..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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sabato 31 ottobre 2015

Non morirà il fiore della parola (No morirá la flor de la palabra)

Non morirà il fiore della parola.
Potrà morire il viso nascosto di chi oggi la dice, ma la parola che è venuta dal profondo della storia e della terra non potrà essere strappata via dal potere e dalla sua superbia.
Dalla notte noi siamo nati. In essa viviamo, in essa moriremo. Ma domani, per gli altri, vi sarà la luce, per tutti coloro che, oggi, piangono la notte.
Per coloro cui viene negato il giorno. Per coloro cui la morte è un regalo. Per coloro cui la vita è proibita. Per tutti la luce. Per tutti tutto. Per noi l’allegra ribellione. Per noi, niente.
La nostra lotta è per la vita, ed il malgoverno offre morte come futuro. La nostra lotta è per la giustizia, e il malgoverno si riempie di criminali ed assassini. La nostra lotta è per la storia, e il malgoverno propone dimenticanza. La nostra lotta è per la pace, e il malgoverno annuncia morte e distruzione.
Qui stiamo. Siamo la dignità ribelle. Il cuore dimenticato della patria.

No morirá la flor de la palabra.
Podrá morir el rostro oculto de quien la nombra hoy,
pero la palabra que vino desde el fondo de la istoria y de la tierra ya no podrá ser arrancada por la soberbia del poder.
Nosotros nacimos de la noche. En ella vivimos. Moriremos en ella. Pero la luz será mañana para los demás, para todos aquellos que hoy lloran la noche.
Para quienes se niega el día. Para quienes es regalo la muerte. Para quienes está prohibida la vida. Para todos la luz. Para todos todo. Para nosotros la alegre rebeldía. Para nosotros nada.
Nuestra lucha es por la vida y el mal gobierno oferta muerte como futuro. Nuestra lucha es por la justicia y el mal gobierno se llena de criminales y asesinos. Nuestra lucha es por la historia y el mal gobierno propone olvido. Nuestra lucha es por la paz y el mal gobierno anuncia muerte y destrucción.
Aquí estamos. Somos la dignidad rebelde. El corazón olvidado de la patria.


Subcomandante Marcos

mercoledì 28 ottobre 2015

Il prato rivoluzionario

“Quando incoraggiamo la gente a coltivare parte del proprio cibo la stiamo incoraggiando a prendere il potere nelle proprie mani. Potere sulla propria dieta, potere sulla propria salute e potere sul proprio portafogli. Penso che questo sia veramente sovversivo perché stiamo dicendo di sottrarre quel potere a qualcun altro, ad altri soggetti sociali che attualmente hanno potere su cibo e salute.”
(Roger Doiron)

Non c'è niente di particolarmente radicale o rivoluzionario in un prato. Ma comincia a diventare interessante quando lo trasformiamo in un orto. Potremmo dire che l'orticoltura è un'attività sovversiva. Pensare al cibo come a una forma di energia. È ciò che ci alimenta e allo stesso tempo una forma di potere. E quando incoraggiamo la gente a coltivare parte del proprio cibo la stiamo incoraggiando a prendere il potere nelle proprie mani. Potere sulla propria dieta, potere sulla propria salute e un po' di potere sul proprio portafogli. Pensiamo che questo sia veramente sovversivo perché stiamo anche, necessariamente, dicendo di sottrarre quel potere a qualcun altro, ad altri soggetti sociali che attualmente hanno potere su cibo e salute. Pensate a quali possano essere questi soggetti. E guardate anche all'orticoltura come a una sorta di salutare droga di passaggio, potremmo dire, ad altre forme di libertà alimentare. Poco dopo aver iniziato a coltivare gli ortaggi, dici: "Hey, ora ho bisogno di imparare come cucinarli ... poi potrei voler imparare a conservare gli alimenti o a cercare il mercato contadino locale nella mia città".
Ancora una cosa di cui abbiamo bisogno è di non perdere il lato conviviale del cibo. Il cibo è al meglio quando è delizioso. Gli orti possono contribuire a riportare un po' di quella vibrazione di una comunità.
Coltivare un orto sovversivo, è così sovversivo infatti che ha il potenziale per modificare radicalmente l'equilibrio di potere non solo nel nostro paese ma in tutto il mondo.

