È molto
difficile parlare della scuola, è come parlare di qualcosa che ti è sopra e che
ti tiene anche se tu capisci che non è bello, e vorresti fuggire; è come
accusare qualcosa che sai essere sbagliata e vecchia e cattiva perché spesso ti
fa male, ma non riesci a spiegare il motivo di questa situazione, perché ormai
sei nel cerchio, assuefatto, rincretinito, e senti che non è giusto vivere la
scuola e tutto ciò che essa comporta nel modo in cui sei costretto a viverli,
ma ormai è tardi per potere capire e fare capire quello che soffri: la tua
mente ormai è evaporata tra le sermoniche blaterature di vecchi
libri-professori troppo disumanizzati per ascoltare te uomo e che ridono
da-grandi-sempre-esatti-con-esperienze-piene-dei-miei-sputi; quando vedono la
tua disperazione di vivere, il tuo mondo che non è solo scuola e
libri-di-merda-di-sempre ma vita-di-uomo per non morire nelle parole studiate
di libri lontano da me.
Ogni mattina mi
alzo presto per andare a scuola; ogni mattina passi scontenti, ogni mattina una
grande pena per le quattro o cinque ore che devo sopportare, ma questo solo
quando ero ancora deluso nelle mie giovani speranze della scuola, quando erano
illusioni di scuole di vita, di cose e persone interessanti, di professori che
ti vedono persona e non registratore pappagallesco di parole imparate in forme
mnemoniche per il numero (voto) dell’ingresso in società, questo ora non più.
Ora solo
l’indifferenza della giornaliera monotonia, ora la rabbia di sopportare questa
ineducazione alla vera vita, questo insegnamento che ti fa bravo uomo di merda
per cui il professore ha sempre ragione oppure bravo alunno che vede solo rosa
e Gesù Cristo che ha salvato il mondo. E non puoi ribellarti contro il
professore che ti chiama cretino-stupido-ignorante-cafone, perché gli anni
saltano e sei sempre bastonato nei tuoi urli di disperazione. Devi sempre solo
tacere o blaterare almeno da sei (6= sufficiente … per vivere?!!!) e devi far
presto per fuggire quando “il periodo di preparazione alla vita della società”
è finito, ma ormai sei cretino perché ti hanno vinto e tu non sai più se sei tu
o Cicerone o Napoleone o Alessandro Manzoni e radice quadrata di
buon-uomo-con-la-vita-onesta-assicurata (leccando i piedi sporchi del raccomandatore
con bustarella). E non ditemi per questo “perché ci vai?” perché non voglio
agonizzare con 70.000 lire al mese con moglie e figli risparmio per il
televisore-casa-frigorifero, e non voglio diventare l’acciaio di catene di
montaggio (tic-tac per giorni-anni-vite) e la sola speranza (leggi: illusione)
di (non) vivere in modo poco migliore(?) (differenza =illusione) è diventato
bravo scolaro, studioso, disciplinato (bla bla bla) e prendere il biglietto di
ingresso al mondo dei grandi (la vispa Teresa …) (biglietto = diploma, licenza,
calcio nel sedere) o meglio prendere pezzo di carta più utile per funzioni più
igieniche se non fosse la vita lavoro- soldi-vecchiaia e morte (onorata se son
dottore, banale se sono operaio).
Per questo vado
a scuola, per prendere i segni sufficienti della mia insufficiente vita.
(Tratto
da Mondo Beat numero 1, 1 marzo 1967)