Il 18 dicembre del 1922 inizia quella che viene ricordata
come ‘La strage di Torino': nelle giornate tra il 18 ed il 20, le squadre fasciste
aggrediscono diversi militanti delle organizzazioni popolari, uccidendo 11 antifascisti
e causando decine di feriti.
A partire dalla marcia su Roma di un paio di mesi prima,
a Torino la violenza squadrista si era già manifestata più volte con particolare
ferocia.
Ad essere colpiti nelle tre giornate di dicembre sono
operai, sindacalisti, militanti comunisti.
Tutto ha inizio la sera del 17, quando l’operaio e militante
comunista Francesco Prato subisce un agguato da parte di un gruppo di tre fascisti
che gli sparano ad una gamba; Prato si difende prontamente e uccide due degli squadristi,
mentre il terzo riesce a mettersi in fuga.
La rappresaglia fascista non tarda a farsi sentire: la
mattina del 18 dicembre una cinquantina di camicie nere, capitanate dal federale
Pietro Brandimarte, fa irruzione all’interno della Camera di Lavoro di Torino, dove
il deputato socialista Vincenzo Pagella, il ferroviere Arturo Cozza e il segretario
della Federazione dei metalmeccanici, Pietro Ferrero, vengono picchiati dagli squadristi
e poi lasciati andare.
Di qui ha inizio una serie di incursioni (sia nelle strade
che nelle abitazioni) a danno di diversi personaggi ‘scomodi’. Ora i fascisti attaccano
con il chiaro intento di uccidere, forti della garanzia di non intervento che le
autorità cittadine hanno deciso di adottare in un vertice in Prefettura che si conclude
poche ore prima dell’inizio degli eccidi.
Il primo ad essere colpito è Carlo Berruti, segretario
del Sindacato ferrovieri e consigliere comunale comunista, che viene caricato in
una macchina e portato in aperta campagna, dove viene fatto incamminare lungo un
sentiero per essere poi colpito alla schiena da diversi proiettili.
Nel primo pomeriggio un gruppo di squadristi fa irruzione
in un’osteria di via Nizza, perquisendo ed identificando tutti i presenti: Ernesto
Ventura, trovato in possesso della tessera del partito Socialista, viene colpito
con una revolverata, mentre il gestore del locale, Leone Mazzola, dopo aver tentato
di opporsi all’attacco dei fascisti, viene colpito a coltellate e poi freddato da
un colpo di pistola. Nel frattempo l’operaio Giovanni Massaro scappa dal locale
ma viene rincorso fin dentro la sua abitazione e ucciso.
In serata è il turno di Matteo Chiolero, fattorino e
comunista, che, rientrato a casa propria dopo il lavoro, sente bussare alla porta,
apre e viene freddato senza una parola da tre colpi alla testa, sotto gli occhi
terrorizzati della moglie e della figlia di due anni.
Il comunista Andrea Chiomo viene prelevato poco dopo
da sette fascisti, trascinato in strada e massacrato di botte; con le ultime energie
rimastegli riesce a scappare per pochi metri ma viene raggiunto da una fucilata
alla schiena.
Pietro Ferrero, già vittima della violenza fascista consumatasi
durante la mattinata, aveva deciso di lasciare la città la mattina successiva, ma
viene scoperto mentre passa di fronte alla Camera del Lavoro, assediata ormai da
ore dalle camicie nere, che lo portano in una stanza dell’edificio adibita a prigione
e lo picchiano selvaggiamente. Verso mezzanotte il corpo di Ferrero, incapace di
muoversi ma ancora vivo, viene legato ad un camion e trascinato sull’asfalto per
diversi metri per essere poi abbandonato in mezzo alla strada.
Le ultime due vittime di quella giornata di terribile
violenza sono Emilio Andreoni e Matteo Tarizzo.
Il primo, operaio di 24 anni, viene prelevato dalla sua
abitazione e ucciso poco fuori Torino; successivamente gli squadristi tornano a
casa di Andreoni e, con la moglie e il figlio di un anno presenti, la devastano.
Matteo Tarizzo, 34 anni, viene sorpreso nel sonno dall’irruzione
dei fascisti, prelevato e ucciso a bastonate poco lontano da casa sua.
Durante la giornata del 18 dicembre molte altre persone
vengono ferite, anche in modo grave.
I vili attacchi squadristi proseguirono ancora per tutti
e due i giorni successivi.
Fu chiaro da subito che l’omicidio dei due fascisti ad
opera di Francesco Prato era stato solo un pretesto per mettere in atto un piano
preordinato che vedeva la connivenza delle autorità cittadine e delle forze dell’ordine,
che durante diversi attacchi squadristi consumatisi nei tre giorni rimasero impassibili
a guardare.
L’obiettivo era quello di dare un segnale a tutta la
città di Torino, che da subito si distinse per la sua forte resistenza al fascismo.
Lo stesso Brandimarte dichiarerà due anni dopo che l’operazione
era stata «ufficialmente comandata e da me organizzata [...] noi possediamo l'elenco
di oltre tremila nomi sovversivi. Tra questi tremila ne abbiamo scelto 24 e i loro
nomi li abbiamo affidati alle nostre migliori squadre, perché facessero giustizia».
Alle vittime di quei tre giorni è stata intitolata la
piazza XVIII Dicembre su cui si affaccia la stazione ferroviaria di Porta Susa di
Torino.