domenica 25 ottobre 2015

L'anarchismo e la nostra epoca

L'anarchismo – sia che lo si intenda in senso stretto usando il termine che compare nei dizionari politici, sia che coincida col termine che viene usato dai nostri oratori propagandisti durante le conferenze – non è solamente una teoria che tratta dell'aspetto sociale della vita umana: l'anarchismo è anche lo studio della vita umana in generale.
Nel corso dell'elaborazione della sua concezione globale del mondo, l'anarchismo si è dato un compito ben preciso: quello di racchiudere il mondo intero, spazzando via ogni sorta di ostacolo attuale e futuro che la scienza e la tecnologia borghesi e capitaliste possano porre, allo scopo di dare all'umanità la più esauriente spiegazione sulla realtà di questo mondo e di affrontare nel modo migliore i problemi che possano sorgere: tale approccio dovrebbe aiutare l'umanità ad acquisire la coscienza dell'anarchismo che gli è propria per natura – almeno così suppongo – al punto che se ne incontrano continuamente delle manifestazioni parziali.
È solo a partire dalla volontà individuale che l'insegnamento anarchico può incarnarsi nella vita reale e liberare quella via che aiuterà l'umanità a sbarazzarsi di ogni spirito di sottomissione che alberghi dentro di sé.
L'anarchismo non conosce limiti al suo sviluppo.
L'anarchismo non conosce sponde entro cui confinarsi e fissarsi.
L'anarchismo, proprio come la vita umana, non possiede formule definitive per le sue aspirazioni ed obiettivi.
Il diritto di ogni persona alla libertà senza limiti, così come è definita dai postulati teorici dell'anarchismo, non può, a mio avviso, che essere un mezzo con il quale l'anarchismo può raggiungere la sua più o meno completa realizzazione, senza cessare mai, peraltro, di svilupparsi. Solo così l'anarchismo diventa comprensibile per ognuno di noi: avendo eliminato dall'umanità quello spirito di sottomissione che gli è stato artificialmente imposto, l'anarchismo diventa in seguito l'idea direttrice delle masse umane in marcia verso la conquista di tutte le loro finalità.
Nella nostra epoca, l'anarchismo è ancora considerato teoricamente debole, poco sviluppato e anche – così alcuni affermano – spesso interpretato erroneamente in molti aspetti. Eppure i suoi esponenti – dicono – ne parlano costantemente, vi militano attivamente e talvolta si lamentano che esso non riesca ad affermarsi (immagino, in quest'ultimo caso, che tale atteggiamento sia provocato dall'incapacità di elaborare, magari a partire da un ufficio studi, i mezzi sociali indispensabili perché l'anarchismo abbia una presa sulla società dei nostri tempi...).
Invece, l'anarchismo vive ovunque si trovi la vita umana. D'altronde, diventa accessibile all'individuo solo laddove esistono i propagandisti ed i militanti che hanno rotto, sinceramente e interamente, con la psicologia di sottomissione della nostra epoca, cosa, peraltro, che attira sulle loro teste la persecuzione più feroce. Questi militanti aspirano a servire le loro convinzioni senza egoismi, senza paura di scoprire degli aspetti inattesi nel loro processo di sviluppo, per meglio assimilarli progressivamente, se così serve; in tal modo lavorano per il trionfo dello spirito anarchico sullo spirito della sottomissione.
Da qui seguono due tesi:
•  la prima è che l'anarchismo conosce espressioni e forme diverse, pur mantenendo una perfetta integrità nella sua essenza;
•  la seconda è che l'anarchismo è rivoluzionario di natura e può adottare soltanto metodi rivoluzionari di azione nella lotta contro i suoi oppressori.
Nel corso della sua lotta rivoluzionaria, l'anarchismo non solo rovescia i governi e sopprime le loro leggi, ma attacca anche la stessa società da cui sono nate, i loro valori, i loro "costumi" e la loro "moralità", e questo lo rende sempre più comprensibile e digeribile alla parte oppressa dell'umanità.
Tutto ciò ci porta a credere fermamente che l'anarchismo nella nostra epoca non può più rimanere rinchiuso tra i limiti stretti di un pensiero marginale, rivendicato solamente da pochi gruppuscoli che operano in isolamento. L'influenza naturale dell'anarchismo sulla mentalità delle masse dell'umanità in lotta è più che evidente. Ma perché questa influenza venga assimilata dalle masse in modo cosciente, l'anarchismo deve, d'ora in poi, dotarsi di nuovi approcci e imboccare la via delle pratiche sociali ora, nella nostra epoca.

