È il 29 agosto
del 1946 e ad Asti un gruppo di una cinquantina di persone sta rientrando in
città tra gli applausi calorosi della gente: sono i ribelli di Santa Libera, un
gruppo di ex partigiani che qualche giorno prima è tornato ad imbracciare le
armi e si è installato sulla vetta di una collina che domina il piccolo comune
di Santa Libera (in provincia di Cuneo) per protestare contro alcuni
provvedimenti che le autorità hanno messo in atto sia sul piano locale che su
quello nazionale.
La scintilla
della rivolta si accende quando ad Asti giunge la notizia che Carlo Lavagnino,
comandante della polizia locale ed ex comandante delle formazioni garibaldine,
è stato sollevato dal suo incarico per essere sostituito da un ex ufficiale
fascista.
La scelta dei
ribelli di Santa Libera non si spiega però solo con questo episodio, che di
fatto è la goccia che fa traboccare il vaso, ma va inserita nel più ampio
quadro dell’Italia nell’agosto del ’46: a più di un anno dalla Liberazione,
infatti, il governo non ha ancora preso alcun tipo di provvedimento per il
riconoscimento dei diritti dei partigiani e delle famiglie dei caduti mentre,
per contro, ha sollecitato l’emanazione di un’amnistia per i reati fascisti,
redatta dall’allora Ministro della Giustizia Palmiro Togliatti ed approvata a
fine Giugno.
Il testo
dell’amnistia, che nelle intenzioni del Ministro doveva costituire “un atto di
clemenza per alleviare le condizioni anche di coloro che avendo violato la
legge penale comune ne subiscono o devono subirne le conseguenze, e per
arrecare un conforto sensibile a un numero ingente di loro familiari derelitti
e angosciati”, è da subito oggetto di interpretazioni molto ampie che
conducono di fatto alla rimessa in libertà di migliaia di fascisti, da
squadristi ad alti dirigenti della RSI, che vengono presto reintegrati ed
assegnati a nuovi incarichi.
Tutto ciò non
può che apparire inaccettabile a quanti hanno combattuto durante la Resistenza
e vedono ora repubblichini ed aguzzini fascisti tornare a piede libero in tutta
Italia.
Di qui la scelta
eclatante dei ribelli di Santa Libera, che nella notte del 20 agosto si mettono
in marcia sotto la guida di Armando Valpreda, combattente nella Brigata
Rosselli tra il ’43 e il ’45, e si installano nel rudere di una vecchia torre
sulla cima di una collina.
Il gruppo era
già organizzato clandestinamente da alcuni mesi, con l’intento di agire sul
piano locale per fare giustizia contro le presenza fasciste che ancora
inquinavano il territorio, perciò la partenza per Santa Libera non è che
l’occasione per mettere al lavoro le forze del nucleo.
Già il giorno
successivo i ribelli rendono note le proprie rivendicazioni: reinserimento dei
partigiani, dei reduci e degli ex-internati nel mondo del lavoro, erogazione di
pensioni alle famiglie dei caduti e riconoscimento del periodo resistenziale ai
fini del servizio militare, risarcimento alle vittime delle rappresaglie
nazi-fasciste, abrogazione dell'amnistia, soppressione del partito
dell'"Uomo qualunque" e messa fuorilegge dei fascisti.
Intanto la
notizia dell’insurrezione non tarda a diffondersi e a suscitare grosse
preoccupazioni fra le autorità: il ministero dell’Interno si affretta ad
inviare grossi contingenti militari che presidiano l’area con posti di blocco,
battaglioni di fanteria e mitragliatrici pesanti.
Il timore
(fondato) del governo è che, sull’esempio dei ribelli di Santa Libera, l’insurrezione
dilaghi ben presto nel resto d’Italia e, in effetti, situazioni simili si
registrano in breve in molte altre località dell’Italia settentrionale, dalla
Val Felice, ai dintorni di Pinerolo e di Lanzo, a La Spezia e soprattutto
nell’Oltrepò pavese.
Mentre le forze
schierate sul territorio lanciano un ultimatum ai ribelli, decidendo di
adottare una linea dura, il governo, preoccupato che la situazione possa
degenerare in uno scontro a fuoco diretto tra i partigiani e i contingenti
militari, decide di aprire una trattativa.
Il
Vicepresidente del Consiglio Pietro Nenni, riconoscendo la fondatezza delle
richieste partigiane, si dice disponibile ad incontrare una delegazione degli
insorti; la sua posizione non rispecchia però quella di gran parte della DC e
in primis di De Gasperi, che mal digerisce una sfida così frontale allo Stato e
definisce l’insurrezione astigiana “un deplorevole episodio che ha turbato la
norma di disciplina e di ordine necessari al paese come non mai".
L’incontro con
Nenni si tiene il 24 agosto e in quell’occasione il Vicepresidente assicura che
è già pronto un decreto (che verrà effettivamente approvato il 28 dello stesso
mese) che prende in considerazione le rivendicazioni normative a favore di
partigiani, reduci e familiari dei caduti.
Pur essendo
queste delle questioni che stavano molto a cuore agli insorti, resteranno
tuttavia fuori dal decreto tutte le rivendicazioni di stampo politico avanzate
dai ribelli, in primo luogo l’abolizione dell’amnistia.
Questo nodo non
risolto spingerà quindi alcuni gruppi, in più parti d’Italia, a rimanere ancora
per alcune settimane sulle montagne, ritenendo insoddisfacente l’intervento
normativo del governo.
I ribelli
rientrano comunque ad Asti da vincitori, consapevoli di essere riusciti a mettere
in scacco il governo e di aver dimostrato che lo spirito della Resistenza non
si è affatto spento ma è intatto e anima ancora tutti coloro che non sono
disposti ad accettare alcuna riabilitazione dei fascisti.