..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

Translate

giovedì 30 maggio 2019

Freaks di Tod Browning

Il regista Tod Browning dopo le traversie avute con la casa cinematografica Universal per il film Dracula con Bela Lugosi, (censura e pressioni produttive per soluzioni a basso costo) ritorna alla MGM per dirigere Freaks.
Egli radunò negli studi cinematografici l’universo dei cosiddetti fenomeni da baraccone (gemelli siamesi, creature senza mani né braccia, ermafroditi, donne barbute, ragazze dalla testa a punta), che risulta osservato e descritto nella sua opera con grande rispetto, sottolineando su quali principi di armonia e mutuo soccorso si basa questa comunità. Ribaltando luoghi comuni e convenzioni Browning dimostrò che la vera mostruosità risiede altrove, in questo caso nei diabolici, perfidi piani architettati dagli unici due membri del circo fisicamente integri, che mortificano la propria natura umana rivelandosi creature brutali e immorali.
Ambientato nel mondo del circo è la storia della bella trapezista Cleopatra che venuta a conoscenza della cospicua fortuna ereditata dal nanetto Hans, decide di sposarlo con l’intenzione di accaparrarsi l’eredità, per poi ucciderlo. Il piano, suo e del suo reale amante, il forzuto Ercole, viene però scoperto dagli altri freaks che compiono la loro vendetta mutilando orrendamente i due amanti, riducendo lui ad un castrato obeso e lei a donna gallina.
L’orrore di “Freaks” sta nel fatto che è un film assolutamente senza pietà, per nessuno. Se Cleopatra ed Ercole non lasciano, nella loro avidità, spazio a scrupoli, i poveri esseri deformi esposti nel vaudeville alla morbosa curiosità del pubblico atterrito e deliziato assieme dal monstrum, suscitano sì commozione nel senso etimologico, ma non sono i “buoni” della situazione, non sono i bambini innocenti amati dagli Dei, non c’è spazio per interpretazioni edificanti. Hanno un codice d’onore e di lealtà, aperto all’accettazione, ma senza perdono.
Una fotografia magistrale, una sceneggiatura tanto perfetta da far credere, in alcuni momenti, di assistere a situazioni di vita reale (i freaks non vengono mai ripresi nel circo durante lo spettacolo), caratteri perfetti,una trama semplice ma mai scontata, un montaggio da scuola.
Freaks è molto più che un thriller, dato che tocca i temi dell'umanità e del mostruoso, della fiducia e del tradimento, e Tod Browning ci fa capire che le persone emarginate da una qualche menomazione fisica non possono sperare nella comprensione e nella tolleranza del mondo ordinario, insomma i freaks con la loro radicale diversità non si riescono a catalogare e sono in grado di destabilizzare gli incerti confini della nostra identità, mentale e corporea, per cui nella nostra quotidianità la società cerca di minimizzare le nostre possibilità di contatto con questi misteriosi esseri umani.
Un film particolarmente atipico, prodotto in segreto, proiettato raramente e vietato a lungo in tutto il mondo.


Il cast di Freaks

venerdì 24 maggio 2019

Luigi Galleani – Viva l’Anarchia!

