Il 7 giugno
1914, ad Ancona si svolgono dei disordini tra lavoratori anconetani
(principalmente portuari e ferrovieri appartenenti a sindacati autonomi di
indirizzo socialista ed anarchico) e forze dell'ordine, schierate per difendere
la parata militare celebrativa dello Statuto Albertino.
Ancona è
all'epoca una città che ha già avuto numerose esperienze di rivolte e
sollevamenti popolari: dai moti del pane del 1898 agli scioperi del 1913. In
quel periodo inoltre si assisteva alla creazione di un fronte comune di diversi
movimenti e sindacati, uniti dall'antimilitarismo. L'opposizione alle politiche
di guerra non era una lotta puramente ideologica. La missione in Libia
impegnava moltissimi lavoratori, che venivano chiamati alle armi e, dopo aver
abbandonato tutto, subivano una formazione militare che significava
semplicemente disciplinamento e repressione, in un momento in cui una profonda
crisi economica attraversa il paese, costringendo la popolazione ad emigrare.
Emblematiche sono le vicende di Augusto Masetti, che spara al proprio tenente
al momento di partire per la Libia, e Antonio Moroni, militante socialista
inviato in una compagnia di disciplina a causa della sua attività politica.
Il 7 giugno 1914
si celebra con una parata per le vie del centro l'anniversario dello Statuto
Albertino; come in tutte le città d'Italia, è prevista una manifestazione
contraria ai festeggiamenti, alla corona e all'esercito, per richiedere
l'abolizione delle compagnie di disciplina, la liberazione di Masetti e Moroni.
Lo scopo è quello di impedire la sfilata militare. Visto il divieto di
manifestare, l'appuntamento per l'azione è fissato a Villa Rossa (sede del
partito Repubblicano, di indirizzo mazziniano). Dopo un comizio che infiamma il
pubblico, i manifestanti escono da Villa Rossa e subito incontrano lo
spiegamento delle forze dell'ordine, che impedivano l'ingresso alle vie del
centro. Al tentativo di forzare il blocco, i carabinieri rispondono aprendo il
fuoco e uccidendo Nello Budini di 24 anni, Attilio Giambrignani di 22 e Antonio
Casaccia di 17.
Inizia quindi
uno sciopero selvaggio ad oltranza, continuano gli scontri con le forze
dell'ordine. Vengono assaltate le armerie, i lavoratori portuali e ferroviari
bloccano porto e stazione, rallentando l'arrivo di ulteriori militari chiamati
come rinforzo, i palazzi pubblici vengono presi dai manifestanti: gli scontri si
trasformano in battaglia.
Ha inizio quella
che passerà alla storia come la settimana rossa di Ancona.
Nei giorni
successivi lo sciopero si espande a macchia d'olio in tutta Italia, si hanno
violentissimi scontri nella Romagna, a Milano, Torino, Bologna, Firenze,
Napoli, Palermo e Roma.
Intere zone
della penisola sfuggono al controllo dello stato, i comitati rivoluzionari
cercano di riorganizzare la vita nelle città in loro possesso. L'impronta
fortemente antimonarchica e antimilitarista delle rivolte sembrano mettere il
paese sull'orlo della guerra civile. L'intervento dell'esercito arriva, però,
con una forza dirompente: il 10 i militari riescono a sbarcare ad Ancona.
Importante ricordare anche il ruolo che ebbe CGdL (Confederazione Generale del
Lavoro) che, dopo aver inizialmente appoggiato lo sciopero, lo revocò e invitò
i lavoratori a riportare l'ordine.
Il 14 giugno,
dopo ben 16 morti tra i rivoltosi, la situazione torna definitivamente sotto il
controllo dell'esercito. La settimana rossa resterà però un'esperienza
rivoluzionaria importante, che fungerà da base per il biennio rosso e
storicamente utile per avere uno spaccato di una Italia infuocata dal conflitto
sociale, prossima alla prima Guerra Mondiale.