..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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martedì 30 novembre 2021

Riforma o rivoluzione

Di fronte alla devastazione del contesto sociale e alla degradazione delle comunità compaiono due tipi di lotta. Uno punta a ricostruire la comunità al margine dell’ordine sociale dominante scontrandosi con esso; l’altro cerca di agire dall'interno servendosi delle istituzioni, cercando obiettivi limitati mediante la negoziazione. Ci troviamo di fronte alla vecchia alternativa tra Riforma o Rivoluzione. I partigiani delle riforme e del dialogo con l’ordine stabilito pensano che non si debbano contrapporre i miglioramenti quotidiani ottenuti nei palazzi alle mete finali perseguite in piazza; alla fin fine la meta, qualunque essa sia, non ha importanza; il successo costante delle riforme è tutto. I partigiani della liquidazione sociale pensano il contrario: che il fine è tutto, che le riforme non sono possibili nelle condizioni attuali di sviluppo capitalista e che non si possono raggiungere degli obiettivi, per minimi che siano, se non attraverso dure lotte e ampie mobilitazioni. Inoltre, alla fin fine, tra le lotte per fermare gli effetti catastrofici dell’ideologia dello sviluppo e la ricostruzione di una società libera in cui l’essere umano sia la misura di tutte le cose, esiste un vincolo indissolubile: le lotte sono il mezzo, l’umanizzazione della società il fine.

La controversia tra i metodi istituzionali e l’azione diretta di massa non è dunque una semplice questione di tattica, perché in gioco c’è l’esistenza stessa dei movimenti di lotta contro l’inquinamento e la degradazione in quanto movimenti reali di trasformazione sociale. Sono metodi che non si possono combinare: o si sceglie la via della pressione istituzionale e si accettano le regole del gioco politico, oppure non si accettano e si sceglie la via dell’alterazione dell’ordine. Il modo in cui l’ordine viene alterato dipende dal momento; nell’assemblea il chicco nuovo rompe il guscio, cioè il movimento di lotta trova la sua rotta e la sua adeguata espressione. Attraverso il sistema delle assemblee – l’unico davvero democratico – il movimento di lotta può trasformarsi in un potere comunale parallelo, ed è precisamente di questo che si tratta; attraverso il sistema delle piattaforme civiche il movimento continuerà ad essere un complemento secondario della politica, lo sfondo delle discussioni su quale sia il livello tollerabile di distruzione. I piattaformisti, che non a caso di solito sono militanti sindacali o politici, cercano la risoluzione del conflitto tra gerarchi, avvocati ed esperti, dimenticando che quello che è in gioco non sono le loro poltrone ma la vita delle persone messe, senza il loro consenso, sul piatto della bilancia degli interscambi mondiali. È proprio per questo che anche la più modesta delle lotte è troppo importante per essere lasciata nelle mani di questi apprendisti stregoni, e la popolazione colpita non può occuparsi di argomenti che così tanto la riguardano se non attraverso le assemblee.

sabato 27 novembre 2021

Un immaginario ribelle e libertario

Il movimento migrante, negli ultimi decenni, ha iniziato a mettere in crisi confini, culture, lingue, Stati, economie rivelando la possibilità di nuove concatenazioni di lotte per le libertà. Una delle connessioni più interessanti per la configurazione di nuove lotte è proprio quella tra condizione precaria e condizione migrante.

In  questa nuova configurazione la parola rivoluzione non significa nulla. Non significa niente alcuna parola che si iscriva in una prospettiva universale. Non esiste più un piano etico, immaginario, progettuale che sia comune alle figure del lavoro frammentario globalizzato, perché non esiste un piano di consistenza sociale che sia loro comune. Il capitale ovviamente attraversa tutte le figure del lavoro frammentato e mantiene la posizione di agente di codificazione generalizzata. È qui che deve operare, con analisi, pratiche e azioni, un movimento ribelle all'altezza dei tempi, senza inseguire triti concetti ottocenteschi  come: federalismo, conservazione (o innovazione) delle culture territoriali, nazione..., svuotati di significato dalla storia e dalle interpretazioni reazionarie e razziste, alle quali si deve rispondere, non con la proposta di cambiamento di segno o interpretazione della muffa di un tempo, ma con la creazione di nuove parole, concetti e pratiche che sappiano rilanciare un immaginario ribelle e libertario.

mercoledì 24 novembre 2021

La società come prigione

Questo potere di coercizione e di cancellazione del dissenso si è instaurato ben prima di elargire “graziosamente” i diritti civili come il voto, che, inscenando la democrazia rappresentativa, garantirebbe la sovranità popolare.