Delo Truda, n°4, settembre 1925, pp.7-8.

mercoledì 21 ottobre 2015

Dal Chiapas a Istanbul

A tutti i cittadini del mondo, fratelli, sorelle, donne, uomini, persone senza fissa dimora, persone povere:
ci hanno chiesto quanti sono gli zapatisti, e abbiamo sempre detto loro che sono centinaia di migliaia di persone là fuori che lottano per i loro diritti e le libertà.
Ora, oggi, sentiamo che sulle terre anatoliche, la terra dei turchi, curdi, circassi, armeni, laz, e molti di più di quanto io possa contare, ci sono migliaia di persone in maschera che vogliono vivere con onore per salvare la libertà.
Come i fratelli curdi, compagni che hanno combattuto una lotta onorevole.
Sapevamo che non eravamo isolati, eravamo milioni di noi là fuori e oggi non siamo soli da quando abbiamo iniziato a combattere. Oggi ci stiamo moltiplicando.
Sentiamo che la gente in Turchia urla “Ya Basta!” e sono in rivolta per difendere la loro dignità contro l’oppressiva sentenza del governo turco.
La grande Istanbul, capitale di grandi maestri nel corso della storia, è oggi la capitale della rivolta, ed è diventata la voce degli oppressi. Vediamo per le strade della grande Istanbul una città di donne, bambini, uomini, omosessuali, curdi, armeni, cristiani e musulmani.
Quelli che sono stati umiliati, oppressi, ignorati per decenni dal loro governo ora dicono “siamo qui.”
Siamo entusiasti!
Non abbiamo mai voluto un nuovo governo, un nuovo governo o un nuovo primo ministro.
Abbiamo solo chiesto rispetto.
Volevamo che il governo rispettasse le nostre richieste di libertà, democrazia e giustizia.
Per questo in Turchia resistono da giorni: ora partendo da quello in carica, e a seguire tutti i governi che saranno al potere, noi vogliamo che tu rispetti le nostre richieste di libertà, democrazia e giustizia!
E se non lo fai, noi, che siamo i proprietari dei diritti e delle libertà, staremo contro di te, ci batteremo per le strade fino a quando non impari a rispettarci.
Non vogliamo troppo, vogliamo solo che siano rispettati i nostri diritti.
Perché sappiamo come vogliamo vivere, sappiamo bene come vogliamo governare e essere governati.
Noi vogliamo governare noi stessi e decidere di noi stessi.
E noi da qui accogliamo i cittadini turchi che si battono per una vita onorevole, e vogliamo dire che il fuoco della rivolta si è riscaldato in Chiapas.
Solidarietà a quelli che hanno salvato la storia del passato e del futuro e che sono indotti a salvarla dal presente.


