Dopo la Seconda guerra mondiale, dopo la Shoah, assistemmo alla
nascita di un paese che, in nome della memoria, rivendicava il suo diritto a
tornare in una terra da cui ritiene di essere stato cacciato duemila anni fa, e
rivendicava il diritto a esercitare violenza contro la popolazione
arabo-palestinese.
Venne formulato allora il principio «una terra senza un popolo per
un popolo senza terra».
Ma si trattava di un principio falso, perché in quella terra un
popolo c'era. Tant'è vero che la nascita dello stato di Israele coincide con un
massacro di decine di migliaia di persone e con l’inizio di un processo di
persecuzione e deportazione che continua ancora oggi, 75 anni più tardi.
Fin dall'inizio lo stato di Israele contiene un principio
genocidario. Proprio perché si fonda sul presupposto falso che la terra
promessa da un dio altamente ipotetico fosse una terra senza popolo, da quel
momento in poi occorreva eliminare qualsiasi prova del fatto che quel popolo
esisteva.
Occorreva sterminare quel popolo che mostrava la falsità
dell'assunto prioritario della nascita dello stato di Israele.
Oggi, due o tre generazioni più tardi, i sionisti sono diventati il
reparto avanzato del razzismo nel mondo.
Intellettuali come Bernard Henry Levy o come Giuliano Ferrara
sbandierano il loro ebraismo come se questo desse loro diritto a qualsiasi
prepotenza. Eppure non sono affatto vittime, ma nipoti o pronipoti delle
vittime.
Del resto è risaputo che le vittime di solito preferiscono non
ricordare, mentre i pronipoti delle vittime ricordano continuamente a sé stessi
e a tutti gli altri che loro sono vittime e quindi sono assolti per principio
da qualsiasi crimine possano commettere.
Questi eredi delle vittime non vogliono la pace, vogliono solo diventare carnefici a loro volta, come se questo ristabilisse un equilibrio, una giustizia. Sono incapaci di dimenticare perché questo non gli conviene: perderebbero il loro privilegio.
L’identificazione con il carnefice è un processo psichico che si
conosce bene: ogni bambino maltrattato, abusato, tende a riprodurre i
comportamenti che lo hanno ferito, perché si sono inscritti indelebilmente
nella sua mente in formazione.
Allo stesso modo chi ha subito una violenza traumatica può essere
condotto (solo in alcuni casi, sia ben chiaro) a identificarsi con l’autore
della violenza, può desiderare quella forza, quel predominio.
Il sionismo non è soltanto la politica di autodifesa feroce di un
corpo collettivo che solo così ha saputo elaborare il trauma dell’Olocausto, ma
è anche la politica perversa di uno stato colonialista, di una popolazione di
coloni che approfittano della sofferenza subita nel passato dai loro antenati
per farne ragione di un privilegio e per finalmente godere del dolore infinito
a chi non può difendersi.
Gli eredi delle vittime portano via la terra ai proprietari
palestinesi, con violenza li espropriano dei loro scarsi averi. Cacciano dalle
loro case intere famiglie, coi loro scarponi abbattono le porte, coi calci dei
loro fucili colpiscono i contadini che difendono gli olivi che i coloni
vogliono estirpare.
Dopo Gaza è tempo di riconoscere che il tentativo di umanizzazione
della storia è fallito. È tempo di riconoscere che l’esperimento chiamato
civiltà è fallito.
Quel “mai più era provvisorio”, perché non si sono create le
condizioni per espellere la ferocia della sfera della civiltà umana.
La tragedia di Gaza ha un carattere definitivo e irrimediabile, la
vittoria militare dell’esercito e la complicità del popolo israeliano con il
genocidio scatenato dal governo Netanyahu segnano in maniera irreversibile la
regressione verso la cancellazione di ogni speranza di un futuro “umano”.
La lezione che Israele ci ha dato è questa: nella sfera storica le
vittime non sanno né possono chiedere pace né riparazione, ma soltanto cercare
vendetta. Ciò vuol dire che le vittime di oggi non potranno mai essere altro
che vittime, a meno che non riescano a trasformarsi in carnefici.
Dopo il genocidio israeliano, il diritto, l’universalismo e la
democrazia appaiono come illusioni che i predatori hanno usato per mantenere il
loro potere sulle prede. Ma ora queste illusioni si sono dissolte e appare la
faccia feroce del colonialismo di cui Israele è l’ultima manifestazione.