..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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lunedì 28 aprile 2014

La pantera


"Mi sento come dentro una gabbia dorata. Tutto perfetto, le carte ordinate, le penne colorate dentro gli astucci... una pantera nera passa sopra la mia scrivania. È lenta, sta abbassando il muso sulle mie carte, sopra i miei libri, gira la testa a destra e a sinistra, si gira verso quel foglio, annusa questa penna, cammina piano e si ferma di tanto in tanto. Un pelo lucidissimo che posso vedere in riflesso blu sotto la lampada da studio. È notte e ascolto i Massive Attak. Una pantera con le zampe morbide e il collo possente. Non vedo i suoi occhi... i suoi occhi stanno analizzando la mia mente degli ultimi mesi tutta depositata come su un tavolo di obitorio, qui sopra questa larghissima e lunga scrivania. Mi risparmia il pc, mentre contina a camminare sul legno piano; è accuratamente soffice ed esperta a non distruggere e graffiare i fogli. Ci passa sopra come non fosse mai stata qui. Vuole che tutto rimanga così, come nella scena di un delitto. Risparmia di darmi un’occhiata. Sento che annusa e fiuta ogni cosa che mi sia passata per la testa in questo passato recente di idee, progetti e parole scritte, salvate ed inviate. Adesso si ferma e si gira verso di me. Dio, come è bella e spietata. Rimango seduta come in attesa della fine: aspetto che mi faccia capire l’unica cosa che in questi mesi non ho voluto confessarmi. “Tu sei confusa, e io ti anniento”. La pantera ha scandagliato tutte le mie carte. E dietro quelle, ha visto oltre i miei occhi la distanza infinita tra me e le cose che faccio. Vorrei esser leccata in bocca da lei. Vorrei supplicarla di risparmiarmi con un atto di amore. Ma corrompo lei e me stessa. Vorrei dire che le carte e le pagine che scrivo sono perfette, seguono un filo logico, non sono disordinate, frammentate e disgregate. Sono perfette. La pantera continua a fissarmi. Io vorrei comunicare amore, sesso, trasgressione e libertà. Vede anche questo. Sento il suo fiuto addosso. Il tuo graffio per un’idea. Una parola. Un’immagine. Invece di questa gabbia dorata. La pantera mi guarda e so cosa vuole. È venuta a parlarmi della minaccia. Ma mi risparmia il corpo e va via."
Un’amica di un tempo

venerdì 25 aprile 2014

Torino 1° Maggio 2014. Terrorista è chi bombarda, sfrutta, opprime

Al centro di questo primo maggio anarchico le lotte contro la guerra, il militarismo, la repressione.
I confini tra guerra interna e guerra esterna sono sempre più labili.
I militari che fanno la guerra in Afganistan sono gli stessi che la fanno a Chiomonte.
Le basi della guerra sono accanto alle nostre case, le fabbriche di morte sono il fiore all’occhiello dell’industria piemontese.
Saremo in piazza contro la guerra, la militarizzazione dei territori, la violenza dello Stato, la ferocia dello sfruttamento.
Saremo in piazza contro le produzioni belliche, contro gli F35 e contro gli Eurofighter.
Saremo in piazza perché morire di lavoro non è un incidente, ma omicidio premeditato.
Saremo in piazza per la libertà di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, perché la loro libertà è la libertà di tutti e di tutte.
L’appuntamento è in piazza Vittorio dalle ore 8,30