Finché giù nelle mine, sui solchi, per le officine, su la soglia d’una chiesa, d’una caserma, d’un lupanare, a la lusinga d’un mezzano, per gli editi del re, sotto la ferula del padrone, ludibrio della ignoranza, della viltà, della fame, e si prostituisca un servo, ed il mondo civile non sia che l’ergastolo del lavoro e del diritto;
Finché tra i campi si erga una siepe, tra le patrie una frontiera, tra il lavoro ed il pane, la maledizione della bibbia, la sanzione dei codici, l’impunità dell’usura, della frode e della rapina, e tra gli uomini -nati dalla stessa doglia- stiano l’ineguaglianza, il livore, il fratricidio; ed il mondo non sia che un turpe mercato in cui le braccia ed i cuori, la fede e gli orgogli, la coscienza e la giustizia, si barattano oscenamente per una manciata di studi;
Finché ascensione costante inesorabile dalla coercizione alla libertà appaia la storia del progresso umano che di quella ha frugato e distrutto segni e termini, e di questa non soffre remora o barriera sì che le ha tutte superate od infrante;
Finché nessun pretenda – e nessuno osò fino ad oggi, né osa – che dopo di aver inabissato le sacerdotali autocrazie delle origini, gli imperi di diritto divino, che nell’evo medio, le monarchie nobiliari che fino alla Dichiarazione dei Diritti ne tennero il posto; dopo aver minato di acerbe differenze e di rivolte assidue il compromesso obliquo tra la dubbia grazia di dio e la frodata volontà della nazione, costringendo dai cieli in terra, dividendo tra le universalità dei cittadini, diritti e franchigie della sovranità, il progresso abbia trovato le sue colonne d’Ercole, l’ultima Tule nella spargevole oligarchia d’aguzzini e di ladri che ci sta sul collo e dovizia e potenza ed ozii ripaga d’inedia, di pedate, di scherni;
Finché parallela a cotesta evoluzione del principio d’autorità – che trasmigrando dai cieli in terra, dal creatore in ciascuna delle sue creature, investite della facoltà e della capacità, riconosciute di eleggersi i propri governanti, implica in ciascuna di esse la libertà e la capacità di governarsi da sé, e nell’estrema conseguenza la negazione dello Stato – una più profonda evoluzione s’accompagni e si acceleri per cui l’istituto della proprietà dalle sovrane onnipotenze, dalla sanità e dalla inviolabilità quiritarie, dal diritto d’usare, d’abusare di uomini e di cose, si è dovuto soggiogare a riserve, a doveri, a funzioni ogni giorno più varie e più vaste di assistenza di difesa, di guarentigia, di sicurezza sociale, preludendo all’era prossima in cui la terra e la macchina, come l’aria e la luce, saranno patrimonio comune ed indivisibile, strumento ed arma della libertà, della vita, del benessere, della gioia di tutti;
Finché sia ribellione alla tirannide, anelito di giustizia, sogno di fratellanza, spasimo di liberazione; finché sia verità generosa, accessibile, realtà del domani;
In faccia ai castrati che ne inorridiscono, ai farisei che l’abiurano, ai pasciuti che v’imprecano, ai tartufi che se ne rodono, ai poltroni che la tradiscono, ai manigoldi che la perseguitano, ora e sempre:

VIVA L’ANARCHIA!

Finché il sacrosanto diritto al pane alla conoscenza alla libertà alla pace che la la sapienza di dio, la magnanima virtù dei re, la sagacia dei parlamenti non hanno saputo costringere su l’umano destino, permane aspirazione legittima, compito irrecusabile del proletariato internazionale, e l’emancipazione dei lavoratori opera dei lavoratori stessi;
Finché scienza e religione, esperienza e storia grideranno su dall’abisso dei secoli che tra nubulose di fiamma cresimò il pianeta le origini ed i destini, che colla violenza soltanto per le zolle tenaci trova il germe le vie del sole e la gloria delle spighe; che non culmina senza doglie né sangue agli orgogli della vita nuova d’idillio d’amore; che stanno fatali gli uragani sanguinanti del “terrore” fra rinnovamento e restaurazione;
In faccia ai castrati che ne allibiscono, ai farisei che l’abiurano, ai pasciuti che v’imprecano, ai tartufi che se ne rodono, ai poltroni che la tradiscono, a manigoldi che l’inseguono, ora e sempre:

VIVA L’ANARCHIA!

Tratto da Luigi Galleani – Alcuni articoli da Cronaca Sovversiva, Edizioni dell’Archivio Famiglia Berneri, Pistoia, settembre 1984



domenica 19 maggio 2019

La scienza moderna e l’anarchia

Se la scienza è una lotta, l’anarchia ne è il fronte più avanzato, e in questo senso l’originalità dei geografi anarchici è che l’affermazione dei valori solidaristici nella società non avviene a partire da una scissione che la biologia, ma dalla applicazione alla società degli stessi metodi. “L’Anarchia è una concezione dell’Universo, basata sull’interpretazione meccanica dei fenomeni, che abbraccia tutta la natura, non esclusa la vita delle società. Il suo metodo è quello delle scienze naturali; e secondo questo metodo ogni conclusione scientifica dev’essere verificata.” Ma questo implica che cadano i dogmi a causa dei quali una serie di pregiudizi impedisce, per gli scienziati anarchici dell’Ottocento, di considerare la vera natura dell’uomo. Uno di questi pregiudizi è legato alla presunta perversità naturale del genere umano, ispirata all’idea dello stato di natura hobbesiano, ancora affermato ai tempi di Kropotkin da vari scienziati positivisti: “Tutta la filosofia del secolo XIX continuò a considerare i popoli primitivi come branchi di bestie feroci, che vivevano in piccole famiglie isolate e si battevano contendendosi il cibo e le femmine.” Secondo Kropotkin, questo pregiudizio non è altro che un retaggio delle idee di peccato originale o colpa originaria propagandate dalle diverse chiese, mentre lo studio delle società primitive, da parte dei geografi anarchici, dimostra che contrariamente quanto insito nella nostra educazione religiosa e giuridica, l’uomo lasciato a se stesso non diventa affatto una bestia feroce pronta a sbranare i suoi simili, ma tenta di sviluppare strategie di adattamento alla sua situazione anche e soprattutto tramite la cooperazione coi medesimi.