Subcomandante Marcos

martedì 20 ottobre 2015

Solidarietà tra popoli: Il pane di Dioniso

“Dar da mangiare agli affamati”. Quante volte abbiamo sentito questa frase, ma quante volte a quelle parole hanno poi seguito i fatti? Non è domanda da poco. La riflessione che proponiamo prende avvio da alcune notizie diffuse nel mondo riguardanti un comune panettiere di Kos, in Grecia. Si chiama Dyonisis Arvanitakis, e di lui ha avuto la faccia tosta di parlare anche il presidente della Commissione Europea  Juncker: «Europa è quel panettiere di Kos che tutti i giorni va al porto per dare da mangiare alle anime affamate e stanche».
Perchè – laddove sono assenti interventi istituzionali – questo è quello che fa Dyonisis: ogni giorno va al porto, dove sa di trovare i rifugiati che, dai barconi, approdano stremati sulle coste di Kos. Apre le porte del suo furgoncino e distribuisce a tutti le sue pagnotte, cento chili al giorno, per aiutare i profughi a sconfiggere la fame.
A chi gli chiede la ragione di un comportamento simile, Dyonisis risponde dicendo che lui sa bene come ci si sente a essere «dall’altra parte». Anche lui è stato un migrante, nel 1957 aveva lasciato il Peloponneso per sfuggire alla povertà e a quindici anni, dopo un viaggio di quaranta giorni, è approdato in Australia. «Quando sono arrivato non sono riuscito a trovare un lavoro perché non parlavo inglese – ricorda – e in quei mesi ho capito cosa fosse la fame. Chi non l’ha mai patita non può capire cosa provano quelle persone. Io sono stato come loro».
E ancora: «Quando ero un ragazzo, nel Peloponneso si pativa la fame e oggi è lo stesso, per questo scappavamo. Vivere per strada, non avere da mangiare, non conoscere la lingua sono cose che non si scordano facilmente». E di sé dice così: «Io mi limito ad aiutare, nient’altro».
Ricordiamo dunque Dyonisis, insieme a tutta quella moltitudine anonima di donne e di uomini che, giorno dopo giorno, si impegna a coltivare la propria umanità a dispetto delle chiacchiere e delle menzogne elargite dai potenti di turno.

domenica 18 ottobre 2015

Della domesticazione

Nessuno può restare indifferente davanti all'intollerabile sproporzione che esiste tra il numero di quanti comandano e di coloro che ubbidiscono. Allo stesso modo, nessuno può sottovalutare la violenza sempre più devastante delle moderne forme di sopruso e il moltiplicarsi degli inganni della domesticazione sociale, che i primi infliggono ai secondi. Perché non sono più le configurazioni politiche ed economiche dell'impero dei capitali quelle che contano, ma le ragioni segrete che lo hanno inverato, che ora lo proteggono dal doverle rivelare. Ragioni che smentiscono ogni sogno rivoluzionario degli ubbidienti, infangando la loro storia. Quanto ai risultati, è sufficiente riflettere sul crepuscolo della nuda vita e sulla efficacia delle forme di corruzione della società introdotte dall'idealismo nella società spettacolare, un regno che ha fatto del profitto un dio. Ma c'è che ha dedicato altari alla peste. C'è chi denunciò questa sproporzione – questo stato di eccezione della nuda vita - era tanto convinto della grossolana e disonorevole ingiustizia contenuta in essa, che non volle pronunciare nessuna esortazione al popolo affinché si liberasse dal tiranno. Sarebbe stato superfluo, considerati che, perché tutti gli uomini si lascino assoggettare è necessario una delle due: essere costretto o ingannati. Appuntò, piuttosto, la sua attenzione sull'evidenza infamante della condizione di sudditi, una condizione educativa più di qualunque appello alla rivolta recitata dai tribuni di turno, di per sé, uno stimolo potente a riprendersi la libertà adesso, rifiutando qualsiasi consolatoria visione di future e ideali forme di governo. Una esortazione che nella storia europea è progressivamente caduta nel vuoto, almeno da quando l'individuocivilizzato è divenuto una preda dell'insieme delle consuetudini e delle abitudini che determinano la vita corrente.