giovedì 24 aprile 2014

25 aprile La festa dell'insurrezione

Il ricordo del 25 aprile 1945 ormai, sia per la destra che per certa sinistra democratica, appare come storia morta e sepolta.
Storicamente parlando, il Venticinque Aprile sarebbe più corretto considerarlo e festeggiarlo come l’anniversario dell’insurrezione contro il nazifascismo, piuttosto che come quello di un’imprecisata Liberazione.
Infatti, quel giorno iniziò nel Nord Italia – ancora sotto l’occupazione militare germanica affiancata dai collaborazionisti della Repubblica di Salò – la sollevazione popolare e partigiana, ma in molte zone i combattimenti durarono ancora diversi giorni e furono effettivamente liberate una settimana dopo.
Inoltre, anche dopo la liberazione delle città e delle valli dalle truppe nazifasciste, la prospettiva di una liberazione non soltanto nazionale rimase incompiuta, così come restò aperta la questione politica ed economica con le sue immutate ingiustizie sociali.
Così, a distanza di tanti decenni, il 25 aprile si riduce ad occasione in cui disquisire di morti, dell’una e dell’altra parte, piuttosto che delle convinzioni che armarono i vivi e li videro contrapposti per ragioni etiche e idee di società assolutamente antitetiche.
All’interno di questa danza macabra, come al solito i vecchi nostalgici e i nuovi sostenitori del fascismo si dimostrano imbattibili nel tentativo di far apparire “tutti italiani” coloro che combatterono quella guerra civile, indistinte vittime dell’odio fratricida e delle ideologie. Ma dietro questa apparente equiparazione, evidenziano però che non solo entrambe le parti si macchiarono di delitti, ma come i “comunisti” e gli “anarchici” si dimostrarono in realtà come i più spietati assassini dei “fratelli” che avevano “solo” il torto di essersi schierati con le truppe di Hitler, in nome di un improbabile senso dell’onore.
Tale frenesia revisionista nel cercare prove della “barbarie rossa” è talvolta così morbosa da indurre in errori tragicomici: nel 2004 nei pressi di Argenta (Fe) una presunta fossa comune di poveri “ragazzi di Salò” massacrati dai partigiani, clamorosamente usata per criminalizzare la Resistenza e la sinistra, si rivelò il cimitero dimenticato di un antico convento; analogamente, è avvenuto a San Giovanni Persiceto (Bo), quando lo scorso settembre è stato risolto il caso di 34 scheletri trovati nel 1962, sotterrati in un campo. Al tempo era stata, faziosamente, accreditata l’ipotesi di un eccidio partigiano contro persone legate al fascismo, e il parroco del paese, monsignor Guido Franzoni, celebrò persino i funerali in forma solenne davanti a una bara vuota. Dopo mezzo secolo, i resti analizzati con il metodo del radiocarbonio hanno rivelato che le ossa risalgono all’Alto Medioevo. D’altra parte, l’intento di certe “denunce” non è mai finalizzato a ricostruire storicamente le vicende di una guerra civile, iniziata nel 1919 con il sorgere del fascismo e durata oltre un ventennio, che nella sua fase finale vide anche episodi di giustizia sommaria e vendetta per violenze impunite, ma soltanto a mettere sotto accusa chi scelse di ribellarsi, facendosi disertore e fuorilegge, alla dittatura e alla guerra di Mussolini e del Terzo Reich.
Una scelta, questa sì controcorrente e di coraggio, mentre la maggioranza obbediva senza credere oppure aspettava la fine del regime senza assumersi alcuna diretta responsabilità per cercare di affrettarne la caduta e mettere fuori gioco gli squadristi, gli aguzzini e i delatori al servizio dello stato fascista.
Per questo il mito dei morti “tutti uguali” non ha senso e mette, colpevolmente, sullo stesso piano i carnefici e gli spettatori dello sterminio dell’umanità – dai bombardamenti all’iprite sulle popolazioni libiche e etiopiche alle leggi razziali, dalle torture ai lager – a fianco di quanti vi si opposero e non esitarono a combattere in prima persona per vivere un presente e un futuro di libertà e dignità umana.
Da qui, l’attualità di difendere la memoria di quella scelta, rifiutando la storia monumentale come quella antiquaria dell’antifascismo, a favore di una storia critica.
Critica, in primo luogo, verso la sottomissione al potere.
Uno come un’altra.

