La crisi non è solamente
economica. Quando non c'è più denaro, non funziona più niente. Nel corso del XX
secolo, per estendere la schiera della valorizzazione del valore, il capitalismo
ha inglobato settori sempre più ampi della vita: dall'educazione dei bambini alla
custodia degli anziani, dalla cucina alla cultura, dal riscaldamento ai trasporti.
Si è visto un progresso, in nome dell'efficacia o della libertà degli individui
affrancati dai legami familiari e comunitari. Ora se ne vedono le conseguenze: tutto
va a rotoli se non è finanziabile. E non è solo dal denaro che dipende tutto, ma
peggio ancora: dal credito. Quando la riproduzione reale è al traino del capitale
fittizio, quando le imprese, le istituzioni e perfino Stati interi sopravvivono
solo grazie alle loro quotazioni in borsa, ogni crisi finanziaria - lungi dal riguardare
solamente quelli che giocano in borsa - finisce per affliggere moltissimi uomini
nella loro vita più intima e quotidiana.
Le diverse crisi
- economica, ecologica, energetica - non sono semplicemente contemporanee o collegate:
sono l'espressione di una crisi fondamentale, quella della forma-valore, della forma
astratta, vuota, che si impone ad ogni contenuto in una società basata sul lavoro
astratto e sulla rappresentazione nel valore di una merce. È tutto un modo di vita,
di produzione e pensiero, vecchio di almeno 250 anni, a non sembrare più capace
di assicurare la sopravvivenza dell'umanità. Forse non ci sarà un venerdì nero come
nel 1929, un giorno del giudizio. Ma ci sono buone ragioni per pensare che stiamo
vivendo la fine di una lunga epoca storica: l'epoca in cui l'attività produttrice
e i prodotti non servono a soddisfare i bisogni, ma ad alimentare il ciclo incessante
del lavoro che valorizza il capitale e del capitale che impiega il lavoro. La merce
e il lavoro, il denaro e la regolazione statale, La concorrenza e il mercato: dietro
le crisi finanziarie che si ripetono da oltre 20 anni, ogni volta più gravi, si
profila la crisi di tutte queste categorie. Che è sempre bene tenerlo a mente non
fanno parte ovunque della esistenza umana. Ma la fine del lavoro, del vendere, del
vendersi e del comprarlo, la fine del mercato e dello Stato - tutte categorie che
non sono in alcun modo naturali e che un giorno scompariranno, nello stesso modo
in cui esse hanno sostituito altre forme di vita sociale - è un processo di lunga
durata. La crisi attuale non ne è né l'inizio né la conclusione. bensì una importante
tappa.