giovedì 8 ottobre 2015

The Foggy Dew

The Foggy Dew (in italiano "La nebbia del mattino") è una ballata irlandese, di uno dei più noti e dei più suggestivi canti tradizionali che descrive la Sollevazione di Pasqua del 1916 con lo scopo di incoraggiare gli irlandesi a combattere per la causa irlandese, piuttosto che per gli inglesi, come molti giovani stavano facendo durante la I Guerra Mondiale.
È stata scritta da Canon Charles O’Neill, un parroco irlandese: dopo aver assistito alla prima seduta del parlamento irlandese volle dedicare una canzone alla sollevazione di Pasqua, che è considerata uno degli eventi più importanti che portarono all'indipendenza dell'Irlanda. O'Neill scrisse il testo mentre per la musica si limitò ad apportare delle modifiche ad una vecchia canzone d'amore irlandese "Star of the County Down". Racconta la storia di una settimana buia nella storia dell'impero britannico e, in retrospettiva, una settimana gloriosa della storia d'Irlanda.
Lunedì 24 aprile 1916, un pugno di uomini male equipaggiati, riuscì ad affrontare la potenza del più grande impero che il mondo avesse mai visto. Hanno fallito, naturalmente, e il loro fallimento ha provocato la morte di molte persone innocenti e in gran parte del centro di Dublino, ridotta ad un rudere fumante. Eppure dalle braci di Dublino una scintilla è stata accesa che ha portato un popolo a lottare per la libertà.
La canzone è stata interpretata ed incisa, con vari arrangiamenti, praticamente da tutti i più grandi nomi della musica irlandese e di area celtica, da Alan Stivell, di cui ha sempre rappresentato un brano fisso nei concerti fin dagli anni'70, fino all'ultima versione dello storico gruppo dei Chieftains, assieme a Sinead O'Connor, nell'album "The Wide World Over" (2002), passando da Gilles Servat (vedi brano proposto a fine post).
 

The Foggy Dew

As down the glen one Easter morn
to a city fair rode I
There Armed lines of marching men
in squadrons passed me by
No fife did hum nor battle drum
did sound it's dread tatoo
But the Angelus bell
o'er the Liffey swell
rang out through the foggy dew.

Right proudly high over Dublin Town
they hung out the flag of war
'Twas better to die 'neath an Irish sky
than at Sulva or Sud El Bar
And from the plains of Royal Meath
strong men came hurrying through
While Britannia's Huns,
with their long range guns
sailed in through the foggy dew.

'Twas Britannia bade our Wild Geese go
that small nations might be free
But their lonely graves are by Sulva's waves
or the shore of the Great North Sea
Oh, had they died by Pearse's side
or fought with Cathal Brugha
Their names we will keep
where the fenians sleep
'neath the shroud of the foggy dew

But the bravest fell, and the requiem bell
rang mournfully and clear
For those who died that Eastertide
in the springing of the year
And the world did gaze, in deep amaze,
at those fearless men, but few
Who bore the fight
that freedom's light
might shine through the foggy dew.

Ah, back through the glen I rode again
and my heart with grief was sore
For I parted then with valiant men
whom I never shall see more
But to and fro in my dreams I go
and I'd kneel and pray for you,
For slavery fled,
O glorious dead,
When you fell in the foggy dew.
La nebbia del mattino

Una mattina di Pasqua
attraversavo una valle
a cavallo verso una bella città,
mi passarono davanti marciando
file di uomini armati.
La zampogna non suonò il tamburello non rullò.
Si sentì solo la campana dell'Angelus
suonare e di lontano lo scorrere
del fiume nella nebbia di quel mattino.

Innalzarono fieramente la bandiera
della battaglia sopra Dublino.
Sarebbe stato meglio morire sotto il cielo irlandese
piuttosto che combattere con inglesi a Sulva o a Sud el Bar.
Dalle pianure di Royal Meath
arrivarono correndo altri uomini forti
mentre con i cannoni arrivarono gli inglesi invasori
sulle loro navi nella nebbia di quel mattino.

Se la Britannia avesse lasciato fare i nostri ragazzi
quelle piccole nazioni avrebbero potuto essere libere
ma le loro tombe stanno ora presso le onde del Sulva
o sulle rive del gran Mare del Nord
Oh, fossero morti accanto a Pearse
o combattuto con Cathal Brugha!
Ma serberemo i loro nomi
dove dormono i feniani
nel manto della nebbia di quel mattino.

I più coraggiosi caddero
e nel silenzio le campane
suonarono tristemente il requiem per coloro
che morirono in quella Pasqua di primavera.
Il mondo guardò con grande stupore
quei pochi uomini coraggiosi
che sostennero la lotta
perché la luce della libertà
risplendesse nella nebbia di quel mattino.