sabato 19 aprile 2014

Il programma anarchico di Carlo Cafiero

Alcuni dei nostri avversari ci accusano spesso di non avere programma. Se per programma s’intende una nuova forma elaborata in tutti i suoi più minuti particolari, nella quale si vuole mettere l’umanità di buon volere o di forza, il dire che non abbiamo programma è renderci la più ampia giustizia, qualificarci per veri amici della rivoluzione, per anarchisti quali ci vantiamo. Ma se per programma s’intende una meta con la strada che vi mena, uno scopo con la designazione dei mezzi per raggiungerlo, una bandiera di lotta per la vita e per la morte, un’ideale della nostra esistenza, allora noi risponderemo che l’accusa è assolutamente gratuita, perché noi abbiamo un programma, e chiaro, netto e preciso.
La prima parola del nostro programma è anarchia, che ne contiene, per così dire, la sua quinta essenza e tutto in essa sola la sintetizza. Se, come già dicemmo, l’eguaglianza economica è tutt’altro che impossibile senza la libertà, l’anarchia al contrario esige la più completa eguaglianza fra gli uomini.
Non solo l’ideale, ma la nostra pratica e la nostra morale rivoluzionaria sono eziandio contenute nell’anarchia; la quale viene così a formare il nostro tutto rivoluzionario. È per ciò che noi l’invochiamo come l’avvenimento completo e definitivo della rivoluzione: la rivoluzione per la rivoluzione.
A noi, dell’anarchia, è confidata solamente la missione distruttrice. Noi forse periremo in un’avvisaglia od ai primi colpi della grande giornata; forse a qualcuno sarà dato persino mirare i primi albori dell’avvenimento umano. In tutti i casi, noi cadremo soddisfatti. Soddisfatti di aver concorso alla certa rovina di questo mondo iniquo, crudele, infame; che, crollando, ci seppellirà nella più gloriosa tomba concessa mai a combattenti.
Ben altri uomini nasceranno dalle viscere stesse della feconda rivoluzione, per assumere il compito di attuare la parte positiva ed organica dell’anarchia.
Odio, guerra e distruzione a noi, ad essi amore, pace e felicità. 

venerdì 18 aprile 2014

Guerra alla guerra! Non una sola goccia di sangue per la “nazione”!


La lotta di potere tra i clan oligarchici dell’Ucraina minaccia di estendersi ad un conflitto armato internazionale. Il capitalismo russo tenta di utilizzare il riassetto del potere dello Stato ucraino per attuare le sue già stantie aspirazioni imperialiste ed espansioniste in Crimea e in Ucraina orientale, dove ha forti interessi economici, finanziari e politici.
Sullo sfondo della prossima ondata della crisi economica che incombe in Russia, il regime sta cercando di far rivivere il nazionalismo russo per distogliere l’attenzione dai crescenti problemi socio – economici dei lavoratori: salari e pensioni da fame, smantellamento del sistema sanitario disponibile così come dell’educazione e di altri servizi sociali. Nel frastuono della retorica nazionalista militante è più facile portare a compimento la formazione di uno stato aziendale e autoritario basato su valori conservatori reazionari e politiche repressive.
In Ucraina l’acuta crisi economica e politica ha portato ad uno scontro crescente tra i “nuovi” e i “vecchi” clan oligarchici, i primi dei quali hanno utilizzato anche formazioni dell’estrema destra e ultranazionaliste per provocare un colpo di stato a Kiev. L’élite politica di Crimea e dell’Ucraina orientale non vuole condividere il proprio potere e le sue proprietà con il prossimo governo di turno a Kiev e cerca di appoggiarsi all’aiuto del governo russo. Entrambe le parti hanno fatto ricorso alla dilagante isteria nazionalista: ucraina e russa rispettivamente. Ci sono scontri, spargimenti di sangue. Le potenze occidentali hanno i propri interessi e aspirazioni e i loro interventi nel conflitto potrebbero portare alla terza guerra mondiale.
Le fazioni belligeranti spingono, come di consueto, noi, gente comune: lavoratori salariati, disoccupati, studenti, pensionati … a combattere per i loro interessi, trasformandoci in dipendenti della droga nazionalista; gettandoci l’uno contro l’altro dimentichiamo i nostri bisogni e interessi reali: a noi non importa né possiamo curarci delle loro “nazioni” nelle quali ora siamo maggiormente preoccupati da più vitali e urgenti problemi come sopravvivere cosa che si scontra con il sistema che loro hanno fondato per schiavizzarci e opprimerci.
Non cedere alla intossicazione nazionalista. Che vadano al diavolo con il loro stato e le loro “nazioni”, le loro bandiere e i loro proclami! Questa non è la nostra guerra e noi non dobbiamo parteciparvi pagando con il nostro sangue i loro palazzi, i loro conti bancari e il piacere di sedere su comode poltrone delle autorità. E se i capi di Mosca, Kiev, Lviv, Kharkiv, Donetsk e Simferopoli, Washington e Bruxelles danno inizio a questa guerra, il nostro dovere è quello di ooporci ad essa con tutti i mezzi!

