Il 18 novembre
Dall’8 settembre
dello stesso anno iniziano i grandi scioperi operai che portano ad una grande destabilizzazione
del regime oramai alle strette. Le rivendicazioni degli operai, tutti antifascisti,
sono tra le più importanti: la retribuzione dei periodi di interruzione forzata
dal lavoro, la fine del regime militare di produzione, la possibilità di non lavorare
durante i bombardamenti e l’immediata liberazione di tutti i prigionieri politici.
Le risposte del regime fascista sono durissime e devastanti per la loro molteplice
crudeltà. Nei soli mesi autunnali del ’43 sono più di una decina gli operai giustiziati
dalla polizia politica fascista, e diversi reparti delle fabbriche torinesi vengono
deportati in Germania nei campi di lavoro. Il tessuto della classe operaia torinese,
nell’autunno ’43, ha ormai al suo interno strutturato quadri sia del PCI clandestino,
del CLNAI, e dei comitati clandestini sindacali. L’antifascismo diventa uno delle
rivendicazioni portanti degli scioperi operai, e la lotta al regime viene caratterizzata
da un forte protagonismo operaio. Ciò che era partito il 2 novembre alla Breda di
Milano, il 18 trova nella FIAT di Torino lo snodo fondamentale per estendere la
lotta di classe al resto del Nord Italia. La determinazione degli operai torinesi
che, ormai da marzo, hanno inaugurato un ciclo di lotte nuovo, senza precedenti.
L’esplodere e la diffusione su tutta la classe operaia della lotta partigiana, non
sarebbe stato possibile senza una presa di coscienza di forza e di prospettive degli
operai. Sia nelle grandi che nelle piccole officine vengono messi in pratica i sabotaggi
della produzione. E’ indicativo in questo senso una sorta di "libretto rosso
del partigiano” che raccoglie le istruzioni per un sabotaggio, su larga scala e
di massa, del sistema produttivo italiano. Questo manuale, curato da un gruppo partigiano
romano, veniva nascosto dentro le copertine del libretto degli orari ferroviari.
Dare il giusto peso di analisi alla stagione di lotte operaie nell’autunno-inverno
1943, vuol dire di riflesso considerare la Resistenza come espressione della lotta
di classe.