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giovedì 31 gennaio 2013

Crepe nella fortezza Europa: assolti per legittima difesa

Si chiamava Yassine, era tunisino, e aveva 23 anni. Si tratta del migrante che è annegato nel corso dello sbarco di Capodanno nell’arenile tra Capo Granitola e Tre Fontane, costa Sud della provincia di Trapani. La dinamica della tragedia non ha niente a che fare con le avverse condizioni meteo. In questo caso, come in molti altri casi analoghi, gli scafisti hanno buttato a mare gli immigrati che erano a bordo del peschereccio utilizzato per la traversata. Dovevano alleggerirsi per sfuggire ai controlli. Poi, gli scafisti sono stati arrestati ugualmente ma per Yassine, che forse non sapeva nuotare o che, forse, era troppo stanco, non c’è stato niente da fare. Un altro ragazzo è ancora disperso. Yassine è stato identificato dai carabinieri attraverso le impronte digitali. Dagli accertamenti è risultato, infatti, che Yassine era già stato in Italia e che nel 2011 era stato espulso dal questore di Ravenna perché clandestino.
Qualche giorno prima, ma su un altro versante della Fortezza Europa, a metà dicembre, un’imbarcazione carica di immigrati, salpata dalla costa turca, si è rovesciata a causa del maltempo nei pressi dell’isola greca di Mitilene. Bilancio della tragedia: venti persone affogate, tutte tra i venti e i quarant’anni.
Dal 1988 sono morte lungo le frontiere dell’Europa almeno 18.673 persone.
Il dato è aggiornato al 10 novembre 2012 e si basa sulle notizie censite negli archivi della stampa internazionale degli ultimi 24 anni (fonte: fortresseurope.blogspot.it).
Una strage lenta e inesorabile le cui responsabilità gravano interamente sull’Unione europea (premio Nobel per la pace!) e sui governi che con le loro politiche, i loro accordi bilaterali, i loro pattugliamenti congiunti, hanno eretto un muro contro l’umanità che fugge da crisi, conflitti, guerre, povertà.
Il 2012 non è stato migliore. A novembre ha suscitato una certa attenzione
la lettera aperta scritta dal nuovo sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, e indirizzata simbolicamente all’Unione europea: «Eletta a maggio, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore (…) Quanto deve essere grande il cimitero della mia isola?».
Nicolini, che viene da Legambiente, si indigna per l’assuefazione alle stragi di migranti e non è lontana da un’analisi condivisibile laddove ammette «che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente». Certo, si tratta pur sempre del sindaco di Lampedusa, e le sue critiche alle politiche europee possono arrivare fino a un certo punto di compatibilità con il suo ruolo istituzionale. Ma in confronto al suo predecessore, De Rubeis, Nicolini è una campionessa di cultura democratica e progressista.
Certo è che il fronte della repressione nei confronti dei migranti rimane sempre molto caldo. I centri di identificazione ed espulsione continuano ad assolvere al loro ruolo terroristico nei confronti di chi vi viene trattenuto, ma forse mai come in questo 2012 appena trascorso si sono verificate così tante rivolte e fughe dai Cie di tutta Italia. Segno questo dell’aumentata capacità dei migranti di organizzarsi e affrontare scontri anche molto duri con le forze dell’ordine che, spesso, si trovano davvero in difficoltà nell’arginare la determinazione dei reclusi.
Solo pochi giorni fa il tribunale di Crotone ha emesso una sentenza davvero storica e, in un certo senso, sorprendente. Tre immigrati (un tunisino, un marocchino e un algerino) che a ottobre avevano partecipato a una rivolta all’interno del Cie di Isola Capo Rizzuto, sono stati assolti dalle accuse di danneggiamento e resistenza aggravata. I tre, insieme ai loro compagni di sventura, avevano divelto suppellettili e avevano scagliato oggetti contundenti contro le guardie che presidiavano il centro di detenzione. L’assoluzione si è basata sul concetto che la loro difesa è stata proporzionata all’offesa, ed è stata ricavata dall’articolo 15 della direttiva europea 115 del 2008 nel quale si sancisce che il trattenimento all’interno di un Cie dovrebbe essere l’“extrema ratio” nella “gestione” di un immigrato irregolare.
I provvedimenti di trattenimento dei tre imputati erano privi di motivazione, e pertanto mancava «l’indicazione delle ragioni specifiche in forza delle quali non era stato possibile adottare una misura coercitiva meno afflittiva del trattenimento presso il Cie». Il giudice ha anche considerato le pessime condizioni di vita nel Cie di Crotone, una struttura «al limite della decenza» e assolutamente inadatta all’accoglienza di esseri umani. Quindi, gli imputati sono stati vittima di «offese ingiuste», alle quali hanno opposto una «legittima difesa». In questo senso, il valore della dignità umana e della libertà personale è stato riconosciuto dal tribunale di gran lunga superiore al valore dei beni materiali distrutti durante la rivolta.
Una volta tanto, la legge riconosce quello che è immediatamente comprensibile da ogni essere umano dotato di buon senso. La sentenza di Crotone potrebbe rappresentare la classica eccezione che conferma la regola. Oppure potrebbe significare un cambio di prospettiva e, soprattutto, un importante precedente.
È chiaro che, se le cose dovessero migliorare, il merito non sarà del pur coraggioso e civile giudice di Crotone, ma di tutti gli immigrati che in questi anni si sono rivoltati, sono stati ammazzati, hanno lottato, hanno sofferto e non si sono mai arresi.