..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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domenica 9 maggio 2021

150 anni fa … Riflessioni sulla Comune (parte 5)

 Gli uomini e i gruppi politici (1)

 

Parigi si proclamò Commune, Comune, rivendicando quelle libertà municipali di cui aveva goduto intorno al XII secolo. I Comuni medievali, in Francia, non erano stati fiorenti come nella penisola italiana giacché la monarchia francese aveva subito imposto il suo centralismo burocratico, ma questo richiamo al lontano passato fu un modo di affermare il diritto dei parigini all'autogoverno. La Commune (arbitrariamente tradotta in italiano «La Comune» al femminile anziché al maschile, come vorrebbe la nostra lingua) fu un'entità storica piuttosto effimera, ma il suo nome è chiamato adesso ad interpretare la volontà di emancipazione di un proletariato che, a Parigi, si addensò più numeroso che in qualsiasi altra città di Francia e d'Europa. A Parigi arrivarono proletari da tutta Europa: ci furono polacchi, italiani, tedeschi, ungheresi pronti a incrociare il ferro in difesa della Comune, e ciò era dovuto alla credenza, ancora abbastanza diffusa nel 1871, secondo cui era sufficiente l'unione fraterna dei popoli per migliorare le sorti del proletariato che lavorava sedici ore al giorno nelle fabbriche malsane e viveva in condizioni penosissime.

A questa fiducia di molti «internazionalisti», Marx già contrapponeva la dura dialettica che andava svolgendo in seno all'Associazione Internazionale dei Lavoratori, ma era un sentimento romantico avvolto da un’ideologia libertaria a prevalere nell'animo dei volontari accorsi a Parigi da ogni parte d'Europa. Marx, comunque, si era illuso su un punto, aveva creduto che la solidarietà universale del proletariato avrebbe impedito a Bismarck di trasformare in guerra offensiva quella che, agli inizi, si presentava come una legittima difesa della Prussia dalle mire di Napoleone III. I soldati prussiani non si erano limitati a difendere il suolo patrio, ma avevano allegramente invaso il territorio francese per una guerra di. conquista: il virus nazionalista aveva avuto il sopravvento sui proclami dell'Internazionale.

Chi erano i gruppi politici e gli uomini che si preparavano all’insurrezione?

Innanzi tutto bisogna citare una delle più belle figure di operaio internazionalista, fucilato dai versagliesi dopo averlo orrendamente torturato: Eugène Varlin, anarchico d’ispirazione bakuniana che si dedicò completamente alla causa della classe operaia. Aveva amicizie anche tra gl'intellettuali giacobini, era, quindi, l'uomo adatto a stabilire il contatto politico tra questi e gli anarchici.

Appena seppe della proclamazione della repubblica, Varlin, che era a Bruxelles, si recò subito a Parigi e riprese la parte preponderante in seno al Consiglio Federale dell'Internazionale. Le sezioni parigine dell'Internazionale erano molto disorganizzate ed ancora deboli. Varlin capì, però, che non era il momento per cercare di riorganizzarle e rafforzarle, perché urgeva mirare dritto allo scopo: rovesciare il governo e preparare la rivoluzione. Un accordo con i giacobini era certo più importante. Non si è a conoscenza dei termini di questo accordo comunque da allora in poi anarchici e giacobini mantennero la loro alleanza sino alla fine della Comune.

Chi erano questi giacobini? “Ci sono giacobini avvocati e dottrinari come il signor Gambetta... vi sono poi giacobini sicuramente rivoluzionari: gli eroi e gli ultimi rappresentanti onesti della fede democratica del 1793, capaci di sacrificare la loro unità e la loro autorità tanto amate, alla necessità della rivoluzione... Questi giacobini magnanimi vogliono il trionfo della rivoluzione innanzi tutto. Ma siccome non c’é rivoluzione senza masse popolari, e siccome in queste è oggi sicuramente sviluppato l'istinto socialista, i giacobini non possono più fare altra rivoluzione che non sia economica e sociale; e così giacobini di buonafede, lasciandosi vieppiù trascinare dalla logica del movimento rivoluzionario, finirono per diventare socialisti loro malgrado (Bakunin)”.

Repubblicani radicali, malgrado la loro buona volontà e la loro fede, non ebbero il tempo, nell’incalzare degli avvenimenti, di sopprimere e superare una serie di pregiudizi borghesi contro il socialismo, cosicché la loro azione ne risultò come frenata, inibita, anche se poi vennero trascinati dagli avvenimenti e finirono per avvallare ciò che il popolo credeva opportuno fare. I loro obbiettivi politici erano le libertà democratiche, come la laicità della scuola e la libertà di stampa. La loro base sociale risiedeva nell'intellettualità della piccola borghesia e il loro modello di riferimento era la Repubblica giacobina espressa dalla Grande Rivoluzione, che del resto esercitava ancora un certo fascino anche negli altri gruppi rivoluzionari. Non a caso i blanquisti Humbert, Vermersch e Vuillaume fondarono il quotidiano Le Père Duchêne, richiamandosi all'omonimo giornale di Hébert e il proudhoniano Vermorel pubblicò i discorsi di Danton, di Marat, di Robespierre e di Vergniaud. Figure rilevanti di neo-giacobini furono Louis Charles Delescluze, Charles Ferdinand Gambon, Jules Miot e Félix Pyat.