..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

Translate

giovedì 28 maggio 2020

Emile Henry

Emile Henry nasce in Spagna, a San Martin de Provensals (oggi un bargo di Barcellona), il 26 settembre 1872; suo padre Fortune era un ex comunardo in esilio. Tornato con la famiglia in Francia dopo l’amnistia del 1882, Emile frequenta la scuola con brillanti risultati, ma nel 1890, ammesso all’Ecole Polytechnique, abbandona definitivamente gli studi per occuparsi come impiegato. Nella primavera del 1891 si avvicina agli ambienti rivoluzionari e diventa nel 1892 responsabile del giornale anarchico En Dehors. Lo stesso anno viene ghigliottinato Ravachol e Henry comincia a dedicarsi alla chimica.
Come lui stesso dichiarerà dopo il suo arresto, l’8 novembre 1892 depone un ordigno presso gli uffici della miniera di Carmaux in solidarieta con i minatori scesi in sciopero in agosto. La bomba, trasportata presso il vicino commissariato in rue des Bon Enfants, esplode facendo cinque morti. Nel maggio 1893, dopo alcuni soggiorni all’estero, Henry torna a Parigi sotto mentite spoglie. Il 5 febbraio 1894 avviene l’esecuzione dell’anarchico Vaillant e Henry decide di vendicarlo. Il 12 febbraio lancia quindi una bomba all’interno del Cafe Terminus, ma viene inseguito e arrestato alla fine di una furiosa colluttazione in strada, durante la quale resta uccisa una guardia. Processato il 27 aprile, Henry è condannato a morte e recluso alla Grande Roquette.
Emile viene ghigliottinato a Parigi il 21 maggio 1894.
Che cosa vogliono gli anarchici? L’autonomia dell’individuo, lo sviluppo della sua libera iniziativa che, soli, potranno assicurargli tutta la felicita possibile. Se l’anarchico ammette il comunismo come concezione sociale, e per semplice deduzione, perché comprende che e solo nella felicita di tutti, liberi ed autonomi come lui, che troverà la propria.
Ognuno di noi ha una fisionomia e delle attitudini speciali che lo differenziano dai suoi compagni di lotta.
Cosi, non siamo stupiti dal vedere i rivoluzionari tanto divisi nella direzione dei lori sforzi. Ci si domanda quale sia la buona tattica: essa e ovunque proporzionale alla somma di energia che si apporta all’azione. Ma non riconosciamo a nessuno il diritto di dire: "Solo la nostra propaganda è quella buona; fuori di essa non v’è salvezza". E un vecchio residuo di autoritarismo nato dalla vera o falsa ragione che i libertari non devono tollerare.
Uno dei primi insegnamenti dell’anarchia è questo: "Sviluppa la tua vita in tutte le direzioni, opponi alla ricchezza fittizia dei capitalisti, la ricchezza reale degli individui possessori di intelligenza ed energia".

venerdì 22 maggio 2020

Alle origini della rivolta

Dichiarazione dell’avvocato Giuseppe Sotgiu nell’arringa difensiva per Giuseppe Battaglia al processo di appello della banda 22 ottobre:
“L’azione di questi uomini non è permeata di quel tatticismo che invece è proprio dei partiti tradizionali, ma da quel bisogno che il giovane ha di vedere le cose più limpide e più chiare anche se per avventura sono eccessive, ecco la spiegazione di questi gruppi, gruppetti, gruppuscoli, una realtà della vita d’oggi che dobbiamo vedere però non nella luce del 416, dell’associazione a delinquere, ma attraverso la luce della nostra società in un periodo storico che indubbiamente è un periodo di passaggio da una civiltà a un’altra; comunque la si pensi, bisogna non guardare davanti a sé o intorno a sé per non comprendere che ci sono delle cose vecchie che devono finire e di fronte alle cose vecchie non possono esserci che le cose nuove che devono nascere e che stanno già nascendo. Questi giovani sono degli anticipatori forse, badate che sempre così è stato nella storia e che il confine fra l’ideale e colui che poi viene definito per l’efficienza della repressione «delinquente politico» è un margine molto da poco e i delinquenti politici di oggi possono essere i governanti di domani e possono essere gli uomini che danno il loro nome alle statue e anche alle lapidi nelle carceri, non lo dimentichiamo, che questa è la realtà e voi giudici non mettetevi contro la realtà perché siete portatori di una luce e di una pace che è per il progresso degli uomini, e non già invece per la repressione e per ostacolare questa marcia in avanti. Ebbene se questo è il caso che ci occupa, è cioè la nascita di un gruppo, gruppetto, gruppuscolo in dissenso con le pratiche dei partiti ufficiali, o signori, cosa dobbiamo dire, che questa è associazione a delinquere?”

