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martedì 17 dicembre 2013

Giuseppe Pinelli è stato assassinato



Tratto da Umanità Nova 2 ottobre 1971 
di Vincenzo Nardella

Il nuovo risvolto del così detto «caso Pinelli», ha avuto l’approvazione quasi incondizionata di larghi ceti della popolazione italiana. Grosso modo era proprio questo lo scopo al quale tendeva, con nuova mossa giudiziaria certa parte di magistratura.
Gli antefatti sono noti, ma vale la pena di rielencarli.
Il 27 dicembre 1969, Umanità Nova smentiva la versione ufficiale che voleva far credere al suicidio di Pinelli.
Nè polizia, nè magistratu­ra, si sono mai sognati di rispondere ad Uma­nità Nova.
Il 31 gennaio 1970, Lotta Continua pubblica­va la sua prima vignet­ta con Calabresi in ver­sione di assassino. Do­vevano passare otto me­si prima che Calabresi — visto di volta in vol­ta come uccisore di vec­chietti nei tram, di alle­natore di paracadutisti da lanciare dalle fine­stre, di precoce assassi­no di bambole nella sua lontana infanzia, — si rendesse conto che l’uni­ca strada che la legge borghese gli offrisse per rispondere agli attacchi dei periodici di sinistra, era purtroppo ricorrere all’aiuto della giustizia borghese. Anche se ne a­vesse avuto l’autorizzazione, erano infatti di­ventati decisamente trop­pi i compagni che ave­vano acquisito il diritto ad essere suicidati come Pinelli.
Il 29 febbraio 1970 nell’’aula della corte di as­sise di Milano nella qua­le si sta celebrando il processo contro il compa­gno di sinistra Pier Giorgio Bellocchio, viene cantata la «Ballata di Pinelli». La polizia servendosi dei suoi ar­chivi politici, identifica e denuncia ventisette com­pagni. Il processo si svolge per direttissima e la magistratura si vede costretta ad assolvere gli accusati dichiarando implicitamente, nella sua sentenza, che era per­messo e perfettamen­te legale dare dell’assas­sino a Calabresi, e ciò per evitare che in una causa contro i 27 compa­gni il Calabresi fosse co­stretto a salire sul banco degli accusati e correre il rischio di venire ufficialmente riconosciu­to, anche da un tribu­nale borghese, come lo assassino di Pinelli.
Il 4 aprile 1970, L’A­vanti avanza l’ipotesi che Pinelli sia stato ucciso da un colpo di karatè. Negli ambienti della ma­gistratura, della polizia, e dei vari ministeri in­teressati, regna il silen­zio più assoluto, silenzio che fino ad ora non ha mai subito una sola pausa.
Il 7 giugno 1971, la prima sezione penale della corte di appello di Milano, accetta la ricusazione del giudice Biotti richiesta dalla difesa di Calabresi. La ricusazione ottiene un unico scopo: evitare la riesumazione della salma di Giuseppe Pinelli ed affossare così ogni tenta­tivo di procedimento contro Calabresi.
Il 24 giugno 1971, Licia Pinelli presenta denuncia contro tutti i poliziotti mi­lanesi presenti nella famosa stanza al quarto piano della questura mi­lanese nella nottedal 15 al 16 dicembre. La de­nuncia è per « assassi­nio volontario».
Il procuratore genera­le della repubblica di Mi­lano, Bianchi d’Espinosa, infrangendo una prassi che risale ai tempi um­bertini, riceve di perso­na Licia Pinelli e la stampa borghese può lanciarsi nelle descrizio­ni sdolcinate del «buon giudice» il quale ascol­ta la sconsolata vedova. Sembra di assistere alle udienze che il vescovo di Roma o Saragat conce­dono ai terremotati della Valle del Belice promet­tendo loro dei miracoli che nessuno si è mai sognato di program­mare.
Ai primi di agosto Bianchi d’Espinosa va in ferie, ed il 24 agosto la procura generale della repubblica di Milano, no­tifica a Calabresi la pos­sibilità che contro di lui venga elevata l’accusa di omicidio colposo. In parole povere a Cala­bresi si fa colpa di aver permesso che Pinelli si suicidasse. Del pericolo che anche Allegra ven­ga incriminato, è meglio non parlarne. Allegra in­fatti, corre il rischio di venir incriminato per a­ver fermato illegalmente Pinelli.
Si è mai visto in Ita­lia un poliziotto che fer­ma illegalmente qual­cuno?
I carabinieri di Ber­gamo che avevano fer­mato illegalmente, e massacrato di botte non una, ma una ventina di persone, non hanno per­so un solo giorno di sti­pendio.
