A Torino
l'opposizione alla Grande Guerra è vivissima sin dall'inizio, dal 1914: la
presenza in città della grande industria ne hanno fatto in pochi mesi la prima
città industriale italiana, gli operai sono diventati centinaia di migliaia, ma
il guadagno reale continua a scendere, e inoltre i generi di prima necessità
continuano ad essere irreperibili. Da qui cresce e si diffonde un forte
malcontento, che sfocia già nel
Il 1917 è l'anno
peggiore, tre anni di guerra hanno portato le condizioni di vita del proletariato
urbano al limite, alle quali si aggiunge, tra marzo e agosto, una costante
penuria di pane. Scendono in agitazione e in sciopero in questi mesi decine di
fabbriche torinesi, dalle metallurgiche alle automobilistiche, e alle
rivendicazioni economiche si intreccia la propaganda per la pace e, poiché
proprio in questo periodo giungono gli echi della rivoluzione russa del
febbraio, sempre più spesso la parola d'ordine diventa di "fare come in
Russia".
Il 21 agosto la
situazione precipita, e si contano almeno 80 fornai chiusi: gruppi di donne
manifestano davanti alla Prefettura e al Municipio, mentre il giorno successivo
iniziano le battaglie in strada.
Nel quartiere
Vanchiglia la folla attacca la caserma delle guardie, che sparano ferendo tre
dimostranti, gli scontri si allargano a macchia d'olio in tutta la città,
mentre sempre più operai scendono in sciopero.
Il 23 lo
sciopero è spontaneo e chiaramente preinsurrezionale in tutta la città, i
negozi vengono saccheggiati, in tutti i quartieri vengono erette barricate, gli
scontri a fuoco si moltiplicano, i roghi cominciano ad essere appiccati in
punti nevralgici della città. È in questa giornata che si contano i primi due
morti della rivolta, uccisi dalle guardie in Piazza Statuto.
Il 24 è la
giornata culminante dell'insurrezione. Nella mattinata tutti i quartieri operai
periferici sono in mano al popolo insorto (verranno definiti la "cintura
rossa"), mentre il centro città è presidiato dall'esercito; gli operai
spingono tutt'intorno al centro, cercando di convincere i soldati tramite
manifesti, volantini e donne infiltrate, o perlomeno di disarmarli, con un
susseguirsi di piccoli combattimenti. I risultati di questo tentativo di
fraternizzazione con i soldati sono del tutto deludenti, in quanto tra le forze
armate è mancato, e manca, un lavoro di propaganda e un centro ideologico ed
organizzativo.
Gli sconti
spontanei sono ormai dilagati in tutta la città, ma gli insorti, male o per
niente armati, si scontrano con la forza pubblica che utilizza mitragliatrici e
tank. A sud della città un dimostrante e un soldato restano uccisi in barriera
Nizza, mentre la battaglia continua in San Paolo.
Ma è a nord che
la lotta è più dura: sulla Dora ed in Corso Vercelli l'esercito riesce infine
ad espugnare le barricate erette dai rivoltosi, mentre in Corso Novara i
dimostranti hanno la meglio, occupano il commissariato di Corso Mosca, superano
Porta Palazzo e si dirigono verso il centro.
Le parole del
cronista di "Stato Operaio" danno un'idea di ciò che accade: "La
folla sente che può vincere e lotta con furore, con eroismo: semina le strade
di morti e di feriti. Ma la riscossa della forza pubblica è terribile. Entrano
in campo le automobili blindate e si scagliano a corsa folle per le vie
gremite, scaricando le mitragliatrici all'impazzata sulla gente che fugge, su
coloro che resistono, nelle finestre delle case, nelle porte, nei negozi alla
cieca. I morti non si contano e l'attacco dei rivoltosi è respinto ancora una
volta. In questo momento la folla si spezzetta nel dedalo delle vie che stanno
tra il centro e Corso Regina Margherita e lungo questo corso. Cento
combattimenti individuali e di piccoli gruppi hanno luogo e gli operai e le
donne operaie dimostrano cento volte il loro coraggio, il loro eroismo".
Nel pomeriggio gli
scontri continuano e un gruppo di donne disarmate cera di frenare l'avanzata
dei carri armati in Corso Regina: i tank continuano ad avanzare, mentre le
donne vi si lanciano sopra, aggrappandosi alle mitragliatrici e cercando di
convincere i soldati a buttare le armi. I carri armati sono costretti ad
arrestarsi.
Solo verso sera,
con carri armati e mitragliatrici, le truppe riescono a fermare gli scontri
nelle zone più agguerrite.
Il bilancio al
termine di questa giornata è pesante: ventuno morti tra i manifestanti, tre tra
le forze di polizia, un centinaio di feriti e millecinquecento arresti.
Sabato 25 agosto
si notano i primi segni del rifluire del moto operaio, gli scontri si
susseguono ancora in tutta la città ma i manifestanti non tentano più di arrivare
al centro, si limitano a difendere i propri quartieri; la domenica
l'insurrezione è praticamente battuta,anche se lo sciopero continua compatto.
"Stato Operaio" scriverà dell'insurrezione di Torino, dieci anni dopo: "Le donne operaie e gli operai che insorsero nell'agosto a Torino che presero le armi, combatterono e caddero come eroi, non soltanto erano contro la guerra, ma volevano che la guerra terminasse con la disfatta dell'esercito della borghesia italiana e con una vittoria di classe del proletariato".