Obbedire quasi sempre vuol dire rinunciare a se stessi, dire sempre sì
all’altro da sé e rinunciare sempre a se stessi: non voglio noie, non voglio vedere,
capire, ascoltare, sentire; non voglio chiedere perché ho paura di quello che potrei
scoprire, delle possibili conseguenze in termini di carriera, ruolo, posizione sociale,
mi è comodo seguire l’onda del perbenismo, mi gratifica la considerazione di chi esercita il potere.
Disobbedire è qualcosa di più che non obbedire, perché l’azione del non
obbedire e talvolta spontanea, immediata, di pelle, non presuppone un articolato
ragionamento. Disobbedire, infatti significa assumere in toto paternità di un’azione di non obbedienza e farla
diventare un comportamento visibile e consapevole, quindi trasformare un moto spontaneo
in una scelta politica.
Diventa importante capire che essere liberi vuol dire prima di tutto
voler essere liberi. Essere liberi dal liberarsi dal desiderio di obbedire, estirpare
la tendenza alla docilità, non pensare che sia sufficiente lavorare da soli per
emanciparsi dall’obbedienza.
Ma per volere essere liberi è indispensabile capire che non siamo responsabili
perché siamo liberi, ma siamo liberi perché siamo responsabili. Se non comprendiamo
questo, si continua a giustificare sostanzialmente la sottomissione, si cerca pervicacemente,
attraverso la delega a qualcosa o qualcuno, di spiegare, che diventa in questo modo
un giustificare, ogni forma di sottomissione. Essere responsabili significa dunque
assumersi il compito di interrogare sistematicamente il nostro comportamento, le
nostre relazioni, alla luce di una visione che alimenti ogni forma di liberazione
possibile.
La radice più profonda del dominio non sta tanto in chi lo esercita ma
soprattutto in chi lo subisce per comodità per abitudine, per interesse, per codardia
e via dicendo, dunque per irresponsabilità. Disobbedire vuol dire esercitare ogni
forma di lotta radicale e di critica alla delega e alle spiegazioni giustificative
che troppo spesso mettiamo in campo per assolverci all’imperativo categorico che
abbiamo assimilato con l’obbedienza.