..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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venerdì 5 settembre 2014

1914-2014 Per non dimenticare

Quella di Virgilia d’Andrea (Sulmona, 1888 - New York, 1933), luminosa figura di donna anarchica, è stata una voce coraggiosa e fuori dal coro, capace di denunciare pubblicamente ogni genere di ingiu­stizia sociale in tempi in cui la censura e la propaganda imperavano; Come spesso accade, Virgilia pagò di persona un tale impegno politico, con la galera, l’esilio, la morte prematura.
Dal 1915, nei mesi che precedettero l’entrata in guerra dell’Italia, si prodigò in ogni modo per contrastare le posizioni interventiste, avvicinandosi al movimento anarchico abruzzese. In seguito seppe denunciare con coerenza gli orrori della Grande Guerra. .Nel 1934, mentre era in esilio in America, fece uscire Torce nella notte, una raccolta di prose di contenuto autobiografico, che venne vietata in Italia, da cui è tratto questo brano, Qui, in un momento di riposo, gli uomini e le donne del paese discutono con l’autrice intorno alla necessità o meno della guerra.

«È vero o non è vero, Maestra, che presto, ben presto l’Italia dovrà decidersi di entrare in guerra?».
Un tuffo al cuore: un ribollimento di tutto il sangue che già tanto amaro era diventato in quei giorni, e due parole, due sole parole che rivelarono d’improvviso, senza veli, tutto l’animo mio: «Un delitto» risposi... E a fronte alzata, aspettai la tempesta.
«Ecco... proprio come dicevo io», approvò battendo le mani, Angelantonio: un giovane che era tornato dalla Germania dove aveva, per alcuni anni, lavorato in miniera.
Volsi lo sguardo e sorrisi a quell’aiuto inaspettato.
«Un delitto», ripresi. «Perchè questo folle massacro di uomini e di cose? Avete fatto dei figli dunque, per mandarli infine allo scannatoio?».
Nessuno osava ribattere. Quella parola “scannatoio”aveva fatto trabalzare le donne e ammutolire gli uomini.
«Un delitto che voi non dovreste permettere. Guardate...» e qui le parole le sentii miste di lacrime tanto cocente era dentro l’angoscia, «tutto attorno a noi è scomparso, e contro queste misteriose forze della natura nulla purtroppo noi possiamo opporre. Ma contro la guerra, questa più terribile sciagura, che pochi pazzi e criminali preparano, gli uomini hanno la forza, la ragione, la volontà, il diritto... la ribellione».
Io mi ero accesa in uno slancio di avvampante passione e vidi, fra gli altri, gli occhi grandi e luminosi di
Angelantonio, pieni di lacrime e di speranze.
«Ma i nostri fratelli di Trento e di Trieste? Ma la patria?» obiettò timidamente qualcuno.
«E gli uomini di tutto il mondo non sono ugualmente essi dei nostri fratelli? Chi ha il diritto di dire: Fin qui siete fratelli, al di là di questo segno voi non siete che dei nemici implacabili?».
«Certo, certo che la nostra maestra ha ragione... ha “studiato agli studi” essa... e vuol bene alla povera gente come noi...»
Ed i visi si fecero più vicini a me, con atten­zione e interesse.
«E quelli che avete dovuto cercare lavoro all’estero non vi siete sentiti più in patria fra i tessitori, i contadini, i minatori della Germania, che fra i signorotti rapaci, superbi e insolenti del vostro paese?».
«Che verità... che verità sacrosante!... come don...don...» e qui il nome veniva taciuto «che ci prende tutto il raccolto senza dirti nem­meno: muori».
«Ma io vi dico, invece, povere anime di Cristo, vicino alla dannazione, vi dico che è Dio che permette la guerra... non muove foglia senza che Dio non voglia...» interruppe una barba bianca e fluente: l’uomo più vecchio e più ascoltato della montagna.
«Che mostro il vostro dio, saltò su Angelantonio, abituato alle franche e rudi discussioni fra emigrati... «un mostro che vuole il terremoto, la peste, la carestia, la guerra...»
«Satanasso!...» urlarono le donne, avvicinando alle labbra il rosario. «Se sei tornato in paese per prendere moglie, ti faremo “mangiare il limone”... ti faremo!».
«Prendermi una delle vostre oche io? Grazie», rispose il giovane con un poco d’impertinenza che mi spiacque, perché sciupava la sua bella e altera fierezza.
Una biondinetta piegò la testa, e sotto le ciglia lunghe e sottili io vidi brillare alcune lacrime amare. Aveva ella, mite ed ingenua, tessuto già qualche sogno?
«Eppure... con rispetto a vossignoria, maestra», intervenne la guardia campestre, che all’occasione era l’autorità poliziesca del paese, «io penso, io dico che il re... il re è il padrone…»
Ma d’improvviso una voce calda e melodiosa, venente da lontano, si sfioccò in languidi sogni attorno e sopra di noi...
O amore, che mi guardi dalle stelle, Scendi tra i monti e lasciati baciare...
Strette, mute, adesso, le labbra; ardenti i cuori ed ogni volto sbiancato...
O amore, che la vita mi torturi, Fra le tue braccia fammi singhiozzare...
Tutto l’accampamento pendeva da quella magnetica, limpida voce. Tutta la selvaggia e magnifica terra d’Abruzzo apriva le vene turgide e sane a quella traboccante passione.
Il passato... la sventura... le rovine... la vita sui sepolcri... gli odi... gli amori... le umiltà... il soffio delle lontane lotte sociali... le ribellioni... e nell’ombra, protetta da mostri feroci, l’immensa fornace della guerra, dagli occhi di sangue e dalle fauci di fuoco.