(Tratto da: Controprocesso Rossi. Comitato di difesa dei compagni della 22 ottobre, ciclostilato marzo 1974)

domenica 17 maggio 2020

Gatti selvaggi

Proprio in un momento difficile, come questo, è nata dentro di noi una consapevolezza irresistibile: la necessità di muoverci politicamente in modo diverso. Al di fuori di ogni schema ideologico tradizionale.
Noi non abbiamo miti di fronte ai quali inchinarci!!!
Non siamo marxisti, tanto meno leninisti o stalinisti. Siamo delle coscienze rivoluzionarie. Ci sta bene tutto ciò che è realmente radicale.
Seppelliamo i cadaveri delle vecchie ideologie!!!
La nostra lotta non ha come fine, semplicemente, migliori condizioni di vita, ma ha, come obiettivo ultimo, l’abolizione della proprietà privata e del capitale di stato. La nostra lotta vuole raggiungere la libertà reale e il diritto a una nuova vita nella sua totalità. Ci opponiamo a tutte le forme di organizzazione che abbiano in sé il principio della “delega”. Secondo il nostro parere e bene costruire organismi di pochi elementi nei quali o si decide tutti insieme o non si decide nulla.
Questi organismi dovrebbero prendere ispirazione, per le loro azioni, dalla loro specifica realtà. Ci sarà, naturalmente, un collegamento tra questi gruppi, ma non sarà a livello di comitati con poteri decisionali, sarà solo per informazioni. Queste forme di organizzazioni devono portare a uno svolgimento della vita sociale per quartiere e, quindi, a un controllo politico e diretto della realtà.
La nostra totale liberazione dipende direttamente dalla totale distruzione del capitalismo mondiale.
Nucleo Autonomo di Quarto Oggiaro

(Tratto da Gatti Selvaggi, N° 1 dicembre 1974 – gennaio 1975)

martedì 12 maggio 2020

L'imprescindibilità di una relazione solidale


 Il metodo seguito da un pensatore anarchico è molto diverso da quello seguito dagli utopisti. L'anarchico non si riferisce a concetti metafisici, come i diritti naturali, i diritti dello Stato, ecc., per vedere quale siano, nella sua opinione, le migliori condizioni per realizzare il maggiore benessere possibile del genere umano; al contrario egli segue il corso tracciato dalla teoria moderna della evoluzione, senza però entrare nel campo ingannatore delle semplici analogie. L'anarchico studia la società umana così com'è oggi e com'è stata in passato, senza attribuire all'umanità in genere e all'individuo in particolare, qualità superiori che non possiedono né questo né quella; e solo considera la società come un aggregato di organismi che cercano il modo migliore di armonizzare le necessità individuali con quelle collettive, per il benessere di tutta la specie presa nel suo insieme e nei suoi componenti. L'ideale dell'anarchico è per conseguenza, il risultato di ciò che egli considera come fase prossima dell'evoluzione. Non è questione di fede bensì di discussione scientifica.
L'anarchia è dunque in stretta concordanza con la filosofia dell'evoluzione, perché le teorie evolutive hanno dimostrato non solo l'enorme capacità di ogni individuo di adattarsi alle proprie condizioni esistenziali e, conseguentemente, di sviluppare quelle facoltà che agevolano tale processo di adattamento, ma anche l'imprescindibilità di una relazione solidale che leghi tra di loro gli esseri di una medesima specie.