Né guerra tra i popoli – né pace tra le classi!

KRAS, sezione russa dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori
Internazionalisti di Ucraina, Russia, Moldavia, Israele, Lituania, Romania, Polonia
Federazione Anarchica in Moldavia
Frazione dei Socialisti Rivoluzionari (Ucraina)

venerdì 11 aprile 2014

La famiglia

Il sorgere della proprietà privata, basata sulla divisione dei terreni, del bestiame, aggravata dalla metallurgia e da nuove divisioni del lavoro e degli oggetti prodotti dal lavoro, portò il passaggio dalla società matriarcale a quella patriarcale. L’uomo assunse il governo anche nella casa; la donna fu avvilita, asservita, divenne la schiava del suo piacere e un semplice strumento di riproduzione. L’uomo, che ormai era quello che accumulava ricchezza, voleva sapere con esattezza che i figli fossero i SUOI e non di un altro, per lasciare a loro l’eredità dei suoi beni. Ma per avere questa sicurezza non poteva fare che una cosa: schiavizzare la donna e imporle una castità e fedeltà coniugale rigorosa.
La famiglia è la cellula ideale di una società basata sul profitto, dove si dà all’operaio la possibilità materiale di vivere e quindi di produrre (garantita dal lavoro a tempo pieno e improduttivo della moglie) di far vivere i propri figli (anche questo sarebbe impossibile senza il lavoro della donna) e quindi riprodursi.
Il modello famigliare è ben preciso: il capofamiglia che procura i soldi, la moglie che fa funzionare la casa, i figli che consumano e basta. Tutto questo è determinato da una necessità economica imposta dall’organizzazione capitalistica della produzione in questa fase del suo sviluppo.
La donna diventa un angelo in scatola che le mura domestiche separano dal resto del mondo. Non avendo la possibilità di pagare dei servizi (asili, ecc.) il suo ruolo le si chiude addosso ed è costretta a svolgere funzioni prettamente domestiche: una statistica dice che in Italia le donne non rientrano a lavorare dopo la maternità, se non in numero ridottissimo.
E tu figlio, ti vedi programmato il tuo affetto, i tuoi rapporti umani per tenere bene in piedi un ferreo sfruttamento. Il movente economico è quello della società borghese, in cui il lavoro di molti deve servire a pochi per accumulare capitali.
Lavori alienanti, orribilmente pesanti, pericolosi, monotoni, da far fare alla classe sociale più povera, ricattata nella vita, perché deve mantenere una famiglia. Condizionata a produrre dei buoni cittadini perché non si renda conto della sua forza di massa, dell’ingiustizia subita ogni giorno, perché non si accorga e non si ribelli.
Ti senti dire da loro che se studi non farai la loro stessa fine, mentre studiare e farsi una posizione vuol dire mettersi in una condizione per cui è più difficile per il padrone poterti sfruttare.

