Nell’esaltazione del lavoro, negli
instancabili discorsi sulla benedizioni del lavoro, vedo la stessa riposta
intenzione che si nasconde nella lode alle azioni impersonali di comune
utilità: la paura, cioè, di ogni realtà individuale. In fondo, alla vista del
lavoro e con ciò si intende sempre quella faticosa operosità che dura dal
mattino alla sera, si sente oggi che il lavoro come tale costituisce la
migliore polizia, che tiene ciascuno a freno e riesce a ostacolare validamente
il potenziarsi della ragione, dei desideri, del gusto dell’indipendenza. Esso
logora straordinariamente una gran quantità d’energia nervosa e la sottrae al
riflettere, al meditare, al sognare, al preoccuparsi, all’amore e all’odiare.
Esso pone costantemente sott’occhio un meschino obiettivo e procura facili e
regolari appagamenti. Così una società in cui di continuo si lavora duramente,
avrà maggior sicurezza: e si adora oggi la sicurezza come la divinità somma. E
ora! Orribile! Proprio il “lavoratore” si è fatto pericoloso! Gli individui
pericolosi brulicano! E dietro a essi, il pericolo dei pericoli – l’individuum!
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