Giuseppe Ruzza,
nato ad Adria (Rovigo) il 6 maggio 1923, si avvicinò giovanissimo al movimento
anarchico.
Nel 1940
costituisce nella sua città natale, insieme ad altri giovani, ugualmente
insofferenti della situazione in cui erano costretti a vivere, il gruppo
antifascista «Gioventù Italia Libera» che compie svariate scritte sui muri e
diversi volantinaggi clandestini incitanti alla rivolta contro il fascismo e
Mussolini.. “Fra il 1940 e il 1943, ricorda Giuseppe, stampammo a mano migliaia
di volantini che lasciammo nelle strade della città e facemmo numerose scritte
sui muri con legna bruciata (carbonella). Non fummo mai scoperti, nonostante la
caccia spietata che ci fecero”.
Nel settembre
1943, viene arruolato nella RSI, ma rifiuta e sceglie di fare il partigiano in
provincia di Udine. Catturato in data imprecisata e ristretto nel carcere
«Paolotti» di Padova, Giuseppe viene successivamente trasferito
provvisoriamente a Novara, ma con destinazione finale un campo di lavoro in
Germania. Nel giugno 1944, con altri due, riesce a fuggire e, dopo tre giorni di
viaggio, giunge a Borgosesia nel periodo in cui si stava preparando, da parte
partigiana, l’occupazione dell’intera Valsesia
Unitosi alla
Resistenza in Valsesia come partigiano (il suo nome di battaglia era «Ciò
Digo», pseudonimo: Vincenzo Della Valle) prima nella 82° Brigata Garibaldi «Giuseppe
Osella» poi nella 84° Brigata Garibaldi «Strisciante Musati», sempre sotto il
comando di Cino Moscatelli, partecipa alla lotta contro le formazioni
nazifasciste. In particolare nella primavera del 1945 tutte le formazioni
partigiane della Valsesia attaccano contemporaneamente Varallo, Borgosesia,
Romagnano e Fara. Giuseppe è presente a Romagnano di fronte ad un presidio
della X MAS. Il combattimento inizia alle ore 5,00 del 15 marzo e termina alle
18,00 con la resa dei fascisti. È in questo periodo che conosce la sua
compagna, Delfina Stefanuto, che svolgeva il compito di staffetta di
collegamento tra le varie unità partigiane nella zona della Valsesia e in Val
d’Ossola.
Dopo la
Liberazione, nascoste, assieme ad altri compagni, gran parte delle armi
utilizzate nel corso della Resistenza, si stabilisce a Gattinara e prosegue la
sua attività all’interno del movimento anarchico. Nel luglio del 1948,
all’indomani dell’attentato contro Palmiro Togliatti, occupa, assieme ad un
gruppo di anarchici della zona, la fabbrica «Ceramica Pozzi» di Gattinara,
scontrandosi, armi alla mano, con un reparto di carabinieri. Per evitare
l’arresto, fugge in Francia dove vi rimane per circa 40 giorni. Calmatesi le
acque, rientra in Italia, dove lavora come sarto e, parallelamente, svolge una
certa attività di contrabbando nelle zone di frontiera con la Svizzera, subendo
alcune condanne da parte delle autorità giudiziarie. Nel gennaio 1957, è
arrestato in relazione alla rapina alla banca di Villanova Monferrato e, in
seguito, viene condannato ad alcuni anni di reclusione. Uscito di galera,
comincia ad interessarsi ed occuparsi, assieme alla sua compagna Delfina, dei
compagni imprigionati, impegnandosi in un’intensa attività di solidarietà e svolgendo
una vasta azione di controinformazione. Nel marzo del 1969, viene arrestato con
l’accusa di aver organizzato ed istigato un attentato, compiuto da un gruppo di
giovani anarchici, contro la questura di Vercelli. A Gattinara, dà vita,
assieme a Delfina e ad altri compagni, al circolo anarchico Scribante e, in
seguito, al giornale L’Agitatore, che si occupa soprattutto della questione
carceraria. Il 17 settembre 1983, Giuseppe e Delfina vengono arrestati con
l’accusa di «partecipazione a banda armata» e di aver «organizzato una vasta
rete di collegamenti con l’eversione», in particolare con «Prima Linea,
Autonomia Operaia e Azione Rivoluzionaria». Il giornale La Stampa del 21
settembre 1983 affermava che il gruppo di persone che faceva riferimento al Circolo
Scribante di Gattinara «[…] avrebbe tenuto i contatti con gli aderenti di
questi movimenti in carcere (ad esclusione dei pentiti), aiutandoli
materialmente e sostenendoli sul piano morale, fornendo notizie ed informazioni
ai latitanti, cercando di avvicinare altre persone per convertirle alla loro
idea. I carabinieri, che hanno perquisito le loro abitazioni, non hanno trovato
armi, ma solo materiale documentario. Gli inquirenti definiscono l’attività dei
due coniugi una “catena di solidarietà”, con aderenze in altre zone della
penisola. Giuseppe Ruzza (già coinvolto in una vicenda di contrabbando) era
conosciuto anche all’estero per la sua attività a favore del movimento
anarchico. […]». Rimasti in carcere fino al processo, che si tenne a Torino il
24 ottobre 1984, Giuseppe venne assolto «per mancanza di prove», mentre Delfina
fu condannata a tre anni e sei mesi di detenzione, con la concessione degli
arresti domiciliari. Giuseppe Ruzza e Delfina Stefanuto hanno instancabilmente
proseguito la propria attività all’interno del movimento anarchico fino alla
fine della loro vita. Delfina si è spenta a Gattinara il 15 aprile 2002, mentre
Giuseppe ci ha lasciati il 2 gennaio 2003.
Vi rimandiamo sul nostra canale YouTube per vedere una vecchia intervista fatta al compagno Giuseppe Ruzza che potete vedere cliccando sulla sua immagine, oppure su: https://youtu.be/BAMgSWGl5eo