Allegra che è accusa­to di aver fermato ille­galmente una persona so­la, se dovesse venir ri­conosciuto colpevole, ver­rebbe certamente insigni­to di qualche onorificen­za repubblicana.
Negli ultimi giorni si è saputo anche, che la procura generale della repubblica di Milano a­vrebbe intenzione di rie­sumare la salma di Pi­nelli.
Le notizie al riguardo sono molto incerte.
Ai primi di agosto si trovava in ferie il procuratore generale, adesso è in ferie il suo sostituto, e prima che tutti abbiano goduto del loro meritato riposo, passerà ancora del tempo.
Sembra in ogni caso che la riesumazione si farà, ed è altrettanto da­to per scorato che a tale riesumazione potranno partecipare i periti di parte.
Tutto infatti è stato programmato in manie­ra perfetta. La stampa borghese deve essere messa nelle condizioni di poter strombazzare che anche le formalità sono state questa volta rispet­tate in tutto.
C’è una piccola cosa che in tutto questo affa­re non torna.
Quando il magistrato Caizzi decise di far eseguire 1′esame peritale della salma di Pinelli, egli
disse ai periti che era interessato a sapere unicamente «se le ferite riportate da Pinelli – nel famoso volo dalla finestra del quarto piani della questura milanese – potevano essere attribuite anche a suicidio».
Bianchi d’Espinosa, quando si è trovata la scomoda denuncia di Licia Pinelli fra le mani, poteva prendere tale de­nuncia e gettarla nel ce­stino della carta straccia.
Un tale eventuale mo­do di agire non rientra­va nei suoi doveri ma rientrava però nei suoi diritti.
Cestinando la denuncia di Licia Pinelli, Bianchi d’Espinosa si sarebbe pe­rò tirato addosso, immediatamente, gli attacchi di tutta la stampa della sinistra extra parlamen­tare italiana, e gli attacchi anche di certa stam­pa che ogni tanto scopre di trovarsi quasi a si­nistra.
Cestinare la denuncia presentata da Licia Pi­nelli, sarebbe stato il peggior modo per di­fendere Calabresi, Gui­da Allegra, e tutto il si­stema che a tali esseri permette di prosperare allegramente, e di fare anche carriera.
Cestinare la denuncia presentata da Licia Pinelli, sarebbe equivalso a dichiarare in modo sfacciato che certi assas­sini non si toccano, in nessun modo.
Non c’è nulla che in­segni che il sistema deb­ba, necessariamente, es­sere sfacciato.
Bianchi d’Espinosa ha ritenuto più utile, più proficuo, più saggio, ri­spolverare la prassi già seguita da Caizzi, ed ora si è messo a scoprire gli stessi testimoni già sco­perti da Amati. Poliziotti di ogni grado e estrazione, stanno facendo la coda negli uffici della procura generale di Milano per descrivere le varie fasi di mania suicida alla quale Pinelli andò improvvisamente soggetto.
Fra qualche mese, quando il quadro si sarà avvicinato di molto a quello magistralmen­te descritto da A­mati nella sua sentenza di archiviazione, verrà finalmente riesumato il corpo di Pinelli, ed ai periti verrà chiesto di specificare se le ferite riportate da Pinelli possono essere state causa­te anche da caduta per suicidio.
Dopo di che, con sod­disfazione di tutti, il ca­so Pinelli verrà definiti­vamente affossato.
Il tribunale che dovrà decidere nel processo Ca­labresi-Lotta Continua non permetterà più nessun’altra riesumazione.
Una terza perizia infat­ti, dopo l’illuminata sen­tenza della procura gene­rale della repubblica, andrebbe contro ogni buon senso.
Tutti avrebbero il dove­re di ritenersi soddisfat­ti.
Bisogna dare atto alla Procura generale della repubblica di Milano di non aver atteso che gior­nali ed agenzie di infor­mazione scioperassero per rendere di pubblico dominio le decisioni tan­to coraggiosamente pre­se. A tali meschini sot­terfugi erano ricorsi A­mati e Caizzi, non vi ha fatto ricorso Bianchi d’Espinosa.
Di una cosa però si stanno tutti lentamente e volutamente dimentican­do.
La denuncia che Licia Pinelli ha consegnato nelle mani di Bianchi d’Espinosa, è di assassinio volontario e non di assassinio colposo.
Come dobbiamo dirlo?
In quali forme dobbiamo spiegarlo?
In faccia a chi dobbiamo urlarlo?
Giuseppe Pinelli è stato assassinato.