La società come prigione di cui siamo anche carcerieri è un fatto.

La società non sia più la prigione a cui siamo tutti condannati ma un luogo felice da edificare con le forze e le idee di tutti ben armonizzate tra loro.

Non basta togliere il potere a chi ce l'ha occorre che ciascuno si munisca di un proprio potere di pensare e di agire costituendosi come parte di una collettività di individui pensanti, federati per essere ciascuno il testimone e il custode della libertà di tutti. Significa ribaltare il concetto stesso di legge e di sovranità, non più un modo di costringere gli altri, ma una responsabilità di realizzare le proprie idee trovando anche le energie per attuarle e incoraggiando altri ad unirsi.

Dobbiamo sostituire il circolo vizioso del dominio e della sanzione violenta con il circolo virtuoso dell'esempio e della parola libera.

La libertà di tutti comincia dallo scambio gratuito di diverse sensibilità, diverse opzioni individuali e sociali. Ognuno deve poter prendere dagli altri quel che sembra migliorare il senso della vita, lasciando quel che ne complica le realizzazioni.

L’umanità dell'essere umano è infatti il dono che ognuno fa a se stesso per il piacere di tutti. Il dono che include tutti gli altri.

La rivoluzione sociale bussa dunque alla nostra porta nel nome di una felicità per tutti e non in quello di un qualunque risentimento corporativo di ruolo o di genere.

Se anche non riusciremo a rovesciare la prospettiva del mondo avremo avuto ancora una volta il piacere concreto di averci provato.

domenica 21 novembre 2021

Il rifiuto di essere schiavo

 

Bisogna tenere sempre presente che le istituzioni non sono sorte per caso, ma per compensare la debolezza di chi vi partecipa. E in questo assolvono una funzione storica. Ogni istituzione si fonda sul sacrificio dei suoi membri, si nutre di vita umana. Si tratta quindi di porgere un invito a mordere, incamminarsi verso i giorni della gioia dove ogni individuo potrà sfoderare il proprio sogno nei colpi di ritorno contro i potentati che tengono le briglie e i giochi del proletariato arreso. Occorre muoversi nei percorsi accidentati del contrasto e andare a produrre un disordine linguistico/figurale dell’ordine apparente.

La rivolta è una filosofia della strada che si riconosce e si sviluppa ai bordi della storia. La rivolta mette a fuoco la realtà autorizzata, semina teoria della ribellione nel rovesciamento di forme e mitologie sovvenzionate dal mercato della verità ideologizzata. La rivolta si apre al rischio di vivere pericolosamente il rapporto tra idea e azione. Il gesto estremo, a volte disperato dei ribelli, coglie nel coraggio di minoranze bastonate, carcerate, uccise, le tracce di una differente esistenza.

La persona che si ribella e che poi tende al rivoluzionamento lo fa, come causa prima, in risposta ad esigenze ed emozioni in origine del tutto personali e di stretta contingenza alla sua condizione. Solo in un successivo, secondo tempo le sue medesime esigenze ed emozioni, incontrandosi, integrandosi, completandosi con analoghe situazioni reclamanti altre necessità e scaturenti da altrettante motivazioni, daranno luogo alla collettivizzazione dell’atto, che da rivoltoso si tramuterà così in rivoluzionario.

Occorre di mettersi di taglio alla costellazione della miseria delle democrazie formali. Infrangere lo spettacolo delle ideologie nelle teste di legno della società opulenta.

