Esiste un linguaggio
al servizio del potere gerarchico. Esso non alligna solamente nell'informazione,
nella pubblicità, nel senso comune, nelle abitudini, nei gesti condizionati, ma
è presente anche in tutti i discorsi che non preparano la rivoluzione della vita
quotidiana, in tutti i discorsi che non sono posti al servizio dei nostri piaceri.
I giornali, la radio,
la televisione sono i veicoli più grossolani della menzogna, non solo perché allontanano
dai veri problemi, dal “come vivere meglio?” che si pone concretamente ogni giorno,
ma perché costringono gli individui ad identificarsi con immagini ben fatte, a porsi
astrattamente al posto di un capo di stato, di una vedette, di un assassino, di
una vittima, a reagire come altro da sé. Le immagini che ci dominano sono il trionfo
di tutto ciò che non siamo e di tutto ciò che ci allontana da noi stessi; di ciò
che ci trasforma in oggetti destinati unicamente ad essere classificati, etichettati,
gerarchizzati secondo i parametri del sistema della merce universalizzata.
Il sistema mercantile
impone le sue rappresentazioni, le sue immagini, il suo senso, il suo linguaggio.
Questo tutte le volte che si lavora per lui, quindi per la maggior parte del tempo.
L’insieme di idee, di immagini di identificazioni, di condotte determinate dalla
necessità di accumulazione e di riproduzione della merce costituisce lo spettacolo
in cui ciascuno recita ciò che non vive realmente e vive falsamente ciò che non
è. Perciò il ruolo è una menzogna vivente, e la sopravvivenza una maledizione senza
fine.
Lo spettacolo (ideologie,
cultura, arte, ruoli, immagini, rappresentazioni, parole-merci) è l’insieme delle
condotte sociali mediante le quali gli uomini entrano a far parte del sistema mercantile.
Partecipare questa farsa significa rinunciare a se stessi, ridursi a meri oggetti
di sopravvivenza (merci), e rinviare per l’eternità il piacere di vivere concretamente
per se stessi e di costruire liberamente la propria vita quotidiana.