Tornai in quella valle cavalcando
e il mio cuore pianse di dolore,
perché avevo lasciato uomini valorosi
che non avrei mai più visto.
Ma quando il mio pensiero torna a voi m'inginocchio e prego,
perché la schiavitù è fuggita quando voi,
o morti gloriosi,
siete caduti nella nebbia di quel mattino.




mercoledì 7 ottobre 2015

L’allodola e il combattente per la libertà

Una volta mio nonno mi disse che imprigionare un’allodola era uno dei crimini più crudeli, perché l’allodola è tra i simboli più alti di libertà e felicità. Sovente parlava dello spirito dell’allodola, riferendosi alla storia di un uomo che aveva richiuso uno dei suoi tanto amati amici in una piccola gabbia.
L’allodola, soffrendo per la perdita della sua libertà, non cantava più a squarciagola, né aveva più nulla di cui essere felice. L’uomo che aveva compiuto tale atrocità, così come la definiva mio nonno, esigeva che l’allodola facesse ciò che lui desiderava: cioè cantare più forte che poteva, obbedire alla sua volontà, cambiare la sua natura per soddisfare il suo piacere e vantaggio.
L’allodola si rifiutò. L’uomo allora si arrabbiò e diventò violento. Cominciò a far pressioni sull’allodola affinché cantasse, ma inevitabilmente non ottenne alcun risultato. Così ricorse a mezzi più drastici. Coprì la gabbia con un telo nero, privando l’uccello della luce del sole. Lo fece patire la fame e lo lasciò marcire in una sporca gabbia, eppure lei si rifiutò ancora di obbedirgli. Alla fine l’uomo la uccise.
Come giustamente diceva mio nono, l’allodola possedeva uno spirito: lo spirito di libertà e di resistenza. Desiderava ardentemente essere libera e morì prima di essere costretta ad adeguarsi alla volontà del tiranno che aveva cercato di cambiarla con la tortura e la segregazione. Io sento di avere qualcosa in comune con quell’uccello, con la sua tortura, la sua prigionia e la morte a cui alla fine andrò incontro. Possedeva uno spirito che non si trova facilmente neppure tra di noi, i così detti esseri superiori, gli uomini.
Prendete un comune prigioniero. Il suo obiettivo principale è quello di rendere il suo periodo di detenzione più facile e confortevole possibile. Un comune prigioniero non metterà mai a rischio un solo giorno di condono. Alcuni arriveranno persino ad umiliarsi, a strisciare e a tradire altri detenuti, pur di salvaguardare se stessi o accelerare il proprio rilascio. Costoro obbediranno alla volontà di chi li ha catturati. Diversamente dall’allodola, canteranno ogni qualvolta verrà chiesto loro di farlo e salteranno ogni volta che sarà loro ordinato di muoversi.
Sebbene abbia perduto la sua libertà, un prigioniero comune non è disposto a giungere alle estreme conseguenze per riacquistarla, e neppure per difendere la propria dignità di uomo. Si adegua, in modo tale da garantirsi un rilascio a breve cadenza. Se invece rimane in carcere per un periodo abbastanza lungo, alla fine diviene un prodotto dell’istituzione, una sorta di macchina, non più in grado di pensare con la propria mente, sotto il pieno potere e controllo di chi lo ha incarcerato.
Nella storia che raccontava mio nonno questa era la fine che avrebbe dovuto fare l’allodola. Ma lei non aveva bisogno di cambiare, né intendeva farlo, e morì affermando proprio questo.
Tutto ciò mi riporta direttamente alla mia situazione: sento di avere qualcosa in comune con quel povero uccello. La mia posizione è in totale contrasto con quella di un prigioniero comune che abbia deciso di conformarsi alle regole: io sono un prigioniero politico, un combattente per la libertà. Allo stesso modo dell’allodola anch’io ho combattuto per la libertà, non solo in carcere, dove ora mi trovo a languire, ma anche fuori, dove il mio paese è tenuto prigioniero. Sono stato catturato e incarcerato, ma, come l’allodola, anch’io ho visto cosa c’è al di là delle sbarre della mia gabbia.
Ora mi trovo al Blocco H, dove mi rifiuto di cambiare per adeguarmi a loro che mi opprimono, mi torturano, mi tengono prigioniero e vogliono disumanizzarmi. Al pari dell’allodola non ho alcun bisogno di cambiare. È la mia ideologia politica e i miei principi che i miei carcerieri vogliono mutare. Hanno distrutto il mio corpo e attentato alla mia dignità. Se fossi un prigioniero comune mi presterebbero pochissima, o addirittura nessuna attenzione, ben sapendo che mi conformerei ai loro capricci istituzionali.
Ho perso oltre due anni di condono. Non me ne importa nulla. Sono stato privato dei miei vestiti e rinchiuso in una cella fetida e vuota, dove mi hanno fatto patire la fame, picchiato e torturato. Come l’allodola, anch’io ho paura che alla fine possano uccidermi. Ma, oso dirlo, allo stesso modo della mia piccola amica possiedo lo spirito di libertà, che non può essere soppresso neppure con il più orrendo dei maltrattamenti. Certamente posso essere ucciso, ma, fintantoché rimango vivo, resto quel che sono, un prigioniero politico di guerra, e nessuno può cambiare questo.
Non abbiamo forse molte allodole in grado di dimostrarlo? La nostra storia ne è costellata in maniera straziante: i MacSweeny, i Gaughan, gli Stagg. Ce ne saranno altri nei Blocchi H?
Non posso concludere senza terminare questa storia che raccontava mio nonno. Una volta gli chiesi che cosa era accaduto all’uomo malvagio che aveva imprigionato, torturato e ucciso l’allodola. “Figliolo”, disse, “un giorno cadde lui stesso in una delle sue trappole, e nessuno gli prestò aiuto per liberarsi. La sua stessa gente lo derise e gli voltò le spalle. Egli divenne sempre più debole e alla fine stramazzò al suolo, per morire sulla terra che aveva fatto marcire con così tanto sangue. Arrivarono gli uccelli e si presero la loro vendetta cavandogli gli occhi, e le allodole cantarono come non avevano mai cantato prima”. “Nonno”, gli chiesi, “il nome di quell’uomo non era forse John Bull [Il governo inglese]?”

