Il 24 maggio 1968
Il generale De Gaulle compare in televisione con un proclama alla nazione, scossa
dalla contestazione studentesca. È un discorso forte, una dura requisitoria contro
gli studenti in agitazione e vaghe promesse di riforme sociali, di una maggiore
democrazia. De Gaulle annuncia anche un referendum sulla sua politica. L'annuncio
di un referendum però non può soddisfare né i più duri, né i moderati tra gli scioperanti.
Gli studenti, che
ammassati davanti la Gare de Lyone aspettano di ascoltare il Presidente della Repubblica
non sono più soli, sono stati raggiunti da giovani operai e dagli impiegati delle
banche e della funzione pubblica. Alle 20 il generale parla. Bastano pochi minuti
di discorso per scatenare l'ira della folla. A quel punto la stazione diventa teatro
di violenti scontri che dureranno tutta la notte. Gli scontri però si susseguono
per tutta la città arrivando fino alla Bastiglia e fin sotto la Borsa, che per poco
non viene incendiata.
A questo punto gli
scioperi che continuano a infiammare la città di Parigi si espandono per le altre
città della Francia, che sembra ormai essere sul punto di un'insurrezione generale.
Lo stesso De Gaulle
si rende conto quella sera di aver fallito l'obiettivo: i suoi stessi biografi lo
descriveranno in quei giorni come un uomo depresso, pronto a scappare da Parigi,
convinto della imminente vittoria della rivoluzione.
Il primo ministro
Pompidou invece per far sì che i lavoratori lascino le fabbriche occupate, pronpone
ai leader sindacali delle concessioni che vanno ben al di là di quello che questi
ultimi hanno richiesto nel periodo precedente. Molti lavoratori accetteranno quello
che i dirigenti sindacali presentano come una vittoria.
È cosi che quella
che è stata realisticamente una rivoluzione possibile, agli inizi di giugno si placa,
con i sindacati che accettano i compromessi per salvare la democrazia capitalista
e una generazione intera di studenti, che si "accontenta" di aver stravolto
i costumi e il modo di vivere dei giovani.