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domenica 11 aprile 2021

150 anni fa … L’opera della Comune (parte 4)

 Sull'istruzione e la cultura

 

Fin da marzo era stata avanzata la questione dell'istruzione. La «Società per una nuova educazione» aveva richiesto alla Comune la separazione della scuola dalla Chiesa (nessuna istruzione religiosa e nessun oggetto di culto negli edifici scolastici) e l'istruzione obbligatoria, gratuita e impostata su basi scientifiche. La Comune si era dichiarata d'accordo e dal 21 aprile la Commissione istruzione si occupò del problema.

Il 19 maggio fu emanato il decreto sulla laicità della scuola. Nel suo manifesto del 18 maggio il commissario Édouard Vaillant aveva scritto che «il carattere essenzialmente socialista della rivoluzione comunale doveva poggiare su una riforma dell'insegnamento che garantisca a ciascuno la vera base dell'eguaglianza sociale, ossia l'istruzione integrale alla quale ogni cittadino ha diritto». Il 21 maggio furono raddoppiati gli stipendi dei maestri e a questi furono parificate le retribuzioni delle maestre.

Furono istituiti due nuovi istituti professionali, di cui uno femminile in rue Dupuytren. Alcuni municipi di rione avevano già anticipato il decreto del Consiglio. Il 3° arrondissement istituì un asilo per 94 bambini, laicizzò tre scuole dirette da congregazioni religiose e, per realizzare in parte il principio della gratuità dell'istruzione, fornì gratuitamente i materiali scolastici. Il 5° arrondissement rese laica la scuola elementare di rue Rollin, il 13° arrondissement quella del faubourg Saint-Martin.

Parigi era da decenni all'avanguardia, in Europa e perciò nel mondo, in campo artistico. Furono i pre-impressionisti della Scuola di Barbizon, poi gli impressionisti come Manet e i realisti come Courbet che s'incaricarono di regolare definitivamente i conti con la vecchia pittura accademica e retorica cara al Regime, che infatti non accettava le loro opere nelle esposizioni ufficiali dei Salon.

Il 25 marzo 1871 la Comune decise di riaprire i musei, rimasti chiusi durante l'assedio, incaricandone il pittore Gustave Courbet, eletto in un'assemblea presidente della Federazione degli artisti di Parigi. La Comune s'impegnò a favorire la libera espansione dell'arte, senza porre tutele, e a garantirne l'insegnamento.

Il nome di Courbet è rimasto legato all'episodio dell'abbattimento della colonna Vendôme. Di questa colonna, imitazione della colonna Traiana, fatta erigere da Napoleone I nel 1810 a celebrazione di se stesso e della Grande Armée, si era già chiesto da molti l'abbattimento fin dal settembre del 1870, alla caduta dell'Impero e alla conseguente proclamazione della Repubblica e Courbet era solo uno dei tanti che la considerava un odioso simbolo di un passato deprecato e da cancellare, in quanto “un monumento di barbarie, un simbolo di forza bruta e di falsa gloria, un'affermazione del militarismo, una negazione del diritto internazionale, un insulto permanente dei vincitori ai vinti, un attentato perpetuo a uno dei tre grandi principi della Repubblica francese, la Fraternità”. Nel Journal Officiel della Comune di Parigi aveva scritto: “Considerato che la colonna Vendôme è un monumento privo di qualsiasi valore artistico e tendente a perpetuare attraverso la sua espressione le idee di guerra e di conquista esistenti nella dinastia imperiale, riprovate dal sentimento di una nazione repubblicana, [il cittadino Courbet] fa voto che il governo di Difesa nazionale voglia autorizzarlo ad abbattere questa colonna”. Il governo ignorò la proposta, ma quel progetto fu ripreso dalla Comune che lo votò il 12 aprile 1871, mettendolo in esecuzione l'8 maggio. Era prevista la vendita a 4 franchi al chilo del materiale, stimato in 200 tonnellate. Il pomeriggio del 16 maggio, mentre ogni energia sarebbe dovuta essere rivolta a combattere i versagliesi, la Comune mobilitò uomini e mezzi per demolire la famosa colonna; gli argani lavorano dalle tre alle sei del pomeriggio. Fu organizzata una cerimonia festosa che iniziò al suono della Marsigliese, quando la colonna si abbatté al suolo e la statua di Napoleone rotolò lontano, la folla inneggiò alla «fine del militarismo» cantando a squarciagola, intrecciando danze e sturando bottiglie. Aimè, non sapevano che di la a cinque giorni sarebbe iniziata la «Settimana sanguinante». Il governo pseudo-repubblicano, succeduto alla repressione della Comune, rimise in piedi la colonna imperiale addebitando spese e risarcimenti per 330.000 franchi al pittore, già arrestato il 7 giugno, che peraltro morì prima di pagare la prima rata dell'assurda somma addebitatagli.

La Comune si occupò anche della gestione dei teatri. Nella seduta del 19 maggio il Consiglio della Comune si rifece alla legge del 17 germinale dell'anno II della I Repubblica (il 6 marzo 1793) che aveva affidato il controllo dei teatri alla commissione della pubblica istruzione, sottraendolo alle iniziative private degli impresari.

Nel decreto, alla cui base vi è l'idea che il teatro sia un istituto di istruzione collettiva, il Consiglio stabilì che «i teatri sono trasferiti sotto la competenza della delegazione all'insegnamento. Viene soppressa qualunque sovvenzione e monopolio dei teatri. La delegazione è incaricata di far cessare per i teatri il regime dello sfruttamento tramite un direttore e una società, e di sostituirvi al più presto il regime dell'associazione». Il decreto fu pubblicato il 21 maggio, il giorno in cui le truppe di Thiers entravano in Parigi per la battaglia decisiva.