Cancellare dalla mente gli incubi di schiavo, per diventare il re dell’incubo, finalmente superiori a tutti gli altri, chiusi ciascuno nella sua superiorità. Diventare il produttore del film della propria vita.

Il rifiuto di essere schiavo è ciò che veramente cambia il mondo.

giovedì 18 novembre 2021

La ribellione come avversità ad ogni dominio

Ogni rivoluzione che vuoi essere veramente distruttiva dell' ordine esistente deve contenere almeno una parte della ribellione come superamento della storicità del dominio determinato; deve essere, in altri termini, pervasa da una dimensione metafisica. «Rivoluzione e ribellione non devono essere considerati sinonimi. La prima consiste in un rovesciamento della condizione sussistente o status, dello Stato o della società, ed è perciò un'azione politica e sociale; la seconda porta certo, come conseguenza inevitabile, al rovesciamento delle condizioni date, ma non parte di qui, bensì dalla insoddisfazione degli uomini verso se stessi, non è una levata di scudi, ma un sollevamento dei singoli, cioè un emergere ribellandosi, senza preoccuparsi delle istituzioni che ne dovrebbero conseguire. La rivoluzione mira a creare nuove istituzioni, la ribellione ci porta a non farci più governare da istituzioni, ma a governarci noi stessi, e perciò non ripone alcuna radiosa speranza nelle istituzioni.

La ribellione, però, non è alternativa o indifferente alla rivoluzione perché è molto di più. Essa è sempre comprensiva dell'avversità ad ogni dominio storico, anche se, contemporaneamente, indica l'impossibilità per sé di auto-determinarsi in quanto negazione metafisica dell'onticità stessa del dominio.

La rivoluzione ordina di creare nuove istituzioni, la ribellione spinge a sollevarsi, a insorgere.

La natura profondamente anarchica della ribellione è dunque chiara: essa è diretta ad ottenere una situazione in cui gli individui non siano più governati da istituzioni (cioè da poteri stabiliti), ma si autogovernino da se stessi (modello perfetto dell'anarchia).

lunedì 15 novembre 2021

Nessuna libertà è possibile con mezzi autoritari

Non esiste un’unica “Grande teoria anarchica”, poiché questa sarebbe contraria ai suoi stessi presupposti. E' diffusa invece una forza, una passione nel diffondere i valori condivisi che nasce nello spirito e nel cuore dei processi del partecipazionismo anarchico, nei piccoli gruppi di affinità che non è settaria o prevaricatrice o autoritaria. Ne deriva quindi il riconoscere il bisogno di differenti prospettive teoriche, unite da un insieme di impegni e analisi condivise, una discussione che si concentra su questioni pratiche, che tiene conto inevitabilmente di una serie di prospettive differenti, riunite dal desiderio condiviso di comprendere la condizione umana, in moto verso una libertà più grande. Pertanto prende forma una cosiddetta “teoria bassa”, piuttosto che una “teoria alta”, necessaria per fare i conti con i problemi reali e immediati che emergono nel corso di un progetto di trasformazione della realtà. Ad esempio: contro il concetto di “linea politica” che è la negazione stessa della politica, contro “l’anti-utopismo”; Una teoria sociale anarchica non può quindi che rifiutare in maniera consapevole ogni residuale avanguardismo. Il compito dei movimenti libertari è quindi guardare chi sta creando alternative percorribili, cercare di immaginare quali potrebbero essere le più vaste implicazioni di ciò che si sta già facendo, e quindi riportare queste idee, non come disposizioni, ma come contributi e possibilità.

Un progetto libertario dovrebbe avere due momenti: “uno etnografico e l’altro utopico, in costante dialettica fra loro, che siano in grado di produrre forme di contropotere: il mondo contemporaneo è pieno di testimonianze libertarie, di luoghi liberati, dei quali però non si rileva traccia nella narrazione ufficiale. Il contropotere prende forma nelle istituzioni tipiche della democrazia diretta, basate su determinati valori, quali la convivialità, l’unanimità, la prosperità, la bellezza, la gratuità.

