Dal 9 ottobre, dopo aver ricevuto il via libera dal presidente
statunitense Trump, lo Stato turco ha dato il via all’invasione del Rojava e
intrapreso una nuova guerra contro la Federazione della Siria del Nord con
bombardamenti indiscriminati e con l’attacco di forze di terra.
Per il governo turco è necessario annientare un pericoloso esempio
di resistenza e di sperimentazione di libertà nella regione, basato su comunità
che hanno deciso di abbracciare una rivoluzione confederale, femminista ed
ecologista.
Bombardamenti di città, ospedali, acquedotti uccidono, mutilano,
obbligano alla fuga centinaia di migliaia di persone. In quest’area ci sono
città e villaggi cruciali per la sperimentazione sociale in atto nella regione.
In questa zona sorge anche Kobanê, che fu liberata dall’assedio dello stato
islamico nel gennaio 2015 grazie alla resistenza della popolazione, delle
milizie YPG e YPJ, e alla solidarietà internazionale.
Una nuova guerra di espansione serve a Erdoğan, il presidente turco,
per mantenere un consenso che mostra le prime vistose crepe. Come due anni fa
durante l’invasione di Afrin, tutti i partiti parlamentari tranne l’HDP si
schierano a sostegno dell’esercito turco e della nuova campagna militare.
Questo permette a Erdoğan e al blocco di potere dell’AKP di ottenere anche il
sostegno del principale partito di opposizione, il CHP, creando un blocco
patriottico. L’attacco dell’esercito turco e delle milizie jihadiste ha spinto
i vertici federali del Rojava a stringere un accordo con il governo di Damasco,
ugualmente pericoloso per il confederalismo democratico.
Solo una forte movimento di solidarietà internazionale può sostenere
la resistenza, un movimento antimilitarista e antiautoritario può fermare
l’offensiva dello stato turco e fermare la guerra. Chiare sono le
responsabilità delle potenze che hanno usato la Siria come un campo di
battaglia per i loro interessi imperiali dagli: Stati Uniti di Trump alla
Russia di Putin, dal regime autoritario di Assad all’ipocrisia dell’Unione
Europea. Non ultimo lo stato italiano che che nonostante le dichiarazioni del
governo di questi giorni sostiene apertamente la politica militare di Ankara.
L’Italia e la Turchia sono entrambe nella NATO, e solo nel 2018 l’Italia ha
venduto armi alla Turchia per un valore complessivo di 362,3 milioni di euro.
Negli ultimi tre anni le esportazioni hanno reso all’industria
bellica italiana 890 milioni di euro. Si tratta di armi e sistemi d’arma:
elicotteri da guerra, razzi, missili e software per la direzione del tiro,
pistole, fucili e munizioni. Quest’anno, secondo i dati Istat le consegne effettive
della categoria “armi e munizioni” hanno raggiunto un valore record. Cifra mai
raggiunta (124 milioni di euro) anche per “aeromobili, veicoli spaziali e
relativi dispositivi”.
Un buon business un business mortale.
Non solo. L’Italia mantiene una missione militare a supporto
dell’esercito turco, proprio al confine tra Siria e Turchia con circa 130
soldati e una batteria antimissile.
Il 26 e 27 novembre 2019 si tiene a Torino “Aerospace & defence
meeting”, mostra mercato internazionale dell’industria aerospaziale di guerra.
La convention, giunta alla sua settima edizione, ha quest’anno un
focus sull’innovazione produttiva, la trasformazione digitale per l’industria
aerospaziale 4.0.
Un’occasione per valorizzare le eccellenze del made in Italy nel
settore armiero, in testa il colosso Leonardo, con un focus sulle aziende
piemontesi leader nel settore: Thales Alenia Space, Avio Aero, UTC Aerospace
Systems.
Nelle foto dei meeting passati si vedono alveari di uffici, dove
persone eleganti vendono e comprano i giocattoli, che distruggono intere città,
massacrano civili, avvelenano terre e fiumi. Giocattoli di guerra. Guerre
combattute con armi costruite a due passi dalle nostre case.
Torino è uno dei principali centri dell’industria aerospaziale
bellica.
L’Aerospace and defence meeting è un evento semi clandestino,
chiuso, dove si giocano partite mortali per milioni di persone in ogni dove.
Possiamo gettare un granello di sabbia per incepparne il meccanismo, per
impedire che il business di morte celebri i suoi riti nell’indifferenza dei
più.
Fermare i massacri in Rojava e l’invasione dipende anche da noi. Le
fabbriche d’armi sono nelle nostre città, a due passi dalle nostre case. La
rivolta morale non basta a fermare la guerra, se non sa farsi resistenza
concreta.
Sempre a fianco di chi lotta e resiste ai bombardamenti, agli incendi, alle torture dell’esercito turco
e delle milizie dello Stato Islamico.
Solidarietà alla resistenza in Rojava, solidarietà a coloro che
hanno combattuto e combattono il fanatismo religioso e tutte le forme di
autoritarismo!
Sempre con chi lotta per la libertà e l’uguaglianza, contro tutti
gli stati