Marcella
Alias Bobby Sands
Blocco H – Long Kesh


Dedico questo post a tre allodole: Maria Soledad Rosas (Sole), Edoardo Massari (Baleno) e Silvano Pelissero, tre squatters anarchici che a partire dal marzo del 1998 furono vittime di un vero e proprio complotto giudiziario e istituzionale. Accusati ingiustamente di aver compiuto azioni ecoterroristiche nel torinese, subirono una terribile gogna mediatica che portò al suicidio di Baleno (28 marzo) e Soledad (11 luglio). Il processo conseguente porterà alla condanna di Silvano Pelissero, ma solo per reati minori e non certo per associazione terroristica.

sabato 3 ottobre 2015

Gli inventori della nostra vita

La chiave di svolta è in ciascuno. Non ci sono istruzioni per l’uso. Quando avrete scelto di non riferirvi che a voi stessi, riderete al riferimento a un nome – il nostro, il vostro – a un giudizio, a una categoria, cesserete di imparentarvi a quella gente a cui il rimpianto astioso per non aver partecipato a un movimento della storia impedisce ancora di inventarsi una vita per se stessi.
Dipende solo da noi diventare gli inventori della nostra vita. Quanta energia gettata in questa vera fatica che è vivere in virtù degli altri, quando sarebbe sufficiente applicarla, per amore di sé, al compimento dell’essere incompiuto, del bambino chiuso dentro di noi.
A forza di snaturare ciò che pareva ancora naturale, la storia della merce tocca il punto dove bisogna deperire con essa, o ricreare una natura, una umanità totali. Sotto l’inversione dove il morto mangia il vivo, il soprassalto dell’autenticità abbozza una società dove il piacere va da se.
Il nostro godimento implica così la fine del lavoro, della costrizione, dello scambio, dell’intellettualità, del senso di colpa, della volontà di potenza. Non vediamo alcuna giustificazione se non economica alla sofferenza, alla separazione, agli imperativi, ai rimproveri, al potere. Nella nostra lotta per l’autonomia, c’è la lotta dei proletari contro la loro proletarizzazione crescente, la lotta degli individui contro la dittatura onnipresente della merce. L’irruzione della vita ha aperto la breccia nella vostra civilizzazione di morte.