giovedì 7 maggio 2020

Torino: la fase due lascia per strada i più poveri


Anche in periodo di emergenza da Covid-19, chi non ha mezzi di sussistenza viene trattato senza dignità dalle istituzioni e la gestione delle emergenze sociali viene lasciata a solidali e terzo settore, con colpevole silenzio e disinteresse.
È la situazione che si è creata dal 3 maggio quando il campo "umanitario" della Croce Rossa di Piazza d'Armi è stato smantellato e le persone senza fissa dimora sbattute per strada, con tutti i loro averi in borse al seguito (molti ne hanno anche persi al momento della soppressione del campo), senza coperte, materassini o tende che sono stati forniti loro da solidali, collettivi e da una manciata di associazioni, unici a gestire l'emergenza dal principio. Una parte delle oltre 100 persone che erano ospitate nel campo sono rimaste in Piazza d'Armi a dormire nel parcheggio o sull'erba, una parte si è spostata insieme ai solidali davanti al Palazzo di Città per chiedere una soluzione a questa situazione, inaccettabile in tempi normali, criminale in periodo di emergenza sanitaria.
Come è noto, in questi mesi molte situazioni di ordinaria precarietà si sono inasprite. E' la condizione di queste persone e delle molte altre che non hanno un luogo dove trascorrere le loro giornate e le loro notti, tantomeno durante il lockdown.
I servizi di assistenza di base, che già normalmente faticano a coprire la richiesta di posti letto per i senza fissa dimora, in questo periodo hanno ridotto gli accessi per garantire stabilità a chi vi trascorre la notte e per rispettare seppur con difficoltà le norme di distanziamento. Molte associazioni che si occupano di accoglienza diurna sono state costrette a chiudere momentaneamente per incapacità di rispettare le norme e tutelare chi le frequenta. L'unico luogo che ancora accettava persone senza casa che non sapevano dove passare la notte era il campo umanitario della Croce Rossa in Piazza d’Armi, nella periferia sud di Torino.
Il campo straordinario era stato allestito, come ogni anno, per far fronte all’emergenza freddo e la chiusura era stata poi prorogata per via dell’emergenza sanitaria dal 30 marzo al 3 maggio.
Il 3 maggio il campo è stato smantellato. Ospitava 102 persone senza fissa dimora e al suo esterno ne stazionavano altre che non erano state ammesse, perché anche qui le richieste superavano la disponibilità di posti letto.
L'amministrazione non ha fornito soluzioni che tenessero conto dello smantellamento di cui erano da tempo a conoscenza, permettendo che più di cento persone finissero per strada dall'oggi al domani, senza un posto dove andare, con tutti i propri averi in borse al seguito, con servizi sanitari pubblici ridotti o inesistenti, con molte strutture per l'accoglienza chiuse o contingentate.
Nemmeno finché il campo umanitario è stato aperto, l'amministrazione ha garantito beni primari come il cibo, lo ha fatto solo durante l'ultima settimana, senza valida ragione se non un ritorno d'immagine.
Dall'amministrazione è stato sostenuto che con il caldo imminente, far vivere le persone senza dimora in container come quelli del campo della Croce Rossa sarebbe stato dannoso. Hanno inoltre giustificato questa scelta dichiarando che nel campo non si riuscissero più a rispettare le norme igienico sanitarie necessarie per far fronte all'emergenza COVID (parlando di rischio di assembramento e problemi di ordine pubblico). Si è ritenuto fosse una soluzione migliore lasciare che queste persone dormissero per terra, senza materassi o coperte, all'aperto. I container non sono una soluzione dignitosa e questo è vero. Non è dignitoso far dormire in quelle condizioni le persone senza fissa dimora inverno dopo inverno, sbattendole regolarmente per strada a primavera, come se l'unica preoccupazione fosse evitare scomode morti per assideramento.
Davanti a Palazzo di Città dove una parte dei senza fissa dimora ha iniziato insieme ai solidali un presidio, ieri mattina alcuni funzionari del comune accompagnati della digos hanno chiesto i dati alle persone senza dimora, senza testimoni o avvocati presenti, facendo interrogatori a cielo aperto nel mezzo dell'accampamento.
La risposta dell'amministrazione a questa assurda situazione è ancora una volta quella di fare delle vite umane una mera questione burocratica, facendo la distinzione tra chi ha i documenti e chi non li ha, trovando forse una precaria e temporanea soluzione per i primi, lasciando i secondi a se stessi.
In piazza si respirano stanchezza, rabbia e desolazione. Non esistono servizi igienici pubblici nella zona di piazza Palazzo di Città e la situazione igienica è allarmante. Si portano avanti rivendicazioni di un trattamento dignitoso per tutti e tutte, a cui le istituzioni si stanno dimostrando sorde, sostenendo di occuparsi della situazione, ma senza nella realtà fare nulla, nonostante siano state sollecitate da varie realtà e nonostante abbiano fisicamente sotto gli occhi il problema.
Altre decine di persone sono ancora in Piazza D'armi costrette a dormire per terra nel parcheggio, chi è senza documenti validi è intimorito dai controlli, alcuni hanno valigie pesanti, non hanno soldi per pagare il biglietto dell'autobus e non se la sentono di spostarsi davanti al municipio per rivendicare i propri diritti. Rimangono in periferia, lontano dagli occhi di molti torinesi, della stampa e dell'amministrazione.