giovedì 16 maggio 2019

Descolarizzare la nostra visione del mondo


All’inizio del secolo XVII cominciò ad affermarsi un nuovo consenso, intorno all’idea che l’uomo nascesse inidoneo alla società e tale rimanesse se non gli si forniva una “educazione”. L’educazione venne così a indicare l’opposto dell’attitudine vitale. L’educazione si identificò con una merce, immateriale che andava prodotta a beneficio di tutti, e a tutti dispensata nella stessa maniera. La giustificazione al cospetto della società divenne la prima esigenza dell’uomo, che viene al mondo in una condizione di stupidità analoga al peccato originale.
L’interesse ad educare la propria prole è antico ma si è dovuto attendere l’età moderna per vedere un sistema razionale di repressione, controllo e ridimensione del Sapere. L’idea di fondo della scolarizzazione istituzionale è che gli uomini non nascono uguali, ma lo diventano grazie ad un periodo di gestazione nel ventre della scuola, che guida a staccarsi dal proprio ambiente naturale, per approdare nella società civile come idonei cittadini-consumatori.
La scuola-istituzione, oltre a trasformare il sapere in merce e le attività umane in prestazioni professionali, è riuscita a legittimare la gerarchia del privilegio e del potere – nel medioevo affidata al favore del re o del papa – attraverso l’istituto liberale dell’istruzione obbligatoria che autorizza colui che è ben scolarizzato a considerare colpevole chi resta indietro nel consumo di sapere, in quanto dispone di un titolo inferiore.
Si è compiuto il paradosso del servo che non riesce più a vivere senza l’obbedienza al padrone e, con una adeguata colonizzazione dell’immaginario fornita dai media, nemmeno più immaginarsi senza catene. Né l’alchimia né la magia sono in grado di risolvere il problema dell’attuale crisi, che non sta nell’Aula bensì nell’Istruzione-Istituzione.
Occorre descolarizzare la nostra visione del mondo, e per arrivare a questo dobbiamo riconoscere il carattere illegittimo e religioso dell’impresa scolastica in se stessa. La sua hubris sta nel proposito di fare dell’uomo un essere sociale sottoponendolo a un trattamento entro un processo predeterminato.

giovedì 9 maggio 2019

Contro l’organizzazione

Non possiamo concepire che da anarchici si stabiliscano a dogmi fissi i punti da seguire sistematicamente. Perché, anche ammessa tra più compagni e più gruppi un’uniformità di vedute sulle linee generali della tattica da seguire, questa tattica si esplicherà in cento diverse forme di applicazione; con mille particolari differenti
Noi non vogliamo quindi programmi di tattica, e per conseguenza non vogliamo organizzazione. Stabilito il fine, la meta cui tendiamo, lasciamo libera ad ogni anarchico la scelta dei mezzi che il suo criterio, la sua educazione, il suo temperamento, il suo spirito di combattività gli suggeriscono come migliori. Non formiamo programmi fissi e non formiamo piccoli o grandi partiti. Ma ci aggruppiamo spontaneamente, e non con criteri permanenti, secondo le affinità momentanee per un dato scopo, e costantemente trasformiamo questi gruppi a seconda che cessa lo scopo per il quale ci eravamo associati, e altri scopi e altri bisogni sorgono e si sviluppano in noi e ci spingono alla ricerca di nuovi cooperatori, di gente che pensi identicamente in quella determinata circostanza.
Quando qualcuno di noi non si preoccupa più di creare un fittizio movimento d’individui simpatizzanti e deboli di coscienza, ma un attivo fermento di idee che fanno pensare, magari a colpi di frusta, si sente spesso rispondere dagli amici, che da lunghi anni sono abituati ad un altro metodo di lotta, o che è un individualista, o un puro teorico dell’anarchismo.
È falso che noi siamo individualisti, in quanto si vuol dare a questa parola il significato di elementi isolatori, rifuggenti da ogni associazione nella comunità sociale, e ammettenti che l’individuo possa bastare a se stesso. Ma sostenendo noi lo sviluppo delle libere iniziative dell’individuo, qual è quell'anarchico che non vuole peccare di questa specie di individualismo? Se anarchico si chiama colui che aspira all'emancipazione di ogni autorità morale e materiale, come non può egli convenire che l’affermazione della propria individualità, libera da ogni vincolo e influenza esterna autoritaria, sia pure benevola, sia l’indice più sicuro della coscienza anarchica? Né siamo dei puri teorici perché crediamo nell'efficacia dell’idea, più che in quella degli individui. Da che cosa sono determinate le azioni, se non dal pensiero? Ora, produrre e suscitare un movimento d’idee è, per noi, il mezzo più efficace per determinare il flusso di azioni anarchiche, sia nella lotta pratica, sia nella lotta per la realizzazione dell’ideale.
Noi non ci mettiamo di fronte agli organizzatori. Continuino essi, se a loro piace, nella loro tattica. Se, come io penso, essi non faranno un gran bene, non faranno del resto un gran male. Ma essi hanno torto, mi sembra, di gettare il loro grido di allarme e di metterci all'indice, o come selvaggi, o come sognatori teorici.

