Questo potere di coercizione e di cancellazione del dissenso si è instaurato
ben prima di elargire “graziosamente” i diritti civili come il voto, che, inscenando
la democrazia rappresentativa, garantirebbe la sovranità popolare.
La società come prigione di cui siamo anche carcerieri è un fatto.
La società non sia più la prigione a cui siamo tutti condannati ma un
luogo felice da edificare con le forze e le idee di tutti ben armonizzate tra loro.
Non basta togliere il potere a chi ce l'ha occorre che ciascuno si munisca
di un proprio potere di pensare e di agire costituendosi come parte di una collettività
di individui pensanti, federati per essere ciascuno il testimone e il custode della
libertà di tutti. Significa ribaltare il concetto stesso di legge e di sovranità,
non più un modo di costringere gli altri, ma una responsabilità di realizzare le
proprie idee trovando anche le energie per attuarle e incoraggiando altri ad unirsi.
Dobbiamo sostituire il circolo vizioso del dominio e della sanzione violenta
con il circolo virtuoso dell'esempio e della parola libera.
La libertà di tutti comincia dallo scambio gratuito di diverse sensibilità,
diverse opzioni individuali e sociali. Ognuno deve poter prendere dagli altri quel
che sembra migliorare il senso della vita, lasciando quel che ne complica le realizzazioni.
L’umanità dell'essere umano è infatti il dono che ognuno fa a se stesso
per il piacere di tutti. Il dono che include tutti gli altri.
La rivoluzione sociale bussa dunque alla nostra porta nel nome di una
felicità per tutti e non in quello di un qualunque risentimento corporativo di ruolo
o di genere.
Se anche non riusciremo a rovesciare la prospettiva del mondo avremo
avuto ancora una volta il piacere concreto di averci provato.