..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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lunedì 25 luglio 2016

Lavoro manuale e lavoro intellettuale

Alcuni individui privilegiati detentori del capitale e della scienza, sostengono che c’è una sostanziale differenza tra lavoro intellettuale e lavoro manuale. Sostengono che il lavoro manuale dipende dal intellettuale, che il secondo dà le direttive e organizza il lavoro del primo per ottenere una migliore e maggiore produzione; che il lavoro intellettuale è frutto di progettazioni, di riflessioni, di studi e che solo chi ha una certa formazione, una certa qualifica, un certo titolo può farlo e che ci vuole una “mente” speciale per essere in grado di eseguirlo.
Ma la mente del genio più grande della terra é forse qualcosa di più del prodotto del lavoro individuale o collettivo, tanto intellettuale che industriale, compiuto da tutte le generazioni passate e presenti?
Provate ad immaginare s quello stesso genio trasportato durante la sua primissima infanzia su di un’isola deserta, supponendo che non muoia di fame che cosa diventerà? Un animale, un essere incapace di pronunciare parola, per questa conseguenza non avrà mai pensato e non avrà mai sviluppato il suo intelletto. Trasportatelo su quell’isola all’età di dieci anni, che cosa sarà qualche anno dopo? Ancora un animale che avrà dimenticato l’uso della parola e che della sua umanità non avrà conservato che qualche vago istinto. Trasportatelo infine all’età di venti, trenta anni, e dieci, quindici, venti anni dopo sarà diventato stupido se non pazzo; forse avrà inventato una nuova religione!
Cosa prova tutto questo? Prova che l’uomo più dotato della natura riceve da questa soltanto delle facoltà, ma che queste facoltà muoiono se non vengono fertilizzate dall’azione benefica e possente della collettività. Dirò di più: tanto più l’uomo viene avvantaggiato dalla natura, tanto più egli preleva dalla collettività; da cui consegue che tanto più deve renderle, secondo giustizia.
Gli individui privilegiati detentori del capitale e della scienza asseriscono che i lavori del genio e del talento più rari, più preziosi e più utili di quelli dei lavoratori ordinari devono essere meglio retribuiti di questi ultimi. Ma su che base dicono questo? Quei lavori sono forse più faticosi di quelli manuali? Al contrario proprio questi sono senza confronto più faticosi.
Asseriscono pure che chi fa un lavoro intellettuale ha un titolo di studio ottenuto con anni di sacrifici e di studi sui libri. Oltre al fatto che non tutti hanno avuto la stessa possibilità di andare avanti con gli studi (solo i “figli di papà” se lo son potuto permettere, ed anche senza tanti sacrifici visto la facilità con cui si comprano i titoli di studio), ma coloro che ci sono riusciti hanno raggiunto il traguardo non solo per merito loro, ma devono dire grazie anche a tanta gente che ha svolto un lavoro manuale che gli ha permesso di proseguire negli studi (per questo argomento rimando alla lettura del post: Non esistonolavori separati o separabili).
Ma poi perché chi fa un lavoro intellettuale deve guadagnare di più di chi fa un lavoro manuale? Se ambedue vanno dallo stesso panettiere a comprare il pane, forse il primo paga il pane più del secondo o lo pagano entrambi allo stesso prezzo? Se vanno a far benzina alla macchina nella stessa pompa di benzina, il prezzo del greggio varia tra il muratore e l’architetto? Se si va a comprare dei pomodori, il fruttivendolo applica una tariffa diversa a seconda della qualifica o della classe sociale dell’acquirente? Il lavoro intellettuale è attraente, ha la sua ricompensa in se stesso, e non ha bisogno di altra retribuzione. Ne trova ancora un’altra nella stima e nella riconoscenza dei contemporanei, nelle agevolazioni e nel benessere che apporta loro.