E' ineluttabile che la dove esista un alto livello di disuguaglianza, tali valori assumano di per se valenza rivoluzionaria.

Un’azione rivoluzionaria è qualsiasi azione collettiva che affronti e respinga una qualche forma di dominio e di potere, e che nel contempo, alla luce di questo processo, ricostituisca nuove relazioni sociali. Le lotte contro le disuguaglianze tra Nord e Sud, le lotte contro il lavoro in quanto relazione di dominio, la negazione dell'autoritarismo, la resistenza alle regole imposte dalla società mercantile, l'affermazione della democrazia diretta sono i pilastri su cui si fondano le libere e autonome municipalità libertarie.

I movimenti libertari da sempre hanno fondato il loro agire sull'etica della pratica rivoluzionaria. E' necessario che i mezzi siano adeguati ai fini poiché c'è la consapevolezza che nessuna libertà è possibile con mezzi autoritari, al centro la necessità di dare forma concreta alla società che si desidera realizzare a partire dalle proprie relazioni personali.

venerdì 12 novembre 2021

Due parole sul termine SPRECO

Un piccolo tentativo per precisare l'uso che del termine spreco si fa in opposizione al mero consumo.

Preferiamo dire “sprecare”: poiché l'altro termine, consumo, che è quello che la moda ha imposto per indicare il modo d'essere della Nuova Società, è ancora incerto ed equivoca; e lo è soprattutto perché, mentre col verbo sprecare il nome davvero importante è quello dell'Oggetto (“Si sprecano i beni”), col verbo consumare il termine importante è quello del Soggetto (“Io  consumo” o “Gli abitanti consumano”), che si può propriamente sdoppiare in un Dativo (“Consumo per me” o “per il mio consumo”. “Consumano per loro”), cosa che evidentemente non si può fare col verbo “sprecare”. E si fa troppo onore al cliente dei nostri mercati quando lo si chiama consumatore: quando l'unica cosa che si esige da lui è che sia uno (tra i molti altri) degli strumenti, di spreco dei beni, necessario, pare, per il mantenimento di quest'Ordine. E tuttavia, ciò non toglie che l'ipocrita attribuzione di soggettività che ancora rimane nel termine di consumatore sia essenziale perché l'individuo continui ad agire proprio come strumento di spreco. Ma il processo di svalutazione della Persona che nel processo di spreco è compreso (e subito si manifesta nello spreco delle persone stesse) è proprio fondato, sulla svalutazione (ed in certo modo annullamento) delle cose e dei beni che il suo spreco esige.

martedì 9 novembre 2021

È tempo di prendere coscienza

Bisogna imparare a scommettere sulla nostra creatività per affondare un sistema che si distrugge minacciandoci di distruzione. Quando avremo capito che il desiderio di una vita diversa è già quella vita, smetteremo di cadere nella trappola dei dualismi intellettuali - bene e male, riformismo e radicalismo, ottimismo e pessimismo - che ci distolgono dai nostri veri problemi. La disperazione è oggi insieme alla paura, l'arma più efficace per il totalitarismo mercantile. Questo è ormai arrivato a rendere redditizia la speranza, facendo quotidianamente della verità, del suo declino una verità universale che incita a una saggia rassegnazione, meglio accontentarsi di un oggi miserabile dal momento che il domani sarà peggiore.

È tempo di prendere coscienza delle occasioni offerte all'autonomia individuale e alla creatività di ciascuno. Secondo il parere dei suoi promotori, il capitalismo finanziario è condannato all'implosione a più o meno lunga scadenza. Ciononostante in una forma sclerotizzata si profila un capitalismo risanato che progetta di approfittare delle energie rinnovabili facendocele pagare allorché sono gratuite. Ci vengono proposti biocarburanti a condizione di accettare delle culture transgeniche di colza, l'ecoturismo getta le basi di un saccheggio della biosfera. A questi livelli è già possibile intervenire. Le risorse naturali ci appartengono, sono gratuite e devono essere messe al servizio della gratuità della vita. Toccherà alle comunità autonome assicurare la loro indipendenza energetica e alimentare liberandosi dal peso delle multinazionali e degli stati che sono loro vassalli. Ci è offerta l'occasione di riappropriarci delle energie naturali riappropriamoci della nostra stessa esistenza.