Alleghiamo il comunicato dell'ordine dei medici di Torino che ha preso parola sulla questione e a seguire l'aggiornamento di oggi sul presidio in Piazza Palazzo di Città:

CHIUSURA DEL DORMITORIO DI PIAZZA D’ARMI
OCCORRE SCONGIURARE IL RISCHIO SANITARIO
In seguito alla chiusura del dormitorio di piazza d’Armi a Torino si è venuta a creare una situazione di emergenza sanitaria, oltre che umanitaria, le cui conseguenze rischiano di essere estremamente gravi, nel momento in cui sta iniziando la delicata fase 2 dell’epidemia Covid-19. Una trentina delle circa 100 persone ospitate in piazza d’Armi si trovano ora di fronte a Palazzo Civico, in strada, in pessime condizioni igieniche e con la sola assistenza delle associazioni di volontariato. Gli altri ospiti sono invece in giro per la città, alla ricerca di sistemazioni di fortuna. È evidente come questa situazione, già problematica in ogni caso, durante l’attuale periodo di emergenza possa potenzialmente diventare un pericolo sia per la salute di queste persone, che per tutti i cittadini. Come Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Torino sollecitiamo il Comune a intervenire per trovare una soluzione. Occorre che queste persone vengano immediatamente prese in carico e che vengano verificate le loro condizioni di salute, in modo da scongiurare ulteriori rischi sanitari.
________________
Cosa vogliamo?
Dignità, casa e salute.
Piazza Palazzo di Città, giorno 3

Ieri in giornata il comune ha iniziato a proporre soluzioni abitative, in strutture varie, solamente alle persone in situazione di estrema fragilità. Soluzioni per 5 persone su 35. Per gli altri tutto tace. Il Comune ha deciso di utilizzare come suoi rappresentanti Digos e Vigili, senza prendersi mai la responsabilità delle proprie scelte e creando appositamente una situazione più tesa e sgradevole per chi ormai dorme da tre notti per strada.
Ovviamente nessuna soluzione è stata trovata per i servizi igienici e le persone sono ancora costrette ad arrangiarsi in strada. Cosa vogliamo?
Una casa per tutte le persone sfrattate da Piazza D'armi: che le istituzioni si prendano le proprie responsabilità davanti ad un'emergenza sanitaria senza precedenti garantendo un tetto, dignità, casa e salute a tutti e tutte. A Torino ci sono 6.000 case vuote, alberghi e varie strutture abbandonate e in disuso, veramente non c'è soluzione?
Chiediamo a chi è solidale di passare dal presidio davanti al Comune - sempre con mascherina, igienizzante e guanti - e portare solidarietà. Servono prioritariamente: prodotti per l'igiene personale, vestiti, igienizzante, mascherine, coperte, tende e acqua.
#Restoacasa ma la casa dov'è?


lunedì 4 maggio 2020

Discorso di Pippo Gurrieri per il 1° Maggio 2020

Il discorso del 1° Maggio 2020 di Pippo Gurrieri si può vedere cliccando sull’immagine sottostante.




