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giovedì 1 aprile 2021

150 anni fa … L’opera della Comune (parte 1)

La stampa

Tra i primi provvedimenti del Comitato Centrale, all'indomani del 18 marzo, vi era stato quello di garantire libertà di stampa per tutti, anche se in maggio, nelle ultime settimane della sua esistenza, la Comune soppresse tutti i giornali conservatori e reazionari, che del resto continuarono ad uscire a Versailles, dove trasferirono le redazioni.

 

Le finanze e i servizi

Si stabilì che anche i non-francesi avevano pieno diritto di cittadinanza nella Comune, dal momento che in una repubblica universale «tutte le città hanno il diritto di considerare propri cittadini gli stranieri che la servono». Avvenne così che due polacchi, Dombrowski e Wroblewski, furono tra i comandanti militari e l'ungherese Léo Frankel uno dei commissari della Comune.

L'esercito permanente venne abolito con decreto del 29 marzo: nella tradizione di tutti gli Stati esso era utilizzato non solo per aggredire i popoli stranieri, ma per opprimere gli stessi concittadini. Pertanto, ad esso subentrò la Guardia Nazionale, che rappresentò tutto il popolo armato. La polizia venne adibita all'esclusivo esercizio della repressione dei reati comuni, togliendole ogni funzione politica.

Per quanto riguarda la burocrazia, nello stesso decreto venne adottato il provvedimento di eleggere i funzionari amministrativi, che in tal modo divennero revocabili in qualsiasi momento. Il loro stipendio massimo era fissato a 6.000 franchi annui: lo stipendio dei membri del Consiglio, pari a 5.475 franchi (15 franchi al giorno) era così inferiore a quello di un dirigente della pubblica amministrazione.

La Comune, come scritto in altro capitolo, commise il grave errore di non nazionalizzare la Banca di Francia, la quale possedeva, in marzo, più di due miliardi e mezzo di franchi tra contanti e titoli. Avendo a disposizione, per le spese correnti, poco più di quattro milioni e mezzo di franchi, la Comune, nei circa due mesi della sua esistenza, richiese alla Banca prestiti scaglionati per un importo complessivo di circa venti milioni, una somma evidentemente minima rispetto alle disponibilità della Banca di Francia.

Quella di concedere sovvenzioni ad intermittenza fu una politica suggerita ai governatori della Banca direttamente da Thiers, il quale temeva che in caso di resistenze essa fosse nazionalizzata. Versailles, nello stesso tempo, ottenne sovvenzioni per più di 257 milioni, una somma superiore di più di dieci volte a quella percepita da Parigi. La responsabilità di non aver controllato direttamente il maggior organismo finanziario della Francia va assegnata ai due commissari Charles Beslay e François Jourde, ma più in generale al «timore sacro» provato da gran parte degli uomini della Comune di fronte all'istituzione finanziaria.

Con risorse modeste, la Comune doveva provvedere a mantenere in funzione i servizi pubblici, dai quali erano scomparsi i tre quarti degli impiegati; gli ospedali ad esempio, furono svuotati delle attrezzature dal governo di Versailles e il personale, composto in gran parte da suore, aveva scarsa volontà di collaborare. Anche le poste erano da rimettere a posto. Un altro problema era rappresentato dal tentativo di Thiers di affamare la città, impedendo che i treni merci raggiungessero Parigi.

 

La politica sociale

La Comune non ebbe il tempo materiale per organizzare un coerente programma di riforme sociali e dovette affrontare solo i problemi più urgenti del momento.

Il problema degli alloggi era certamente uno dei più importanti per una città che aveva subito un lungo assedio. Il 30 marzo 1871 si decretò che per tre trimestri, dal 1° ottobre 1870 al 30 giugno del 1871, gli affitti non erano dovuti (si trattò dunque di un'esenzione e non di un rinvio dei pagamenti degli affitti) in quanto «è giusto che anche la proprietà sopporti la sua parte di sacrifici». Il 25 aprile si requisirono gli alloggi sfitti per assegnarli alle famiglie le cui abitazioni erano state danneggiate dai bombardamenti delle truppe di Thiers.

Il problema del pagamento delle cambiali in scadenza, problema particolarmente sentito da artigiani e piccoli commercianti messi in difficoltà dal crollo dei consumi verificatosi durante l'assedio, fu preso in considerazione dal 19 marzo con l'emanazione di un decreto di rinvio delle scadenze, e il 18 aprile fu stabilito che i pagamenti dovevano essere effettuati dal 15 luglio, in tre anni e senza interessi.

Quello del pignoramento degli oggetti depositati al Monte di Pietà era un altro problema che assillava gran parte della popolazione che, vivendo in generale povertà, era far uso impegnare le poche cose di valore nei momenti di particolare difficoltà. Il direttore del Monte di Pietà aveva annunciato, il 20 marzo, la vendita all'asta, a partire dal 1° aprile, degli oggetti pignorati. Sulla questione ci furono delle divisioni tra coloro che volevano abolire immediatamente il Monte di Pietà «sia per l'immoralità del principio che li regge, sia per l'assoluta inefficacia del loro funzionamento economico». Dopo un decreto di sospensione delle aste, emanato il 29 marzo, fu deciso il 7 maggio di concedere la restituzione gratuita degli oggetti impegnati di prima necessità di un valore pari o inferiore ai 20 franchi: la Comune si assumeva l'onere di rimborsare il Monte, per una spesa che superava i 300.000 franchi.

Per affrontare il problema della disoccupazione, aumentata a seguito della fuga da Parigi dei proprietari di aziende grandi e piccole, il 16 aprile la commissione lavoro istituì una commissione d'inchiesta, a cura delle camere sindacali, che fece un elenco delle officine e laboratori inattivi, inventariò i loro beni e provvide a costituire cooperative di lavoratori che ne presero possesso. Un tribunale arbitrale avrebbe poi commisurato l'entità degli indennizzi spettanti ai proprietari.

Il 27 aprile un decreto stabilì la soppressione delle multe sui salari operai (un'abitudine del padronato del Secondo Impero) e impose la restituzione di quelle inflitte dopo il 18 marzo.