Noi non vogliamo più una scuola
in cui s’impara a sopravvivere disimparando a vivere. La maggior parte degli uomini
non sono stati altro che animali spiritualizzati, capaci di promuovere una tecnologia
al servizio dei loro interessi predatori ma incapaci di affinare umanamente la vita
e raggiungere così la propria specificità di uomo, di donna, di fanciullo. Al termine
di una corsa frenetica verso il profitto, i topi in tuta e in giacca e cravatta
scoprono che non resta più che una misera porzione del formaggio terrestre che hanno
rosicchiato da ogni lato. Dovranno progredire nel deperimento, o operare una mutazione
che li renderà umani.
E’ tempo che il memento vivere
prenda il posto del memento mori che bollava le conoscenze sotto il pretesto che
niente è mai acquisito.
Ci siamo lasciati troppo a
lungo persuadere che non c’era da attendere altro dalla sorte comune che la decadenza
e la morte. É una visione da vegliardi prematuri, da golden boys caduti in senilità
precoce perché hanno preferito il denaro all’infanzia. Che questi fantasmi di un
presente coniugato al passato cessino di occultare la volontà di vivere che cerca
in ciascuno di noi la via della sua sovranità!
Per spezzare l’oppressione,
la miseria, lo sfruttamento, non basta più una sovversione avvelenata dai valori
morti che essa combatte. É venuta l’ora di scommettere sulla passione incomprimibile
di ciò che è vivo, dell’amore, della conoscenza, dell’avventura che chiunque abbia
deciso di crearsi secondo la sua “linea di cuore” inaugura ad ogni istante.
La società nuova comincia
dove comincia l’apprendistato di una vita onnipresente. Una vita da percepire e
da comprendere nel minerale, nel vegetale, nell’animale, regni da cui l’uomo deriva
e che porta in sé con tanta incoscienza e disprezzo. Ma anche una vita fondata sulla
creatività, non sul lavoro; sull’autenticità, non sull’apparire; sull’esuberanza
dei desideri, non sui meccanismi di rimozione e di sfogo. Una vita spogliata della
paura, dell’obbligo, del senso di colpa, dello scambio, della dipendenza.
Perché essa coniuga inseparabilmente
la coscienza e il godimento di sé e del mondo.