Lo sviluppo
della teoria-pratica sovversiva necessita di una responsabilità mutuale di ogni
singolo soggetto e non dell’appartenenza ad una Organizzazione partitica anche
extra-istituzionale.
La liquidazione
dell’oggetto Organizzazione è un momento irrinunciabile per la creazione
dell’organizzazione reale: l’autogestione completa della lotta.
I metodi della
lotta devono essere valutati in base alle caratteristiche del nemico.
L’amministrazione
capitalista non può che concepire che un antagonista a sé speculare:
gerarchizzando l’eversività insorgente, cerca di recuperarla e riportarla a
parametri per lei comprensibili e gestibili.
I funzionari del
Capitale sono incapaci di reprimere un movimento reale che non prende ordini da
nessun altro che da se stesso, che si sviluppa in modo rizomatico, senza alcuna
direzione suprema, che sfugge al controllo in quanto rompe con la ritualità
dell’agire ideologico.
Uscire dalle
prigioni ideologiche significa lottare per la comunicazione reale, non mediata
in cui riconoscersi e riconoscere i propri desideri, le proprie capacità
creative (distruttive della ricreazione e della ripetitività), rompere il muro
di parole-immagini che incatena il corpo nella gabbia mistificatoria del
linguaggio stereotipato.
I sensi
risvegliati, l’intuizione, l’imprevedibilità uniti alla lucidità dell’analisi e
alla puntualità della critica sono gli ingredienti del cocktail esplosivo che
abbatte i muri che ci separano dalla libertà.
Ognuno faccia la
sua scelta: o auto-blindarsi nello spettacolo della propria sopravvivenza o
espandersi, riscoprendo la comunicazione, l’erotismo, il piacere
(l’autogestione complessiva e generalizzata).
Ad ognuno
ritrovarsi sul terreno dell’insofferenza e della progettualità comune, ad ognuno
praticare ciò che è irriducibile al dominio della società dello spettacolo
neomoderno: l’avventura appassionante della vita contro la follia inanimata del
Capitale.