Molti sono gli strumenti atti a
modificare la coscienza, ma uno dei più importanti, forse il più importante
di tutti, per antichità, per universalità, è il ricorso a piante o sostanze
psicoattive. Aldous Huxley scrisse che è molto improbabile che l’uomo possa
vivere senza paradisi artificiali, e questi paradisi artificiali sono da
sempre ricercati per tre motivi apparentemente molto diversi l’uno dagli
altri, ma che a ben guardare lo sono molto meno di quanto sembri. Un motivo
magico-religioso, cioè per trascendere i confini del quotidiano e mettersi in
contatto con una realtà che abitualmente sfugge alla coscienza ordinaria; un
motivo direi esperienziale, vale a dire di percorso individuale, di
conoscenza altra. Un motivo, infine, edonistico, ricreazionale. Cioè la
ricerca dello “sballo”. L’azione di queste sostanze è appunto lo stimolo
all’immaginario, al fantastico, al piacere, attraverso la stimolazione di
aree cerebrali percettive e cognitive. Nel cammino dell’uomo queste sostanze
sono state immediatamente utilizzate; “immediatamente” nel senso di “senza
mediazione” né scientifica né programmatica: non vi era bisogno di
particolari elaborazioni per accettarle, perché esse erano “cibo”, un
qualcosa da immettere nel corpo per vivere. E’ la cultura e i suoi stereotipi
che rendono legale e moralmente accettabile una droga sociale –l’alcool- e
inaccettabile un’altra -la cannabis- non certo le caratteristiche chimiche
dell’una o dell’altra. Soltanto partendo da una visione che integri biologia
e antropologia, farmacologia e psicologia potremo aprire un dibattito serio,
costruttivo e senza isterismi: abbandonando i discorsi vuoti e moralistici
potremo iniziarne uno completamente radicale, che da un lato coinvolga tutto
l’apparato sociale ed economico qual è quello nel quale giornalmente dobbiamo
vivere, e dall’altro tenga conto di nuove dimensioni di coscienza e di
piacere.
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