La scritta “No a tutti
gli eserciti!” è comparsa questa notte sul basamento del monumento agli alpini
nell’area del giardino roccioso del parco del Valentino.
Il 26 gennaio è la
“Giornata nazionale dedicata alla memoria e al sacrificio degli alpini”.
Istituita nel maggio del 2022, sarà celebrata ogni anno “in ricordo
dell’eroismo dimostrato dal corpo d’armata nella battaglia di Nikolajewka del
26 gennaio 1943”, durante la seconda guerra mondiale. L’intenzione sin troppo
esplicita è celebrare l’avventura dell’ARMIR, il corpo di spedizione italiano
inviato in Russia da Mussolini per sostenere l’aggressione della Germania
nazista contro l’Unione sovietica.
Il 26 gennaio, un giorno
prima della giornata della memoria, in cui si ricorda lo sterminio di ebrei e
rom europei nei campi nazisti e le leggi razziali in Italia durante la
dittatura, si celebra la guerra voluta dal governo fascista e i valori
patriottici che la giustificarono.
Un vero revisionismo di
Stato.
Questa celebrazione, che
rimette al centro l’interesse nazionale e la retorica patriottica, come
elemento fondante del militarismo dei giorni nostri, produce un eccesso di
memoria ai danni della storia.
Il 26 gennaio del 1943,
le truppe italiane e tedesche avevano ormai perso la guerra sul fronte russo.
Gli alpini inviati nella ghiacciata pianura erano completamente circondati
dalle truppe sovietiche. La battaglia di Nikolajewka servì a garantire una via
di fuga ai soldati. Una fuga disastrosa, nel cuore dell’inverno russo, nella
quale morirono tantissimi poveracci inviati al fronte per il duce e per il re.
L’umana pietà per quei
proletari inviati al macello, sentimento condiviso da tanti nel nostro paese,
non può e non deve tradursi in esaltazione patriottica di una guerra di
invasione a fianco dei nazisti.
Oggi in quelle stesse
terre si combatte una guerra durissima tra gli imperialismi dei giorni nostri,
tra l’esercito ucraino, sostenuto attivamente dalla NATO, e il blocco russo. A
perdere, ancora una volta, sono i poveri che non hanno via di fuga, che patiscono
le bombe, l’occupazione militare, le violenze infinite che ogni guerra permette
e giustifica. La cornice è sempre la medesima, quella di opposti nazionalismi,
supposti scontri di civiltà, ma la partita vera è quella del controllo di
risorse e territori, per gli interessi di chi si arricchisce sulle vite degli
oppressi e degli sfruttati.
L’Italia a guida fascista
è in prima linea. In meno di un anno è aumentato di cinque volte il numero dei
militari italiani schierati in Europa orientale alle frontiere con Ucraina,
Russia e Bielorussia. Sui 7.000 effettivi impiegati attualmente in missioni
internazionali quasi 1.500 operano in ambito NATO nel “contenimento” delle
forze armate russe. A partire dal 2014 l’Alleanza atlantica ha dato vita ad
un’escalation bellica sul fianco est come mai era accaduto nella sua storia.
Nelle Repubbliche baltiche, in Polonia, Romania, Bulgaria e Ungheria, sono
state realizzate grandi installazioni terrestri, aeree e navali, sono state
trasferite le più avanzate tecnologie di guerra, sono state sperimentate le
strategie dei conflitti globali del XXI secolo con l’uso dei droni e delle armi
interamente automatizzate, cyber-spaziali e nucleari.
In Italia ci sono le basi
da cui partono i droni impiegati in missioni di spionaggio, da queste stesse
basi, se vi fosse un allargamento del conflitto, possono partire droni e
bombardieri armati con ordigni nucleari.
Il capo del Distretto
Aerospaziale del Piemonte è oggi ministro della Difesa. Un fascista legato a
filo doppio all’industria armiera italiana, pronta a realizzare a Torino la
Città dell’Aerospazio, nuovo polo di ricerca e progettazione di sempre più
sofisticati ordigni bellici, con il coinvolgimento diretto del Politecnico che
avrà un suo spazio all’interno della nuova città delle armi. Armi che già ora
sono impiegate nei conflitti di mezzo mondo.
Un coinvolgimento diretto
di truppe italiane nella guerra in Ucraina è possibile. Senza dimenticare le 40
missioni militari all’estero in cui sono impiegati militari italiani.
Gli alpini sono stati e
sono oggi in prima fila nelle guerre cui l’Italia ha partecipato in questi
anni. Sei mesi all’estero e sei mesi nel controllo militare delle città –
operazione “strade sicure” – o nei cantieri militarizzati della Valsusa.
Il cerchio si chiude. Una
battaglia fascista per celebrare la guerra di Mussolini e per rilanciare le
nuove avventure imperialiste dell’Italia.
Il 26 gennaio dovrebbe
essere un giorno di lutto. Lutto per i milioni di civili morti in quella guerra
che ha insanguinato l’Europa. Lutto perché, dalle ceneri del fascismo, un
governo che si ispira a quell’epoca riesuma la retorica patriottica, la guerra
di conquista, gli orrori del colonialismo.
Fermiamoli prima che sia troppo tardi.