9 maggio 1976, il
corpo di Ulrike Meinhof viene trovato senza vita, appeso alla finestra della sua
cella nel braccio speciale del carcere di Stoccarda Stammheimer. Le perizie legali,
sempre molto lacunose ed incomplete, si orientano tutte verso l’ipotesi del suicidio
della militante rivoluzionaria. Ma ci sono elementi che non convincono; gli altri
detenuti non credono alla versione ufficiale in cui poliziotti e medici legali si
contraddicono senza pudore. E non sono solo i suoi compagni di prigionia ad avere
dei dubbi: anche nell’opinione pubblica comincia a farsi spazio quest’idea che la
Meinhof sia “stata suicidata” da terzi. Così nasce la Commissione internazionale
di inchiesta sulla morte di Ulrike Meinhof, che comincia a portare alla luce tutte
quelle discordanze prodotte dalle autopsie legali. Non ultimo il problema di un
cappio troppo largo per sostenere il corpo. Citiamo dalla traduzione italiana: “Si
può appendere un cadavere in un cappio troppo largo, solo se si approfitta della
rigidità cadaverica per mettere la testa in una posizione fissa, che non permetta
più al cappio di scivolare.”.
Ulrike Meinhof è
in prigione in attesa del processo che probabilmente la condannerà al carcere a
vita. È membro fondatore della Rote Armee Fraktion (Fazione dell’Armata Rossa),
un’organizzazione rivoluzionaria della Germania ovest, attiva dal 1970 al 1998.
Incarcerati insieme a lei ci sono altri membri della prima generazione del gruppo:
Andreas Baader, Gudrun Ensslin, Jan-Carl Raspe e Irmgard Möller. Anche loro, il
13 ottobre dell’anno successivo “decideranno” di suicidarsi. Baader e Esslin moriranno
nelle loro celle, Raspe in ospedale, mentre la Möller non “riuscirà” a togliersi
la vita con una serie di coltellate in petto, e avrà quindi la possibilità di raccontare
in un libro, di come i suoi tre compagni abbiano subito la stessa sorte di Ulrike.
Il movimento nella
Germania ovest è alquanto eterogeno. Molto forti sono le correnti libertarie e situazioniste;
rara la militanza in forma organizzata. Tutte le proteste hanno come epicentro la
sensazione che la denazificazione nella repubblica federale non sia stata neanche
abbozzata. Le strutture e i volti del potere sono gli stessi che operavano sotto
il regime hitleriano. È in questo clima che nel gruppo di Baader e Meinhof sorge
spontanea la necessità di organizzarsi in una risposta armata al regime di cose
presente. Si sceglie come nome Rote Armee Fraktion, per chiarire quel sentimento
di appartenenza ad un movimento rivoluzionario più ampio e mondiale. Fin dall’inizio
la RAF prende contatti con organizzazioni rivoluzionarie straniere: dalle BR, ai
Tupamaros, all’FPLP, cui i militanti tedeschi devono l’addestramento militare in
Cisgiordania. L’influenza che queste esperienze internazionali hanno sulla RAF è
impressionante. L’organizzazione tedesca comincia a sperimentare sul suo campo di
battaglia metodi e strutture saggiati dai movimenti uruguayano e palestinese. Un’organizzazione
articolata in cellule di combattimento, simile anche se meno radicale della struttura
di Settembre Nero; una teoria della guerriglia urbana mutuata dai teorici del Sud
America fanno delle RAF una delle organizzazioni rivoluzionarie europee più longeve
del secondo dopo guerra.