Il mio ragionamento sulla libertà non può che essere diverso da
quello condiviso dalla folla. Quando si dice retoricamente che 'la libertà
finisce dove comincia quella degli altri' non posso che provare un senso di
disgusto, ma anche di vergogna, perché constato il modo in cui la folla sorvola
volutamente sull'analisi reale di questa frase. Gli basta la retorica, la bella
scorza, soprattutto gli basta sapere di non mettere a repentaglio la sua
condizione di schiavo per applaudire a quella frase e sentirsi nel giusto.
Eppure è sulla base di quella frase che, in questa società, ci si
scanna e non si ha più libertà da secoli e secoli. È sulla base di quella frase
che i governi muovono gli eserciti e impongono coercizioni ai popoli, alle
singole persone. Quando si stabilisce un limite, un confine, un divieto anche e
soprattutto alla libertà, è sempre un atto criminale, dittatoriale, l'inizio di
una catena autoritaria di eventi. Se la mia libertà finisce dove comincia la
tua, dovremmo dunque stabilire chi dovrebbe (e soprattutto perché dovrebbe)
arrogarsi il diritto di stabilire qual è la tua libertà, e qual è la mia. Lo
stabilisce la nostra rispettiva forza brutale muscolare? Il nostro rispettivo
esercito? O il suo surrogato burocratico, cioè una struttura istituzionale che
legifera e impone divieti a vantaggio di qualcuno e a discapito di qualcun
altro? Lo stabilisce una morale sedicente divina che mi esorta a porgere l'altra
guancia e a fare voto di povertà affinché qualcun altro si giovi delle
ricchezze che produco? In ogni caso, come si può notare, non è più libertà, ma
coercizione di governo, dittatura, sfruttamento! E se ci facciamo caso, tutta
la nostra società è fondata su quella pretestuosa frase, che si concretizza
ogni giorno e in ogni luogo. Se tutti dicono di ricercare la libertà pensando
di riuscirci poiché affidano a quella frase tutte le speranze, sappiano che la
schiavitù di cui sono vittime
si basa proprio sulla limitazione della libertà del popolo per
salvaguardare quella del Capitale e dell'élite al governo.
Io invece intendo la libertà come la intendeva Bakunin, infatti
potrò dire di essere veramente libero soltanto quando anche tutti gli altri lo
saranno. Questa è per me la libertà, ed è di questa libertà che lo schiavo ha
un'enorme e stupida paura. Paura di che? Di morire e di soffrire? Sì! Ma allora
questo schiavo non dovrebbe proprio obbedire ai padroni che lo mandano al
macello! Non dovrebbe soprattutto crearne di padroni! Tre morti al giorno sul
lavoro non bastano? E le guerre? E i genocidi? E le torture? E i suicidi
indotti? E le stragi di Stato? Tutto questo non fa paura allo schiavo?
Pare di no, allo schiavo fa invece paura, anzi terrore, la gioia della
libertà, una vita vera e totale vissuta pienamente. Paradosso? Certo. Lo
schiavo preferisce morire tutte le volte che il suo padrone alza il dito
piuttosto che imparare di nuovo a camminare autonomamente sulla strada della
libertà insieme agli altri e autogestirsi la vita. Lo schiavo è troppo abituato
ai confini imposti dall'alto, ai divieti, ai limiti, agli ordini, alle gabbie.
La scuola (e tutta la società scolarizzata) lo educa a considerare normale e
giusto tutto questo. Un universo aperto gli fa paura più della morte certa per
mano del padrone. La mia libertà, dunque, non finisce affatto dove comincia la
tua. Sulla mia libertà nessuno può arrogarsi il diritto di tracciare un
confine, altrimenti non è più libertà, è dittatura, cominciamo a capire questo
concetto elementare. E al bando la retorica e la morale dello schiavo, come di
seguito!
Infatti lo so che cosa direbbe adesso lo schiavo comune. Direbbe che
ci deve per forza essere qualcuno a regolamentare, a legiferare, a fare
lo sbirro e il giudice. Se soltanto imparasse, questo schiavo, che quel qualcuno
altri non è che un essere umano come me, e che se quel qualcuno
esterno a me può, secondo lui, avere voce in capitolo sulla mia vita, sul mio
pensiero e sulle mie azioni, perché dunque io, che sono parimenti un essere
umano, e conosco meglio di chiunque altro le mie esigenze, non posso averla
quella voce in capitolo? Si ponga questa domanda, lo schiavo! Ma lo schiavo è
tale perché non ragiona, lo schiavo esegue solo ordini, ed è obbedendo al
padrone e alla sua legge scritta che lo schiavo si dichiara per quello che è:
un essere autoritario e asservito che ha bisogno di un governo, di qualcun
altro che dall'esterno gli dica cosa fare, cosa pensare, quando farlo, e tutto
il resto.