Giuseppe Ciancabilla [Roma 1872 – San Francisco 1904]

giovedì 2 maggio 2019

Ed è stato primo maggio NoTav


La CGIL «Il primo maggio è la festa del lavoro e non va assolutamente strumentalizzata»
Il Tav non c’entra con il 1 maggio?
La CGIL «Siamo certi che la polizia e i carabinieri garantiranno a tutti di manifestare serenamente»
Il PD Torinese: «Si profila un corteo in cui l’attenzione sarà monopolizzata da un tema divisivo come la Tav, relegando sullo sfondo i temi più generali del lavoro e della politica».
Il PD «Il Primo maggio deve essere quello per cui è nato: una manifestazione nazionale, pubblica, aperta a tutti, indipendentemente da quello che si pensa sul Tav, per rappresentare la centralità del lavoro nella nostra democrazia, un principio della Costituzione spesso trascurato»
Queste sono le reazioni “a sinistra” all’annuncio della partecipazione del Movimento No Tav alla manifestazione del 1 maggio. Lesa maestà da un lato e paura isterica dall’altro.
Entrambi ci hanno fatto sapere di come il primo maggio doveva essere la festa del lavoro e che la manifestazione cittadina poteva parlare un solo linguaggio: quello ingessato dalle organizzazioni sindacali.
Invece siamo stati lo spezzone più grande e vitale di un corteo sindacale ormai diventato vetrina per ogni personaggio in cerca di popolarità.
Ci avevano detto che sarebbe stata una piazza aperta a chi voleva manifestare le proprie idee, come noi, pacificamente, e invece mentre il corteo ospitava Madamine e Giachino, lo spezzone NoTav veniva fermato dalle forze dell’ordine.
Un qualcosa di inaccettabile in una giornata come quella del primo maggio, un atto dichiaratamente di parte per escludere chi, come noi risulta scomodo al coro unico del “Tav porta lavoro”.
Fin da subito, da piazza Vittorio, ci siamo dovuti conquistare lo spazio per manifestare, non facendoci chiudere dai cordoni delle forze dell’ordine, superandole come avviene tra i sentieri.
Tanta, tanta la gente che si è unita a noi nel prenderci via Po alle calcagna del Pd, protetto da un servizio d’ordine a pagamento che difendeva dai fischi, Ferrentino e Esposito.
È veramente svilente parlare di queste cose rispetto ad una grande giornata di lotta che ha portato in piazza tanti e tante NoTav , ma tant’è: i sindacati confederali oltre a fare da cassa di risonanza alle menzogne sitav di questi mesi, si sono presi la responsabilità di tentare di escluderci dal corteo.
In via Roma, a pochi passi dall’arrivo in Piazza San Carlo, luogo del comizio finale, la polizia ha spezzato il corteo e caricato i NoTav, semplicemente per non farci arrivare mentre ancora parlavano i sindacati dal palco. Insomma per evitare qualche fischio non hanno esitato a picchiare giovani ed anziani provocando almeno una decina di feriti.
Le menzogne vanno ben protette, lo sappiamo bene, ma così è veramente troppo!
Siamo felici della scelta che abbiamo fatto, e siamo ancora più consapevoli di chi sono i nostri avversari. Avremmo preferito parlare d’altro nella cronaca di una giornata che merita rispetto per la sua storia ma purtroppo così è.
Vogliamo dare un abbraccio ai nostri feriti e ripartiamo ancora più consapevoli e forti di prima, nell’essere quel movimento che resiste da trent’anni e che resisterà tutto il tempo necessario per fermare definitivamente quest’opera inutile e imposta, come la giornata di ieri dimostra.
Opera inutile e imposta, come la giornata di ieri dimostra.