Dopo la fallita
insurrezione di Bologna (1874), il movimento anarchico italiano dovette
fronteggiare una grave crisi in conseguenza della dura repressione cui fu
sottoposto (persecuzioni, arresti, scioglimento di diverse organizzazioni
ecc.).
Nel giugno 1876,
dopo il processo per i moti di Bologna (1874), tutti gli anarchici coinvolti
ritornarono in libertà, decisi più che mai della necessità di rimettere in moto
l'attività rivoluzionaria. Nell'inverno del 1876\77, subito dopo il Congresso
internazionalista di Berna (26-29 ottobre 1876), soprattutto Cafiero e
Malatesta dichiararono che la Federazione italiana era pronta ad un nuovo atto insurrezionale:
«La Federazione
Italiana crede che il fatto insurrezionale, destinato ad affermare con delle
azioni il principio socialista, sia il mezzo di propaganda più efficace ed il
solo che, senza ingannare e corrompere le masse possa penetrare nei più
profondi strati sociali...».
Essi credevano
che l'insurrezione dovesse partire non dalla città ma dalla campagna. Non con
il contributo degli operai, come sostenevano i marxisti, bensì spingendo alla
rivolta i contadini delle aree più depresse della penisola. Quest'idea peraltro
non era nuova e si ispirava profondamente al pensiero di Carlo Pisacane che
tanto proselitismo aveva fatto durante il risorgimento italiano. Non solo, lo
stesso Bakunin, aveva più volte ribadito l'importanza del movimento contadino
rispetto ai propositi rivoluzionari anarchici.
Ecco perché
Cafiero e Malatesta (la banda del Matese si costituì principalmente per merito
loro) individuarono nel Matese la zona adatta alla guerriglia rivoluzionaria
convinti che la popolazione locale, per lo più poverissima, li avrebbe seguiti
con entusiasmo. I fatti dimostrarono però che si sbagliavano.
La Banda del
Matese aveva in Carlo Cafiero, Errico Malatesta, Francesco Pezzi, Napoleone
Papini e Cesare Ceccarelli gli elementi di maggior spicco. Con loro vi erano
studenti, contadini, calzolai, muratori, ecc. provenienti dia più disparati
luoghi. Tutti furono addestrati dal russo Sergio Kravcinskij.
Nel marzo del
1877 "la banda" ritenne fosse giunto il momento di agire, ma il clima
Rigido di quell'anno consigliò loro di spostare l'azione di qualche settimana.
Quando le condizioni climatiche divennero più accettabili, i rivoluzionari
decisero di ritrovarsi in un piccolo paesello, a San Lupo (Benevento).
Il 3 aprile 1877
Malatesta e Cafiero giunsero a San Lupo (Benevento), spacciandosi per turisti inglesi.
Scaricarono molto materiale che avrebbe dovuto servire per la guerriglia dei
giorni successivi. La sera del 5 aprile arrivarono altri rivoluzionari, tra cui
Cesare Ceccarelli, Antonio Cornacchia e Napoleone Papini. Purtroppo per loro un
certo Salvatore Farina, che avrebbe dovuto fungere da tramite con i contadini
della zona, vendette le informazioni in suo possesso alla forza pubblica.
La notte fra il
7 e l'8 aprile 1877, gli anarchici, scoperti dai carabinieri, furono costretti
a fuggire dopo una sparatoria che provocò il ferimento di due carabinieri (uno
dei quali morì successivamente). Il piano di insurrezione per San Lupo
(Benevento) fu dichiarato decaduto (da sottolineare che erano stati
preventivati un centinaio di insorti, invece se ne presentò solo qualche decina:
inoltre, non si presentarono nemmeno le guide e ciò comportò, successivamente,
seri problemi d'approvvigionamento alimentare e di orientamento nel
territorio).
Malatesta e
Cafiero non si persero d'animo e dopo aver camminato una notte intera giunsero
nel comune di Letino (Caserta): issarono sul municipio la bandiera rosso-nera
occuparono il Municipio, staccarono immediatamente il ritratto del re Vittorio
Emanuele, proclamarono decaduta la monarchia, dichiararono abolita la tassa sul
macinato e bruciarono tutte le carte comunali e catastali.
L'intervento
della polizia mise in fuga la banda, evidenziando la scarsa preparazione del
piano d'azione rivoluzionario, che cercò di fuggire nella foresta, ma dopo tre
giorni gli anarchici si arresero al capitano Ugo De Notter.
Dopo l'arresto,
i componenti della banda incarcerati a S. Maria Capua Vetere. Inizialmente
l'intenzione era quella di far giudicare gli insorti da un tribunale di guerra,
il che avrebbe significato la condanna a morte per fucilazione. Per fortuna ciò
non accadde ed invece furono giudicati da un tribunale civile. Decisiva fu
l'intercessione della figlia di Carlo Pisacane, Silvia, che era stata adottata del
Ministro degli Interni Nicotera e che probabilmente aveva avuto contatti con
gli internazionalisti napoletani. Era stato l'avvocato Carlo Gambuzzi, già
amico di Bakunin, a chiederle aiuto «e tanto scongiurò la giovane perché
intercedesse presso il padre adottivo, in nome dell'affinità d'idee
dell'analogia dei casi che legavano al ricordo del Pisacane la banda del Matese
che Silvia riuscì a strappare al Nicotera la revoca della primitiva decisione.
La minaccia del giudizio sommario era scongiurata».
Il processo
contro la banda del Matese, difesa tra gli altri anche dal giovanissimo
Francesco Saverio Merlino, iniziò il 14 agosto 1878 e si concluse il 25 dello
stesso mese. La sentenza dichiarò innocenti i ventisei anarchici imputati della
morte di un carabiniere, attribuita invece a causa sopravvenuta. Al termine
della lettura nella sala scoppiò un caloroso battimano.