Il cosiddetto “decreto anti-rave” è esemplificativo
di un clima generale che negli ultimi anni si è andato consolidando di
restringimento degli spazi per le forme di espressione giovanile e di attacco
al dissenso sociale.
Questo infatti non riguarda solo i rave-party, ma
tra le casistiche che potrebbero rientrare al suo interno vi sono anche molte
pratiche che fanno parte della storia della protesta e del dissenso sociale nel
nostro paese, dalle occupazioni delle università e delle scuole, ai picchetti
davanti alle fabbriche, alle manifestazioni non autorizzate.
Ma questo decreto non è altro che l’epifenomeno di
un lungo processo di criminalizzazione dei comportamenti giovanili, degli
ultimi e degli indesiderabili, delle lotte sociali.
Come dimenticare le legislazioni anti-degrado che
regolano in maniera sempre più escludente la vita nelle grandi città? Per non
parlare dei Daspo urbani e di tutta un’altra serie di normative volte ad
affrontare problemi sociali come problemi di ordine pubblico.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una pioggia
di inchieste per associazione a delinquere o sovversiva nei confronti di lotte,
movimenti sociali e sindacati. A Torino ne sono state messe in campo ben due
nel giro di brevissimo tempo. Anche le lotte studentesche, ad esempio
l’opposizione all’alternanza scuola-lavoro, sono state represse con
carcerazioni preventive e misure cautelari a giovani liceali e universitari*.
Ma non solo, abbiamo visto una crescente
applicazione degli strumenti della legislazione antimafia nei confronti di
movimenti sociali e militanti politici. E’ evidente che si vuole trattare il
conflitto ed il dissenso sociale come un fenomeno criminale con delle logiche
che evidenziano una progressiva deriva autoritaria.
Crediamo dunque che sia necessario non fare passare
sotto silenzio quanto sta succedendo e comprendere a fondo quali siano i
meccanismi e le tendenze che abbiamo di fronte.