono chiamati i produttori di seta ma che non fabbricano nulla. Sono infatti commercianti, che anticipano il capitale procurandosi la materia prima e si accontentano di passare gli ordini ai canut. La situazione di miseria e oppressione : i canut lavoravano dalle 15 alle 18 ore al giorno (10 ore per i bambini dai 6 ai 10 anni) per i salari di povertà. Si ammassavano in monolocali malsani. I telai Jacquard richiedevano altezze del soffitto molto maggiori rispetto a prima, ma il più delle volte lo spazio aggiuntivo era riempito da un soppalco (mezzanino) dove vivevano le famiglie mentre i compagni, gli apprendisti, spesso dormivano negli armadi. Certamente una solidarietà univa i canut che avevano costituito, sotto la guida di Pierre Charnier e di altri attivisti dell'epoca, il movimento mutualista. L'idea delle mutue era di prevedere scadenze per remunerare i disoccupati mediante contributi. Si prevedeva addirittura di fondare una cooperativa di produzione che avrebbe permesso di fare a meno dei serici, che vivevano nell'opulenza ... Ma non eravamo ancora lì.

La rivolta è in fermento.

Dal gennaio 1831 sorse una certa agitazione. Si organizzano raduni in diverse parti della città per chiedere lavoro e pane. Nell'aprile-giugno 1831 si diffondono le idee di Saint-Simon e di Fourier, evocando l'oppressione dei ricchi, i misfatti della concorrenza aggravata, l'ingiustizia sociale. A poco a poco, si percepisce una coscienza di classe.

Il 18 ottobre il prefetto Bouvier-Dumolard è preoccupato. 8.000 canut eleggono "commissari" che formano una commissione che chiede una tariffa e dà un indirizzo al prefetto: "È giunto il momento in cui, cedendo alla necessità imperativa, la classe operaia deve e vuole cercare di porre fine alla sua miseria". Il 25 ottobre il prefetto ha convocato un nuovo incontro con i delegati dei canut e dei setaioli. Ma contemporaneamente 6.000 canut, capi officina e compagni, provenienti da tutte le periferie, si radunano e sfilano, per le strade di Lione fino a davanti al prefettura,. Viene firmato un accordo e stabilità una tariffa congiuntamente entra in vigore il 1° novembre. Ma la maggior parte dei produttori si rifiuta di applicare la tariffa e persino il governo, che disconosce l'atteggiamento del prefetto. Vedendosi ingannati, esasperati dall'intransigenza delle manifatture, i canut perdono la pazienza e vogliono attaccare la rue des Capucins, l'industria della seta. Aspettano fino al 20 novembre quando decidono di non tornare al lavoro e di tornare a manifestare in massa davanti alla prefettura . La situazione è esplosiva perché questo stesso 20 novembre si svolge una rassegna con il generale Ordonneau della guardia nazionale dei distretti della penisola.

21 novembre 1831.

Dall'alba, un'agitazione febbrile si diffonde a tutta la popolazione di Croix-Rousse. La maggior parte degli scambi viene interrotta. Più di mille lavoratori si sono riuniti sull'altopiano della Croix-Rousse, con l'intenzione di imporre l'applicazione delle nuove tariffe. Diecimila aspettano in Place Bellecour. E ce ne sono centinaia a La Guillotière.

Si formano i cortei, si gonfiano di ora in ora, i tamburi battono il richiamo. I Canut si precipitano a pugni nudi, inghiottendo i pendii, costringendo le autorità presenti a ritirarsi anticipatamente. Ovviamente la guardia nazionale della Croix-Rousse, dove dominano i canut, non intende opporsi all'azione dei lavoratori. Le scaramucce hanno avuto luogo in vari punti dell'altopiano e in particolare in cima alla Grand'côte, in rue Bodin, ma gli operai hanno mantenuto il controllo costruendo numerose barricate. Il sindaco facente funzione ordina a Ordonneau di intervenire. I canut alla testa del corteo sventolano una bandiera nera su cui alcuni hanno scritto questo famoso motto: "VIVERE LAVORANDO O MORIRE COMBATTENDO".
Si imbattono in un gruppo in fondo alla Grand'côte (la rue des Capucins è l'industria della seta). Scoppiano dei colpi e gli uomini cadono. I manifestanti reagiscono con le poche armi a loro disposizione, soprattutto alcuni bastoni e pale.

Da ogni finestra le massaie gridano " Alle armi, alle armi, le autorità vogliono assassinare i nostri fratelli". "Da ogni casa escono combattenti armati di pale, picconi, bastoni e oggetti di scena per i loro telai, gridando:"Pane o piombo! "Chi non ha armi porta i ciottoli ai piani alti delle case o sui tetti dai quali strappano le tegole. Barricate con carri salivano rapidamente ai quattro angoli della penisola formando di volta in volta altrettanti posti di blocco. Canuts disarma la guardia nazionale della Croix-Rousse e batte la sveglia per una chiamata generale alle armi. Costruiscono nuove barricate con l'aiuto di donne e bambini. La battaglia diventa feroce. È il panico generale al Comune e alla Prefettura. Il generale Roguet sta cercando di demolire alcune barricate. Il prefetto, che invita le " persone oneste " a non farsi coinvolgere nel movimento dei " cattivi sudditi ", decide di andare in battaglia con il generale Ordonneau il prefetto e Ordonneau vengono presi in ostaggio. Gli operai riuscirono in due giorni a impadronirsi militarmente della città, abbandonata dal generale François Roguet, comandante della divisione, e dal sindaco Victor Prunelle.In seguito alla decisione presa dal presidente del consiglio Casimir Pierre Périer, circa la necessità di una reazione energica, il maresciallo Soult, accompagnato dal duca d'Orléans, partì per Lione alla testa di un'armata di 20.000 uomini, che penetrò in città il 3 dicembre, riuscendo a ristabilire l'ordine a prezzo di 190 morti e 10.000 prigionieri.