venerdì 22 luglio 2016

Società democratica e società anarchica

Democrazia: parola che deriva dal greco (demos = popolo, crazia = governo) e che vuol dire forma di governo che si basa sulla sovranità popolare esercitata per mezzo di rappresentanza elettive, e che garantisce ad ogni cittadino la partecipazione, su base di uguaglianza, all’esercizio di potere pubblico [fonte Treccani.it].
Noi viviamo in un paese democratico che, come tutti gli altri paesi democratici, utilizza il sistema elettivo per garantire la partecipazione del popolo alla vita del paese. Ma la realtà è questa?
Beh, per un verso si, ma solo per uno: si eleggono i propri rappresentanti. Ma siamo proprio sicuri che gli elettori partecipino alla vita del paese? Ed i rappresentanti eletti fanno gli interessi del popolo o i loro?
Alla resa dei conti a me sembra che la democrazia è un inganno. Non pensate certo che il popolo scelga il lusso per pochi e la povertà per parecchi e l’incertezza e l’instabilità economica per moltissimi. Ciò vuol dire che per quanto buono possa essere teoricamente il sistema sociale della democrazia, praticamente non elimina i vizi d’origine che perpetuano le ingiustizie, nonostante le altisonanti solenni dichiarazioni di benessere sociale. 
Praticamente col sistema elettivo i cittadini scelgono (democraticamente ovviamente) i pochi che devono arricchirsi governando i tanti. La democrazie, col suo doppio fondo di falsità, è come una cravatta lussuosa su un vestito dimesso e consumato e talvolta anche lacero: essa rende più grottesco l’insieme.
Democrazia diventa, quindi, solamente una parola che riempie la bocca di tanti falsi paladini della libertà e dell’uguaglianza. Cambiano i governi, cambiano gli eletti, cambiano i partiti, tutti eletti (democraticamente ovviamente) dal popolo, ma l’unica cosa che non cambia sono le condizioni sociali di eletti ed elettori; vivere nel lusso, nell’agiatezza, nelle agevolazioni e nella libertà di azione (leggi corruzione) per i primi, e continuare a vivere nella miseria, nella povertà, nell’incertezza del domani, nell’oppressione totale per i secondi.
L’unica alternativa alla società democratica è la società anarchica.
La società libertaria, antiautoritaria, si basa sulla consapevolezza che tutte le persone possono avere interessi, idee, comportamenti differenti. Le assemblee rappresentano il luogo dove queste diversità si confrontano e in cui gli obiettivi particolari vanno incontro a quelli generali e viceversa. Se nonostante questo qualcuno non condividesse gli indirizzi generali, ebbene, gli sarà data la possibilità di fare di testa propria, a patto di basare il suo agire sulla propria forza e di non sfruttare il lavoro altrui e di non ricercare situazioni di privilegio rispetto ad altri. Nei suoi confronti verrà in pratica adottato un metodo e un principio libertario. Non sarà cacciato via, sarà messo in condizione di vivere alla sua maniera, con possibilità di cambiare idea quando vorrà. E questo vale per gli individui ma anche per i gruppi.
Potrà verificarsi anche che siano gli altri a cambiare idea e quindi ad adottare il metodo o l’indirizzo del singolo o del gruppo di “minoranza”.
Va detto comunque che in una società libertaria i concetti di maggioranza e minoranza perderanno il senso che gli si attribuisce nella società democratica contemporanea. Oggi la maggioranza, o comunque quella che scaturisce come tale dai riti elettorali, assume automaticamente il potere; maggioranze assolute o relative governano e impongono leggi a tutti. Anzi, voltando pagina, una minoranza di eletti in parlamento, che dice di rappresentare la maggioranza della popolazione, emana leggi e direttive senza che i rappresentati, cioè la stragrande maggioranza della popolazione, possono far nulla per cambiarle se non le condividono. Gli stessi referendum non sono altro che una delega al parlamento a rivedere o rifare leggi che il responso delle urne dovrebbe poter abrogare.
Ma poi che senso ha, nella situazione attuale ad esempio, parlare di maggioranza se il 50% degli aventi diritto non va a votare? Se chi vince le elezioni ottiene (nella più ottimistica delle previsioni) il 51% dei voti, alla fine dei conti la cosiddetta “maggioranza” risulterebbe un po’ più del 25% effettivo degli aventi diritto; ma siccome i vincitori di elezioni dicono di rappresentare la maggioranza della popolazione, allora faccio notare che se prendessimo in considerazione tutta la popolazione, quindi anche i non aventi diritto a votare, i minori di 18 anni ad esempio (anche loro hanno diritto di espressione), la percentuale di cui sopra diminuirebbe ancora.
La volontà della casta dei rappresentanti va sempre rispettata, e i vari riti elettorali non mettono mai in discussione il meccanismo, semmai solo il tipo di gestione che se ne fa.
Nessuno può stabilire chi sia nel giusto e chi dica una cosa sbagliata. Il fattore numerico non è garanzia di questo. Tanto è vero che spesso le minoranze hanno combattuto cause giuste riuscendo alla fine a convincere gli altri delle loro ragioni. Non solo, chi ha il potere ha anche gli strumenti nelle sue mani per poter manipolare l’opinione pubblica e costruirsi dei consensi maggioritari. È sempre stato così, e a maggior ragione lo è oggi. Questo sistema penalizza la libertà individuale, scavalca gli individui che non condividono determinate sue scelte. Pensate a quante bestialità sono state decise a colpi di maggioranza parlamentare; guerre, tasse, aumenti dei prezzi, progetti inquinanti … E a chi non era d’accordo non rimaneva che l’opposizione nelle piazze, l’obiezione di coscienza, l’atto di protesta individuale o collettivo, in pratica sottrarsi al gioco democratico/parlamentare. Eppure non sempre (anzi, quasi mai) quella maggioranza aveva ragione.
Una società anarchica è impostata al massimo rispetto di tutte le individualità e di tutte le posizioni, che devono trovare giusta collocazione e giusto spazio. In questo tipo di società ideale non verrà certo abolito il conflitto, quindi non ci sarà un appiattimento generale, ma verrà incanalato in maniera costruttiva. Ogni dubbio, ogni divergenza contribuirà a stimolare la ricerca del meglio e a rendere vivace e ricca la discussione; a tale proposito mi viene in mente uno slogan del movimento studentesco negli anni ’70 che diceva: “Dallo scontro nasce la creatività”.
L’anarchia sarà messa alla prova più dai dissensi che incontrerà che dai consensi, il clima di libertà favorirà la diversità di opinioni e arricchirà il confronto. Se la diversità si trasformasse in conflitto, sarà la capacità di gestirlo a definire la riuscita e la tenuta dell’esperimento sociale.