Abbiamo troppo spesso concesso degli alibi alla disperazione che nasce dal sentimento di dover lottare contro un nemico troppo potente. In effetti non si tratta di affrontare quel che uccide, ma di battersi per vivere meglio. 

 

sabato 6 novembre 2021

Il linguaggio del potere

Esiste un linguaggio al servizio del potere gerarchico. Esso non alligna solamente nell'informazione, nella pubblicità, nel senso comune, nelle abitudini, nei gesti condizionati, ma è presente anche in tutti i discorsi che non preparano la rivoluzione della vita quotidiana, in tutti i discorsi che non sono posti al servizio dei nostri piaceri.

I giornali, la radio, la televisione sono i veicoli più grossolani della menzogna, non solo perché allontanano dai veri problemi, dal “come vivere meglio?” che si pone concretamente ogni giorno, ma perché costringono gli individui ad identificarsi con immagini ben fatte, a porsi astrattamente al posto di un capo di stato, di una vedette, di un assassino, di una vittima, a reagire come altro da sé. Le immagini che ci dominano sono il trionfo di tutto ciò che non siamo e di tutto ciò che ci allontana da noi stessi; di ciò che ci trasforma in oggetti destinati unicamente ad essere classificati, etichettati, gerarchizzati secondo i parametri del sistema della merce universalizzata.

Il sistema mercantile impone le sue rappresentazioni, le sue immagini, il suo senso, il suo linguaggio. Questo tutte le volte che si lavora per lui, quindi per la maggior parte del tempo. L’insieme di idee, di immagini di identificazioni, di condotte determinate dalla necessità di accumulazione e di riproduzione della merce costituisce lo spettacolo in cui ciascuno recita ciò che non vive realmente e vive falsamente ciò che non è. Perciò il ruolo è una menzogna vivente, e la sopravvivenza una maledizione senza fine.

Lo spettacolo (ideologie, cultura, arte, ruoli, immagini, rappresentazioni, parole-merci) è l’insieme delle condotte sociali mediante le quali gli uomini entrano a far parte del sistema mercantile. Partecipare questa farsa significa rinunciare a se stessi, ridursi a meri oggetti di sopravvivenza (merci), e rinviare per l’eternità il piacere di vivere concretamente per se stessi e di costruire liberamente la propria vita quotidiana.


mercoledì 3 novembre 2021

La rivoluzione di Errico Malatesta

La rivoluzione non sarà anarchica, se come è purtroppo il caso, le masse non saranno anarchiche. Ma noi siamo anarchici, dobbiamo restare anarchici ed agire come anarchici, prima, durante e dopo della rivoluzione.

Senza gli anarchici, senza l’opera degli anarchici, se gli anarchici aderissero ad una qualsiasi forma di governo e ad una qualsiasi costituzione cosiddetta di transizione, la prossima rivoluzione invece di segnare un progresso della libertà e della giustizia ed un avviamento verso la liberazione integrale dell’umanità, darebbe luogo a nuove forme di oppressione e di sfruttamento forse peggiori delle attuali, o nella migliore ipotesi non produrrebbe che un miglioramento superficiale, in gran parte illusorio e completamente sproporzionato allo sforzo, ai sacrifici, ai dolori di una rivoluzione, quale quella che si annunzia per un avvenire più o meno prossimo.

Nostro compito dopo aver concorso ad abbattere il regime attuale è quello di impedire, o cercare d’impedire, che si costituisca un nuovo governo; o non riuscendovi, lottare almeno perché il nuovo governo non sia unico, non accentri nelle sue mani tutto il potere sociale, resti debole e vacillante, non riesca a disporre di sufficiente forza militare e finanziaria, e sia riconosciuto ed ubbidito il meno possibile.

(Errico Malatesta, su “Umanità Nova”, 14-10-1922)