Gli
anarchici, proprio in quanto tali, non possono che essere CONTRO LA GALERA, contro
ogni tipo di prigione istituzionalizzata. Detto in altri termini, l’istituzionalizzazione
di un luogo interno al sociale ma al contempo separato dallo stesso, è l’opposto
dei fondamenti medesimi dell’anarchismo, essendo l’anarchismo la negazione di ogni
autorità d’imperio dell’uomo sui suoi simili.
Tuttavia
l’anarchismo non è affatto garanzia che in ogni luogo ed in ogni tempo non vi siano
attriti fra individui o gruppi di individui, attriti di diversa natura e origine,
che scatenano anche momenti di conflitto che sfociano pure in guerre di supremazia
fra le fazioni, e che possono determinare fasi violente che varcano i limiti della
sfera interna ai contendenti, spaziando nell’intero corpo sociale fino a coinvolgere
questo in una instabilità tale da lacerarlo così tanto da decretarne la scomparsa
per autodistruzione.
Ciò
non è ipotesi fantasiosa, tanto è vero che pure ipotizzando il rivoluzionamento
dell’esistente secondo la tensione anarchica, e cioè ipotizzando la distruzione
rivoluzionaria del presente storico e l’avveramento di una società senza potere
centralizzato, tenendo nel dovuto conto le migliaia di anni in cui il dominio dello
Stato ha conformato le menti alla sua necessità di eternarsi – amalgamando le genti
ai suoi meccanismi di produzione e riproduzione – non è affatto impossibile che
come risposta a “sentite” o reali offese, o a pretese di imposizione di volontà
ed interessi alteri, ecc. si faccia ricorso anche nell’immediato domani, da parte
di individui o gruppi di individui, a mezzi, metodi e strumenti che si ritengono
utili ad evitare o risanare le offese, e ad evitare di essere sopraffatti dalla
volontà altrui. Escludere a priori il verificarsi di tale realtà è semplicemente
assurdo, almeno da parte degli anarchici e delle anarchiche.
E per
stare in tale possibile quadro, è anche doveroso riflettere su ogni altra occasione
in cui emerge, pure dalla ipotesi di un sociale deprivato di potere centralizzato
e di “norme universali”, la prepotenza, l’istinto più bestiale di uomini lacerati
da millenni di servitù e coartazione, la brutalità di individui su altri individui:
la violenza sui bambini, le atrocità sulle donne, la brutalità su indifesi o minorati,
e così via.
In
tutti questi casi, non possiamo eludere il problema accantonandolo semplicemente,
o facendo ricorso alla presunta spontanea emersione dell’animo buono e sostanzialmente
sociale delle persone.
Certo,
a ben valutare le cose, non è che con l’avvento della società “anarchica”, priva
di potere centralizzato e pertanto di istituzioni di qualsiasi tipo, il “compito”
– mi si passi il termine – degli anarchici e delle anarchiche scompare come per
incanto. L’anarchia, l’autodeterminazione dei singoli e della comunità non
è una conquista definitiva, data una volta per sempre dalla distruzione dello
Stato imperante (e del capitalismo nelle sue varie sfaccettature, col quale costituisce
il sistema vigente); è bensì un primo passo, pur fondamentale, ma ciò non
può concludere affatto la tensione anarchica, perenne, di rivalutazione quotidiana
dei rapporti sociali e delle dinamiche che attraversano il corpo collettivo,
affinché si soffochi nell’immediato ogni momento che si manifesta in funzione del
nuovo emergere di poteri d’imperio.
L’anarchismo
come tensione permanente, quindi, che vigila oggi come domani affinché non emergano
e non si cristallizzino in istituti (comportamentali più o meno diffusi)
e ancor meno in Istituzioni atteggiamenti e dinamiche che coartano, impediscono,
impongono volontà Altere a singoli o gruppi di persone.
Nel
caso di cui stiamo parlando, istituzioni coattive, manicomi, carceri et similia,
quindi, sono estranei all’anarchismo sia oggi, ove dominano essendo parti integranti
e pertanto irrinunciabili dello Stato-capitale, sia in ogni possibile futuro.
(continua)