martedì 19 luglio 2016

Per un mondo senza galere

Oggi, se non si fa parte della casta dominante, chi commette un reato va in galera. Si impone una pena carceraria, si punisce il reo lasciando che le cause che hanno permesso l’attuazione di quel reato, e che continuano ad influire su altre persone, restino intatte.
Si vuole che il condannato cambi in virtù della punizione inflittagli, invece nella stragrande maggioranza dei casi manterrà intatta la consapevolezza che quello che ha fatto andava fatto. Inoltre lo si segrega in un luogo, il carcere, dove vige la limitazione quasi assoluta della libertà, dove l’individuo non può che coltivare rancore e coltivare odio. Dove sta fianco a fianco alle persone frustrate, represse, in cui sedimentano gli stessi sentimenti di vendetta, costrette anche da condizioni oggettive di degrado umano o sociale a compiere determinati reati. Il carcere quindi non solo non è la soluzione ma spesso rappresenta un’aggravante. Più si inaspriscono le pene, più il crimine si fa atroce, si specializza. Né la minaccio della pena di morte né un rafforzamento delle forze di polizia hanno risolto questi problemi.
La prima cosa che la società anarchica farà sarà l’abolizione delle carceri e delle strutture di segregazione, compresi i manicomi e tutte quelle mascherate da centri di sorveglianza, di accoglienza, di trattenimento. Ogni eventuale devianza sarà affrontata come un problema sociale, sarà esaminata cercando di individuare la causa, in quanto sarà considerata l’effetto di un malessere o di qualcosa che non va per il verso giusto nella società. Inoltre in una società libera, in una società di uguali, dove tutti hanno gli stessi diritti, dove non esiste la proprietà privata, dove la ricchezza economica è ugualmente divisa, non si ha più motivo di delinquere, non avrà più nessun motivo neanche di esistere una qualsiasi forza pubblica (un esempio è la cittadina di Marinaleda in Andalusia, Spagna di cui vi invito a leggere il post [clicca qui per il collegamento]). In una società anarchica verranno aboliti anche i tribunali; la società sarà impostata attorno a strutture di base, assembleari, di municipio o territorio, sarà basato su forme associative libere imperniate alla collaborazione reciproca, ad una etica positiva.
Non sarà una società che in mancanza di istituzioni come quelle che conosciamo oggi si troverà allo sbando. Le nuove strutture individueranno sia il modo adatto per affrontare la problematica sia gli individui preparati cui forniranno le linee guida per l’attuazione del loro compito, che consisterà prevalentemente nella rieducazione del soggetto, nel suo inserimento nella società, nel renderlo cosciente, tramite una serrata riflessione, del gesto compiuto, il tutto senza violenza o costrizioni.
Questo potrà avvenire attraverso il suo coinvolgimento diretto in attività legate in qualche modo all’azione da lui commessa (esempio: se ha distrutto una casa, nell’attività di ricostruzione; se ha ferito qualcuno, in una struttura sanitaria a curare i malati …). Rispettandolo come individuo, dialogando con lui e tentando di fargli comprendere come il suo comportamento nuoccia alla società e a lui stesso, mentre potrebbe disporre di molti modi diversi  per risolvere i propri problemi. Il dialogo con i soggetti interessati e le decisioni in comune sostituiranno quello che oggi resta sempre la legge del più forte.

