Di nuovo, è arrivata la repressione:
giovedì 12 novembre hanno arrestato, in Italia, quattro compagni e altri cinque
in Grecia, tutti accusati di aver partecipato al primo maggio milanese.
Arresti, denunce, indagini non sono estranei alla vita di chi lotta: attraverso
la polizia il governo cerca di controllarci, di limitare il nostro agire e,
attraverso provvedimenti esemplari, cerca di dissuadere chi, nella propria
vita, decide di non accettare lo stato di cose presenti.
Così, a Milano il primo maggio, venne
istituita una zona rossa per proteggere la passerella della borghesia e della
classe industriale e finanziaria italiana che si trovava alla Scala di Milano,
ma anche per proteggere quei simboli del potere e di Expo responsabili delle
politiche di impoverimento a cui siamo sottoposti. Venne così posta una scelta:
accettare di stare nel luogo preposto dalla polizia per l'espressione del dissenso,
oppure non accettarne i confini, senza alcuna mediazione. É la scelta di non
scivolare lungo quei confini predeterminati che, di nuovo, la repressione tenta
di combattere.
Per questo preferiamo parlare di contro
insurrezione, perché lo stato mira al governo e al controllo dei corpi, delle
menti e dei territori. Quando ci colpiscono lo fanno per evitare che si ripeta
e si riproduca all’infinito il conflitto, per mandare dei segnali a quegli
operai, insegnanti, studenti che domani davanti a una legge e a un attacco
politico decideranno di ribellarsi. In questo modo lo stato impone la propria
egemonia culturale e politica.
Uno dei limiti degli ultimi anni è stato
concentrarci al 100% sulla questione repressiva dimenticandoci di mettere in
pratica quel famoso slogan “Il migliore modo per combattere la
repressione è continuare la lotta”. Concentrando tutte le nostre forze
sulla burocrazia della giustizia e le questioni legali si rischia di perdere la
rotta, di fermare l’avanzamento delle nostre comunità e delle lotte che
portiamo avanti. Certo, garantire il mantenimento dei compagni arrestati,
raccogliere i soldi per questo e per la difesa legale, mantenere una buona
comunicazione con i compagni colpiti e i propri familiari è qualcosa di
fondamentale, ma ciò che permetterà a questi compagni di uscire, di far cadere
i castelli giudiziari e soprattutto di non raggiungere il proprio obiettivo ai
nostri nemici è continuare a lottare.
Su questa linea per quanto riguarda
Expo, crediamo che non sia finito, che Expo è un sistema di governo e
trasformazione dei territori, è il grande evento per mafie e speculatori. In
fin dei conti quello che contava era distribuire gli appalti tra gli amici,
rendere agli occhi del cittadino comune l’evento qualcosa da non perdere anche
se per entrare bisognava fare ore di fila e si rischiava di non vedere niente.
Durante i 6 mesi di Expo gli sgomberi
sono continuati, quattro scioperi sono stati precettati, ogni manifestazione a
Rho, sito della fiera universale, è stata repressa con forza, la cantilena
mediatica si è scagliata contro il movimento No Expo e giornali e tv non hanno
fatto altro che raccontarci e farci vedere un’immagine di Expo falsata.
Infine
sono arrivati gli arresti di Giovedì 12 novembre, guarda caso quando iniziava
ad uscire la notizia dei 400 milioni di euro di buco di bilancio di Expo,
guarda caso questa operazione repressiva era ferma da luglio. L’obiettivo dei
signori di Expo, della polizia e della magistratura è quello di mantenere la
pace sociale, soprattutto quando gli occhi del mondo sono puntati sulle nostre
città e aspettare il momento giusto per colpire. Questo per legittimare le loro
porcherie, il loro arricchimento, la devastazione dei territori e il saccheggio
delle nostre vite in nome del progresso.
In questa strategia che continua e che
ora si sposta a Roma, con il trasferimento del super poliziotto: il Prefetto
Tronca, vediamo la continuità del modello di sfruttamento e arricchimento che
si nascondeva dietro ad Expo e che ora agirà sulla piazza romana. Il Giubileo
della misericordia che chiude gli occhi davanti all’emergenza abitativa, ai
profughi che scappano dalle guerre create dall’occidente e che ora dopo
l’attentato di Parigi rischiano di essere ancora una volta le uniche vittime di
questa guerra che non ci appartiene e che ha due facce quella dell’Isis e
quella delle democrazie occidentali.
In mezzo i poveri , il mondo del basso
che subisce le politiche neoliberaliste . Lo sciacallaggio governativo sulla
pelle delle vittime di Parigi e la scusa della sicurezza del grande evento
cercheranno di limitare l’agire nella capitale attraverso misure eccezionali
create per l'occasione.
Per questo crediamo sia necessario da
una parte rafforzare le nostre comunità e le nostre lotte, continuare a
combattere questo modello di sfruttamento non dimenticandoci di costruire gli
anticorpi nel quotidiano guardando all’appuntamento romano anche come una sfida
per le lotte di ribaltare la rappresentazione mediatica del grande evento e
riprenderci quella agibilità che ci vogliono togliere smascherando e
combattendo la logica di sfruttamento e rapina dei grandi eventi.
Dall’altra parte è necessario cogliere i
segnali che arrivano dall’Europa, soprattutto dalla Grecia dove i percorsi e le
lotte dei compagni arrestati hanno permesso la loro liberazione e cercheranno
di impedire con ogni mezzo necessario la loro estradizione. Fuori dal “bel paese” le bottigliette di
succo di frutta e la carta igienica sono bottigliette di succo di frutta e
carta igienica e non molotov, la resistenza e la rivolta di piazza non sono
devastazione e saccheggio.
La nostra sfida è quella di impedire
l'estradizione dei compagni e attaccare definitivamente il reato di
devastazione e saccheggio tratto dal codice Rocco fascista.
Per questo,
raccogliamo l'appello dell'assemblea in solidarietà ai 5 studenti in lotta di
Atene e con loro lanciamo il 28 novembre una giornata di solidarietà diffusa
nei territori, contro l'estradizione dei compagni greci, contro l'accusa di
devastazione e saccheggio e per la libertà di tutti gli arrestati.