..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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sabato 29 agosto 2020

29 agosto 1946: i partigiani di Santa Libera

È il 29 agosto del 1946 e ad Asti un gruppo di una cinquantina di persone sta rientrando in città tra gli applausi calorosi della gente: sono i ribelli di Santa Libera, un gruppo di ex partigiani che qualche giorno prima è tornato ad imbracciare le armi e si è installato sulla vetta di una collina che domina il piccolo comune di Santa Libera (in provincia di Cuneo) per protestare contro alcuni provvedimenti che le autorità hanno messo in atto sia sul piano locale che su quello nazionale.

La scintilla della rivolta si accende quando ad Asti giunge la notizia che Carlo Lavagnino, comandante della polizia locale ed ex comandante delle formazioni garibaldine, è stato sollevato dal suo incarico per essere sostituito da un ex ufficiale fascista.

La scelta dei ribelli di Santa Libera non si spiega però solo con questo episodio, che di fatto è la goccia che fa traboccare il vaso, ma va inserita nel più ampio quadro dell’Italia nell’agosto del ’46: a più di un anno dalla Liberazione, infatti, il governo non ha ancora preso alcun tipo di provvedimento per il riconoscimento dei diritti dei partigiani e delle famiglie dei caduti mentre, per contro, ha sollecitato l’emanazione di un’amnistia per i reati fascisti, redatta dall’allora Ministro della Giustizia Palmiro Togliatti ed approvata a fine Giugno.

Il testo dell’amnistia, che nelle intenzioni del Ministro doveva costituire “un atto di clemenza per alleviare le condizioni anche di coloro che avendo violato la legge penale comune ne subiscono o devono subirne le conseguenze, e per arrecare un conforto sensibile a un numero ingente di loro familiari derelitti e angosciati”, è da subito oggetto di interpretazioni molto ampie che conducono di fatto alla rimessa in libertà di migliaia di fascisti, da squadristi ad alti dirigenti della RSI, che vengono presto reintegrati ed assegnati a nuovi incarichi.

Tutto ciò non può che apparire inaccettabile a quanti hanno combattuto durante la Resistenza e vedono ora repubblichini ed aguzzini fascisti tornare a piede libero in tutta Italia.

Di qui la scelta eclatante dei ribelli di Santa Libera, che nella notte del 20 agosto si mettono in marcia sotto la guida di Armando Valpreda, combattente nella Brigata Rosselli tra il ’43 e il ’45, e si installano nel rudere di una vecchia torre sulla cima di una collina.

Il gruppo era già organizzato clandestinamente da alcuni mesi, con l’intento di agire sul piano locale per fare giustizia contro le presenza fasciste che ancora inquinavano il territorio, perciò la partenza per Santa Libera non è che l’occasione per mettere al lavoro le forze del nucleo.

Già il giorno successivo i ribelli rendono note le proprie rivendicazioni: reinserimento dei partigiani, dei reduci e degli ex-internati nel mondo del lavoro, erogazione di pensioni alle famiglie dei caduti e riconoscimento del periodo resistenziale ai fini del servizio militare, risarcimento alle vittime delle rappresaglie nazi-fasciste, abrogazione dell'amnistia, soppressione del partito dell'"Uomo qualunque" e messa fuorilegge dei fascisti.

Intanto la notizia dell’insurrezione non tarda a diffondersi e a suscitare grosse preoccupazioni fra le autorità: il ministero dell’Interno si affretta ad inviare grossi contingenti militari che presidiano l’area con posti di blocco, battaglioni di fanteria e mitragliatrici pesanti.

Il timore (fondato) del governo è che, sull’esempio dei ribelli di Santa Libera, l’insurrezione dilaghi ben presto nel resto d’Italia e, in effetti, situazioni simili si registrano in breve in molte altre località dell’Italia settentrionale, dalla Val Felice, ai dintorni di Pinerolo e di Lanzo, a La Spezia e soprattutto nell’Oltrepò pavese.

Mentre le forze schierate sul territorio lanciano un ultimatum ai ribelli, decidendo di adottare una linea dura, il governo, preoccupato che la situazione possa degenerare in uno scontro a fuoco diretto tra i partigiani e i contingenti militari, decide di aprire una trattativa.

Il Vicepresidente del Consiglio Pietro Nenni, riconoscendo la fondatezza delle richieste partigiane, si dice disponibile ad incontrare una delegazione degli insorti; la sua posizione non rispecchia però quella di gran parte della DC e in primis di De Gasperi, che mal digerisce una sfida così frontale allo Stato e definisce l’insurrezione astigiana “un deplorevole episodio che ha turbato la norma di disciplina e di ordine necessari al paese come non mai".

L’incontro con Nenni si tiene il 24 agosto e in quell’occasione il Vicepresidente assicura che è già pronto un decreto (che verrà effettivamente approvato il 28 dello stesso mese) che prende in considerazione le rivendicazioni normative a favore di partigiani, reduci e familiari dei caduti.

Pur essendo queste delle questioni che stavano molto a cuore agli insorti, resteranno tuttavia fuori dal decreto tutte le rivendicazioni di stampo politico avanzate dai ribelli, in primo luogo l’abolizione dell’amnistia.

Questo nodo non risolto spingerà quindi alcuni gruppi, in più parti d’Italia, a rimanere ancora per alcune settimane sulle montagne, ritenendo insoddisfacente l’intervento normativo del governo.

I ribelli rientrano comunque ad Asti da vincitori, consapevoli di essere riusciti a mettere in scacco il governo e di aver dimostrato che lo spirito della Resistenza non si è affatto spento ma è intatto e anima ancora tutti coloro che non sono disposti ad accettare alcuna riabilitazione dei fascisti.