sabato 16 luglio 2016

Per un mondo senza frontiere

[…]
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta
[…]

Sono i versi di «Stornelli d’esilio» una canzone scritta dall’anarchico Pietro Gori nel 1895 e diventata l’inno dell’internazionalismo libertario. Il brano canta degli esili degli anarchici girovaghi per il mondo e cacciati via da ogni Stato, ed in particolare i versi su citati stanno a chiarire che per gli anarchici le frontiere non hanno ragione di esistere, che sono state e sono la causa di conflitti, guerre sanguinose, odi razziali.
Più i popoli si dividono e si scontrano per rivendicare lembi di terra e ricchezze  a questo o quello Stato, per affermare un nazionalismo contro un altro, più i loro nemici dell’una e dell’altra parte si garantiscono il loro predominio sociale.
Le frontiere sono divisioni artificiali volute dalla società autoritarie e dagli Stati per definire possedimenti e territori sottoposti ad una giurisdizione anziché ad un’altra. Per tale motivo non ci sono frontiere che non sono macchiate di sangue e che non siano risultante di guerre in cui poveri contro poveri, operai contro operai, disoccupati contro disoccupati si sono scannati per la falsa idea di patria. La patria sarebbe il territorio interno ad una determinata frontiera e governato da uno stato e si distingue per la sua diversità, o presunta tale, da tutte le altre patrie, ma dentro l’amor patrio cova sempre il fuoco dell’aggressività, pronto ad esplodere al momento opportuno.
Il concetto di patria è connesso a quello di superiorità e razzismo, e il patriottismo degenera regolarmente in una forma molto pericolosa di manifestazione della propria presunta superiorità.
Non ci sono frontiere e non ci sono patrie senza eserciti, armamenti, preparativi quotidiani alle guerre, investimenti di somme di denaro esagerate per potenziare gli arsenali.
Noi anarchici siamo contro le frontiere e contro il concetto di patria, diretta emanazione degli stati e copertura delle loro violenze.
Questo però non vuol dire che siamo per l’uniformità di tutti i popoli della terra. In virtù dei processi storici in cui si sono formate, delle differenti condizioni ambientali, le popolazioni hanno assunto e continuano ad assumere caratteri differenti le une dalle altre, e non solo per la lingua, ma anche per le abitudini, la cultura, le concezioni del mondo stesso. Per questi motivi ha senso parlare di “matria (madre terra – terra natia)” e non di patria; le differenze su citate, che appunto ci fanno parlare di popoli e non di popolo della terra, rappresentano la più grande ricchezza che la “razza umana” abbia.
Attenzione, ho detto razza umana, perché quella umana è una sola, a dispetto di chi sostiene l’esistenza di diverse razze e fra queste individuano le superiori e le inferiori. La razza umana è una sola, i popoli che la compongono sono tantissimi, anche in una stessa nazione. Ma questo è un argomento di cui parleremo in seguito.

