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giovedì 2 aprile 2015

4 aprile 1860: la rivolta della Gancia

La Sicilia è sempre stata una terra di rivolte e rivoluzioni. Alcune sono diventate famose, come la rivolta popolare iniziata il 31 marzo 1282 e battezzata “Vespri siciliani”; altre sono meno famose, come quella del 1848 (il primo moto rivoluzionario dello storico 1848 ebbe luogo a Palermo il 12 gennaio); altre sono del tutto sconosciute (nei libri di scuola non vengono per niente menzionate), come le rivolte siciliane del 1647, i moti del 1820, del 1856 e del 1860.
Il 4 aprile del 1860, a Palermo, scoppiò la cosi detta “Rivolta della Gancia”. La città non si era rassegnata all’esito infelice della rivoluzione del 1848 e già subito dopo la riconquista da parte dei Borbone, aveva ripreso e continuato a cospirare. Fin dai primi mesi di quell’anno, i palermitani si preparavano all'azione. Esisteva in quel periodo il Comitato Segreto Rivoluzionario, dove si erano formate due correnti: da una parte i popolani rappresentanti la minoranza, dall’altra i borghesi e i nobili, la cosiddetta ala moderata, ovvero la maggioranza. I primi avevano assunto subito una posizione interventista, ed erano fautori di un’immediata azione armata; i secondi si dichiaravano attendisti e si opponevano al ricorso alle armi. Si aspettava, comunque, solo il gesto che ufficialmente ne segnasse l'esordio; almeno, questa era la convinzione del palermitano Francesco Riso, operaio specializzato alla manutenzione e sorveglianza delle condotte e delle reti di distribuzione dell’acqua potabile, che si ritrovava ad agire contro il diverso parere dell’ala moderata del Comitato.
Questa guardava con sospetto Riso per almeno due motivi: per le sue idee politiche e per l'estrazione sociale, perché anche se benestante era solo un fontaniere. E in Sicilia l'iniziativa era - ancora e sempre - saldamente nelle mani di nobili liberaleggianti, che cercavano la rivoluzione politica ma temevano quella sociale.
Francesco Riso aveva reclutato operai e artigiani; questa connotazione popolare del movimento insospettì la parte moderata e borghese del Comitato, che temeva di perdere il ruolo di classe guida della rivoluzione. Inutilmente il fontaniere si affannava ad insistere sulle buone possibilità di riuscita del moto, perché era proprio il suo eventuale successo a preoccupare il Comitato. Borghesi e nobili non avevano la sicurezza che sarebbe scoppiato il tipo giusto di rivoluzione: avevano paura che l’organizzazione popolare del moto potesse stravolgere l’ispirazione politica dell’insurrezione.
Così Francesco Riso agì da solo. Affittò un magazzino vicino casa, proprio accanto al convento della Gancia dove nascose fucili e munizioni; un altro magazzino lo affittò alla Magione, un altro vicino alla Zecca. Organizzò quindi l'insurrezione. In tutto poté disporre di 83 uomini che suddivide in tre gruppi, erano operai e artigiani che all'alba del 4 aprile devono fare scoppiare la rivoluzione.
Ma un confidente della polizia aveva fatto il suo lavoro, e i congiurati trovarono le pattuglie borboniche ad attenderli vicino il convento della Gancia. Lo scontro a fuoco fu rapido, nella luce incerta dell'alba Riso si accorse che i suoi uomini erano circondati e si rifugiò dentro la Gancia. I soldati abbatterono la porta, penetrarono nel convento soffocando così sul nascere l'insurrezione. I combattimenti continuarono nelle sale che oggi ospitano l' Archivio di Stato. Riso si rifugiò sul campanile, chiamò aiuto suonando la campana a martello. Ma nessuno si mosse, rapidamente il tentativo di rivolta fallì. Francesco Riso fu ferito, il sole non era ancora alto quando venne catturato assieme a quattordici dei suoi uomini; tra i rivoltosi si contarono 20 vittime.
Per scoraggiare nuove sollevazioni, la polizia borbonica il 14 aprile fucilò tredici uomini, senza effettuare alcun processo. Francesco Riso, morì in ospedale il primo maggio successivo.
Quella del 4 aprile 1860 fu una rivolta di carattere popolare e antiborghese, organizzata e decisa da un gruppo di artigiani e popolani, che si infranse nella realtà del moderatismo dei ceti sociali dominanti. La nobiltà e la borghesia, infatti, in seguito sostennero il programma di unificazione nazionale, avvenuto un mese dopo con lo sbarco dei Mille, non per dovere rivoluzionario o patriottico, ma per calcolo sottile: il miglior modo di sopravvivere al crollo del Regno delle Due Sicilie, conservando i vecchi privilegi e l’antico potere, era quello di modificare le forme senza cambiare la sostanza.
Sta di fatto che ancora una volta Palermo, come già nel 1848 e tante altre volte, aveva dato il segnale a tutta la Sicilia, anche se la rivolta venne spenta prima ancora che i suoi abitanti se ne accorgessero. Lo squillo della Gancia, nervoso e strozzato, testimoniò come al di là del tragico fallimento, il credito morale e politico della città fosse notevole e risolutivo. Con la rivolta del 4 aprile il fuoco, che covava sotto le ceneri delle insurrezioni tentate e fallite fino allora, divampò, spianando la strada ai futuri eventi storici.