Tratto da:
Manuale di autodifesa e di lotta per i minorenni CONTRO LA FAMIGLIA
Stampa Alternativa Roma 1974

giovedì 10 aprile 2014

10 maggio. Corteo No Tav a Torino

Il movimento No Tav ha lanciato un appello per una manifestazione popolare a Torino in solidarietà con i No Tav accusati di “terrorismo”. Di seguito il testo dell’appello.

Colpevoli di resistere
Il 14 maggio. a Torino si aprirà il processo a carico di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò accusati di terrorismo per il sabotaggio di un compressore.
Attraverso l’accusa di terrorismo contro alcuni NO TAV si vogliono colpire tutte le lotte.

Sabato 10 maggio ore 14 (ritrovo in Piazza Adriano)
Manifestazione popolare a Torino

Perché
Chi attacca alcuni di noi, attacca tutte e tutti.

Perché
Le loro bugie, i loro manganelli, le loro inchieste non ci fermano.

Resistiamo allo spreco delle risorse, alla devastazione del territorio, alla rapina su i salari, le pensioni e la sanità.
Chiara, Claudio, Niccolò, Mattia liberi subito.
Movimento No Tav

Ex Moi. Un anno di autogestione

Il 30 marzo dello scorso anno 200 profughi rimasti in strada dopo la fine “dell’emergenza nordafrica“, occuparono una casa del villaggio olimpico, la “ex Moi” in via Giordano Bruno.
Tre palazzine rimaste vuote per 7 anni, divennero la nuova casa per uomini e donne, che il governo italiano aveva buttato in strada dal 28 febbraio 2013, quando per decreto era stata fissata la fine della protezione. Chiuse le strutture di accoglienza, ai profughi sono stati dati 500 euro in cambio di una firma su documento che liberava lo Stato italiano di ogni responsabilità nei loro confronti.
Nonostante la spesa esorbitante di un miliardo e 300 milioni di euro, ai profughi della guerra in Libia non era stato garantito alcun percorso di inserimento nella nostra società.
Per un anno e mezzo trascorso i profughi erano stati parcheggiati senza prospettive, tra incuria, assistenzialismo e mera carità.
Strutture in condizioni indegne, senza acqua calda e riscaldamento, persone stipate in posti sovraffollati, disservizi e malaffare sono stati il risultato della gestione emergenziale imposta da un governo che aveva deciso di elargire un miliardo e 300 milioni di euro ad una miriade di associazioni del terzo settore, che garantirono poco o nulla nulla di quanto previsto per loro sulla carta.
Ai rifugiati provenienti dalla Libia non venne data alcuna opportunità di rendersi autonomi, indipendenti ed inserirsi nei nostri territori. Niente corsi di formazione, nessuna traccia dell’inserimento lavorativo, zero inserimento abitativo.
Ancora una volta “l’emergenza umanitaria” era stata una buona occasione di lucro per le tante organizzazioni del terzo settore che l’avevano gestita, bandando a ricavarne il più possibile.
Occupare una casa vuota è stata la scelta di lotta e di autonomia di gente che lo Stato italiano voleva invisibile, dispersa tra le vie di una nuova cavalcata per l’Europa delle frontiere, nascosta in qualche buco per clandestini, accampata nelle campagne della raccolta e delle schiavitù.
Il 17 gennaio di quest’anno alle palazzine dell’Ex Moi si è aggiunta la casa occupata in via Madonna delle Salette, uno stabile di proprietà dei preti, abbandonato del 2008. Una prima risposta alle crescenti esigenze abitative dei profughi accorsi anche da altre regioni, una possibilità in più di costruire percorsi di autogestione.