martedì 5 luglio 2016

Cosa si intende per anarchia


Anarchia è la vita senza padroni, per l’individuo come per la società; è l’accordo sociale derivante non dall’autorità e dall’obbedienza, dalle leggi e dalle sanzioni penali, ma dalla libera associazione degli individui e dei gruppi, conforme ai bisogni di ciascuno e di tutti.”
Elisee Reclus


Noi ci rappresentiamo una società in cui le relazioni tra i suoi membri sono regolate non più da leggi, non più da queste o quelle autorità, siano poi elette dal popolo o detengano il potere per diritto d’eredità, ma da impegni reciproci, liberamente conclusi e sempre revocabili, come pure da usi e costumi bene accetti a tutti. Quindi nessuna autorità che imponga agli altri la propria volontà, nessun governo dell’uomo per l’uomo, libertà d’azione lasciata all’individuo. Noi ci rappresentiamo una società che non chiede nulla all’individuo che non abbia liberamente consentito di fare al momento stesso che lo fa.

domenica 3 luglio 2016

La rivoluzione non è un pranzo di gala

Governanti, monarchi, industriali, politici, petrolieri, banchieri, benestanti, ricconi, i padroni insomma, come reagirebbero di fronte ad un tentativo di ribaltare la società che li ha ingrassati e protetti fino a quel momento? Anche davanti ad una massa sterminata di persone che decidesse di combatterli difficilmente cederebbero la loro proprietà, i loro beni, il loro potere.
Sarebbero i primi a rispondere con la violenza alla minaccia rappresentata da una massa di donne e uomini che non intende più sottostare ad alcuna autorità e che si prepara ad attuare l’espropriazione generalizzata. E come i pastori che sguinzagliano i loro cani da guardia ammaestrati per proteggere il gregge dal branco di lupi affamati, così i padroni userebbero la violenza mandando avanti i loro eserciti e le loro polizie. La paura di perdere i loro privilegi li renderebbe spietati, il fine di mantenersi in sella giustificherebbe qualsiasi mezzo. Tale giustificazione non ci sarebbe invece per la fazione opposta quando questa, per difendersi dalle violenze subite e per ripristinare la giustizia, non gli resta che attrezzarsi per rispondere alla violenza con la violenza.
Quanto più sarà diffusa la coscienza della necessità di un mondo nuovo, quanto più questa idea sarà penetrata in ogni ambito della società, tanta minore sarà la violenza che caratterizzerà il momento dello scontro, perché anche tra le file dell’esercito, della polizia, di coloro che normalmente servono il potere, ci saranno defezioni, diserzioni, cambi di fronte, al punto che il potere si troverà molto indebolito e non potrà usare a lungo la forza.
In una insurrezione c’è sempre una fase di propaganda e di diffusione delle idee in cui si misurano le forze in campo per poter verificare quanto sia vicino (o lontano) il momento con la rottura col sistema. Ogni metodo che comporti la conquista di maggiori diritti e di migliori condizioni di vita può essere adottato, a condizione che non sia in contraddizione con i fini: l’educazione, la parla scritta o parlata, lo sciopero, l’atto di disubbidienza, il gesto simbolico, il boicottagrgio, il sabotaggio, l’insurrezione, possono essere utili a rafforzare un tipo di opposizione dal basso che aiuti a prendere coscienza e a schierarsi.
Quindi il problema è convincere quante più persone possibili dell’utilità di cambiare il sistema in cui vivono, in modo da scongiurare l’esplosione di una violenza incontrollabile.
La rivoluzione non è un pranzo di gala, ci saranno momenti di repressione, allo scopo di eliminare il dissenso alla radice, con la carcerazione, la violenza, la provocazione. Non sarà insomma un percorso facile e lineare, e se si dovesse attuare e se si dovessero raggiungere i suoi scopi, bisognerà poi stare bene attenti a non compiere errori che potrebbero compromettere ogni sforzo. Tipo sottovalutare le possibilità che nuove autorità emergano e progressivamente vengano a sostituirsi alle vecchie. Tipo lasciare troppo spazio alle armi e alle vendette. Oppure affrontare determinati problemi, come quello del dissenso e del conflitto di idee, o altri più pratici (furto, appropriazioni …) legati alla fase incerta e confusa che circonda il nuovo che sta per sorgere, con mentalità e metodologie tipiche della vecchia società.