I
parigini avevano preso sul serio la montatura patriottica sciorinata da Naopeone III; l'idea della patria era divenuta per il popolo come
una seconda religione, mentre per la borghesia rappresentava un affare. Il
popolo era pronto a dare per la patria l'unico suo avere, la vita! Ma i
borghesi non vollero dare per la patria né
la vita, né la loro ricchezza! Parole come armistizio, capitolazione, pace … il
popolo, che voleva vincere o morire, non poteva comprenderle! La borghesia
invece volle salvarsi e si salvò, passando sulla mutilazione della Francia e
sul cadavere del popolo massacrato dalle stesse sue armi fratricide a Parigi!
Il popolo di Parigi si accorse ben tardi che i suoi
nemici mortali non erano i prussiani, ma i versagliesi e tutto il suo eroismo,
che disciplinato contro gli eserciti teutonici avrebbe portato la Francia alla
vittoria, si infranse contro le vili falangi dei generali inoperosi e deboli
contro i prussiani, ma tenaci ed energici fino alla più assurda brutalità
contro i parigini in rivolta. Quando il popolo di Parigi si vide tradito dai
dominatori prima dell'Impero, poi della repubblica borghese di Thiers, non ebbe più freni e come un torrente infuriato
inondò, distrusse disperse quanti erano stati causa delle sue sventure, dando
vita così ad uno dei momenti più alti, se non il più alto in assoluto della
storia dell’umanità: la Comune di Parigi del 1871.
Sono passati da allora quasi 150 anni, ebbene, quale
governo ha abolito, come appunto abolì la Comune, il lavoro notturno? Quale concede pensioni
a vedove e orfani di guerra, indipendentemente dal fatto che il caduto fosse
legalmente sposato o no? Dove si
invitano gli operai a tenere corsi ai ragazzi a scuola?
Era il tempo in cui i figli dei poveri già a sei anni
entravano in fabbrica per lavorare fino a 16 ore al giorno: e la Comune stabilì l'istruzione obbligatoria e
gratuita per tutti. Era il tempo di elezioni (quando c'erano) ristrette a
pochi, e la Comune le estese a tutti, dando inoltre al popolo
la facoltà di revoca d'ogni carica elettiva. Era il tempo in cui si pensava che
le donne, eccezion fatta per le puttane di lusso, mogli e amanti dei grandi personaggi,
dovevano nella migliore delle ipotesi restarsene a casa a fare la calza, nella
peggiore macerarsi in fabbrica quanto gli uomini con minor paga perché più
«deboli». Ebbene, un corrispondente del «Times», parlando delle donne della Comune, commentò: «Se tutta la Francia fosse
composta di queste donne, che grande nazione sarebbe». Le troviamo
dappertutto: a scuola, negli ospedali, nei circoli politici, sulle barricate. “Vivere
libere col fucile, o morire combattendo”, era il loro motto. Quante di esse
sono cadute nella difesa della Comune? Il loro numero non è meno elevato di
quello degli uomini. All'ufficiale di Versailles, che sta per spararle perché ha ucciso
dei soldati, una popolana risponde: «Dio mi punisca per non averne ammazzati
di più».
Il decreto sulle officine inattive presentato dal
commissario Avrial il 16 aprile, quello che in seguito della «vile fuga»
di alcuni proprietari di officine erano cessate molte attività necessarie alla
vita della Comune con una grave minaccia alle risorse vitali
degli operai, fu di una importanza inaudita, esso fu un passo effettivo verso
la rivoluzione sociale, per la prima volta nella storia si requisirono le
fabbriche abbandonate e furono affidate a cooperative di lavoratori che ne
poterono curare la gestione, fu un esempio pratico di autogestione.
La Comune condonò alcune rate delle pigioni e prorogò
di tre anni, senza interessi, il pagamento di tutte le cambiali; parecchi
decreti, che andavano dall'apertura di uffici di collocamento comunali alla
stipulazione di contratti collettivi, anticiparono la moderna legislazione del
lavoro ma rimasero, per forza di cose (72 giorni furono pochi per realizzare
tutto), allo stato di virtualità.
La Comune aveva abolito per prima cosa gli alti
onorari, molti operai si seppero improvvisare impiegati e ricoprirono il nuovo
incarico con grande zelo e competenza. Un operaio cesellatore in bronzo, Albert Frédéric Theisz, il 26 marzo, alla nascita della Comune, fu eletto al Consiglio della Comune e fece parte della
Commissione Lavoro e Scambio, il 5 aprile divenne direttore delle poste, trovò un
servizio quasi inesistente, disorganizzato, con i valori rubati. Riunì tutti i
dipendenti rimasti, li arringò, e li convinse a passare alla Comune; in breve la levata delle lettere e la
consegna fu ristabilita in tutta la città, si arrivò anche a far partire la
corrispondenza per la provincia a mezzo di agenti abili e coraggiosi;
nonostante ciò non esitò a ritornare a combattere con ardore sulle barricate
durante la Settimana sanguinante. Sfuggì alla repressione
versagliese rifugiandosi a Londra, dove lavorò come operaio e fece parte del
Consiglio generale dell’Internazionale. Tornò a Parigi grazie all’amnistia del 1880, dove morì il 10 gennaio 1881. È
sepolto al cimitero di Père Lachaise.
Lo steso avvenne alla zecca dove Zéphirin Rémy Camélinat, un operaio anarchico
montatore in bronzo, cesellatore nelle decorazioni dell’Operà e amico di Proudhon, aderente alla Guardia Nazionale durante l’assedio di Parigi, il 3 aprile fu nominato direttore della Zecca e per
mandare avanti la baracca fece coniare nuove monete da 5 franchi con l’argento
dell’argenteria che si requisì. Anche lui si ributtò anima e cuore sulle barricate
durante la Settimana sanguinante ed evitò la repressione
versagliese rifugiandosi in Inghilterra, mentre la corte marziale lo condannava
alla deportazione.
François Jourde, impiegato in uno studio notarile
ed eletto il 26 marzo al Consiglio della Comune del 5° arrondissement, il 29 dello stesso mese assunse la funzione di
commissario delle finanze, riuscì a presentare un bilancio talmente preciso,
oltre che attivo, da costituire un vero gioiello d’amministrazione ed
un’eccezione in materia di bilanci pubblici; nella relazione al bilancio lo
stato delle finanze della Comune era giudicato florido. In questo lavoro
venne assistito da Eugène Varlin: rilegatore, anarchico proudhoniano,
morto il 28 maggio quando ogni resistenza era ormai
cessata, fu riconosciuto da un prete in rue Lafayette e segnalato ai soldati di
Versailles che prima lo linciarono e poi lo
fucilarono. Gli scrupoli legalitari di Jourde impedirono di confiscare i fondi della
Banca di Francia, indebolendo l’azione della Comune contro il governo di Thiers. Fu lui l’autore del decreto che accordava
una pensione alle donne, sposate o meno, delle guardie nazionali cadute in
combattimento. Arrestato dal governo di Versailles il 30 maggio, fu condannato il 2
settembre alla deportazione nella Nuova Caledonia dove giunse nel novembre del 1872.
Nella colonia penale di Nouméa lavorò come contabile e fondò l’«Union», società di mutuo soccorso ai
deportati. Evase il 21 marzo del 1874, raggiunse l’Inghilterra, partecipò ad
una sottoscrizione per i Comunardi vittime della repressione. Tornò da
Londra in Francia con l’amnistia del 1880, senza più occuparsi di
politica.