domenica 3 maggio 2020

Covid 19: inizia la fase 2


Giuseppe Conte in conferenza stampa nazionale rassicura la popolazione che da buon amante del calcio farà ripartire il campionato, che la famiglia è sempre la famiglia e che la fase 2 è una sfida alla quale non ci si può sottrarre per ripartire, ma raccomandandosi di non cedere alla rabbia. Che finisse a tarallucci e vino ce lo si poteva certo aspettare, la fiducia nei confronti di questo (e dei precedenti) governi l’avevamo perduta da tempo immemore, ma sentirsi in balia di una manica di incapaci che schizofrenicamente oscillano tra la passione criminale di mandare al macello centinaia di migliaia di persone e la bonarietà che mal cela la sete di profitto, sta iniziando a essere troppo.
Non è bastato a Giuseppe Conte che l’OMS dichiarasse che all’oggi la ripartenza fosse troppo precipitosa perché i numeri dei contagi e delle vittime, soprattutto in alcune regioni italiane, sono ancora troppo simili alla fase 1. Non è bastato nemmeno l’avviso di qualche giorno fa dei medici piemontesi riuniti nell’associazione Anaao Assomed, che “Il rischio è che alla fase 2 coincida il picco 2. Che potrebbe essere peggiore del picco 1", appello ripreso anche da alcune testate giornalistiche non famose per essere ragionevoli o obiettive nel diffondere le informazioni. "Se ci fosse un piano chiaro e certezze, potremmo forse pensare davvero alla fase 2. Ma mancano, come manca una chiara definizione dei ruoli", sostiene l’Assomed. È evidente che i tagli decennali alla sanità pubblica, la sua progressiva privatizzazione, la concezione della cura in termini prettamente ospedalocentrici, l’assenza di una rete territoriale funzionante, la mancanza di piani emergenziali precisi, il ritardo nella chiusura delle attività produttive in una prima fase, così come la gestione dei tamponi, insufficiente, lenta, poco attenta alla diffusione dei casi, l’abbandono del personale sanitario solo di fronte alla catastrofe dell’assenza di dpi, di mezzi, di protocolli, la poca chiarezza sull’importanza delle precauzioni e il loro corretto utilizzo, sono tutti i limiti che stiamo scontando e contando, nell’ordine delle centinaia di morti. Non si capisce come per Giuseppe Conte tutto questo non fosse evidente prima di annunciare una fintamente lenta ripartenza. Cosa dovremmo leggerci? Incapacità o tendenze delittuose ?
Quando gli operai scioperano per non ammalarsi, quando la scuola, gli insegnanti, i bambini e ragazzi sono lasciati soli, insieme alle loro famiglie sprovviste di sostegno economico e psicologico, quando la casa diventa troppo stretta parchè c’è il contagio da limitare e c’è la violenza tra le mura domestiche da cui pararsi, quando non si può pagare l’affitto e le bollette, quando l’unica responsabilità che questo governo vuole riconoscere è quella individuale, non è possibile accettare che vengano prese delle decisioni palesemente contrarie alla tutela della salute di tutti e tutte. C’è poi chi cavalca l’onda dell’insopportabilità, della sofferenza e dell’impossibilità materiale di sopravvivere – dato che i ritardi dell’INPS nel dividere due briciole tra gli affamati sono sotto gli occhi di tutti – nel nome di chissà quali libertà individuali, calpestate per collezionare un po’ di consenso da parte di quei settori della società come la piccola e media impresa, i commerciati, le partite IVA. Risulterebbe quasi ridicola l’idea di Salvini di chiamare a un primo maggio che chieda di andare a lavorare, non fosse che a braccetto con Confindustria da un lato e la Chiesa dall’altro, perché le Madonne non sono ancora passate di moda, il Capitone si voglia costruire un bell’esercito di sfruttati da sfruttare.
In Piemonte poi, posizionato a un buon secondo posto sorpassata l’Emilia Romagna e a un passo dalla Lombardia, la Task Force regionale si trova da un lato a fronteggiare delle percentuali tra contagi e decessi per niente ottimistiche, con il rischio di dover richiudere tutto dopo due settimane, come sostiene uno dei membri, esperto del reparto malattie infettive dell’ospedale Amedeo di Savoia. E dall’altro, a inaugurare la poltrona del ei fu Roberto Rosso, con la nomina a assessore alla semplificazione e agli affari legali, della vecchia conoscenza Maurizio Marrone di Fratelli d’Italia. Come non sentirsi tranquilli nelle mani di chi invocava poco tempo fa di revocare le borse di studio a quei ragazzi che in università difendevano l’antifascismo a suon di botte della celere.
È quanto mai vitale costruire un’agibilità e un sapere autonomi che siano slegati dai dettami, che siano responsabilità collettiva per davvero, che possano iniziare a segnare un punto di non ritorno a partire dal quale le priorità siano la salute e la cura, la condivisione e la socializzazione contro il dominio del profitto, dell’induzione al consumo, contro la predazione e lo sfruttamento indiscriminato dei territori, dei corpi, della libertà. Una libertà che non è la possibilità tutta individuale e liberal di essere autorizzati a uscire per lavorare, guadagnare e consumare ma che si basi sulla responsabilità di scegliere collettivamente come distruggere un sistema pur mantenendo in vita la possibilità di ricostruirne un altro, che sia un’organizzazione della società che si possa riprodurre per amore della vita e non per autocondannarsi alla morte.
Buona fase 2 e si salvi chi può.