..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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martedì 14 luglio 2020

BABEUF Gracchus François-Noël


Nacque a S. Quintino il 23 novembre 1760. Di umile condizione e di pochi studi, fu dapprima modesto impiegato, a Noyon, e poi, dal 1785 a Roye Commissaire à terrier. Subito dopo si trasferì a Parigi, visse poveramente di espedienti. Nel 1792, venuto in qualche rinomanza negli ambienti rivoluzionari, più per il suo giornale Le Tribun du Peuple,in cui si firmava Gracchus, che per il Cadastre, fu da prima membro del consiglio generale del dipartimento della Somme e poi amministratore del distretto di Montdidier. Ma quest'ultimo ufficio gli fu fatale, perché egli avrebbe sostituito un nome ad un altro nel procedere alla vendita di alcuni beni nazionali. L'accusa, quantunque oscura e mal documentata, fu così formidabile che il Babeuf fu condannato, il 23 agosto 1793, a 20 anni di ferri, in contumacia. Da allora, la storia della sua breve vita si confonde con quella delle sue dottrine rivoluzionarie.
In un libro pubblicato nel 1791, Du système de dépopulation, il Babeuf aveva attaccato Robespierre; poi, nel n. 33 del suo giornale, e più gagliardamente nel n. 35, espose e illustrò a lungo un programma comunista. Forse, senza la reazione termidoriana, le idee del Babeuf non sarebbero uscite dall'indeterminatezza propria di tutte le idee rivoluzionarie che fermentarono nell'età sua; ma dopo Termidoro, il Babeuf insorse perché i frutti della rivoluzione fossero conservati. "Poiché lo scopo della società è di raggiungere la felicità comune", bisogna impedire che tale felicità sia turbata, e bisogna che quelli i quali hanno spogliato i poveri siano costretti a dividere con i poveri il frutto delle spoliazioni. Bisogna inoltre che vi siano istituzioni capaci di "assicurare e mantenere inalterata l'eguaglianza di fatto" e di sostituire alla massima ipocrita: "rispetto alla proprietà", l'altra: "rispetto alle proprietà rispettabili". L'eredità, dunque, è ingiusta; tutte le forme di lavoro debbono essere egualmente rimunerate; tutte le terre debbono essere in comune e i prodotti del lavoro di tutti a disposizione di tutti. La rivoluzione francese "non è che l'avanguardia di una ben più grande rivoluzione, l'ultima delle rivoluzioni. Periscano, se necessario, tutte le arti, ma resti l'eguaglianza... Se sulla terra vi sarà un solo uomo più ricco degli altri, l'equilibrio sarà rotto e l'infelicità rispunterà certamente". In sostanza, una eguaglianza relativa è difficile a mantenere, mentre è facile mantenere l'eguaglianza assoluta, a conseguir la quale anche la guerra civile è giustificata. A questi principi fu ispirato il Manifesto degli Eguali, scritto da Sylvain Maréchal (l'autore del Dictionnaire des Athées) nel 1796, specie di statuto della setta comunista che faceva capo al Babeuf. E questi principi furono ribaditi durante il processo che seguì alla scoperta della cospirazione (dovuta a un delatore, certo Grisel) e all'arresto del Babeuf e dei suoi complici (maggio 1797). L'accusatore nazionale Viellart non aveva dunque, torto a dipingere il Babeuf come rivoluzionario autentico; condannato a morte, Babeuf s'inferse un colpo di pugnale al momento dell'esecuzione, il 27 maggio 1797.
"La proprietà è la sorgente più importante di tutti i mali che pesano sulla società ... Il sole brilla su tutti, e la terra non è di nessuno. Orsù, dunque amici miei, turbate, sconvolgete, buttate all'aria, questa società che non è per voi. Prendete, dove che sia, tutto ciò che vi abbisogna. Il superfluo appartiene di diritto a chi non possiede nulla".
"Sgozzate senza pietà i tiranni, i patrizi, il milione dorato, tutti gli esseri immorali che dovessero opporsi alla nostra felicità comune!"
"La Repubblica degli Eguali, il grande asilo aperto a tutti gli esseri umani. Sono giunti i giorni della restituzione generale. Famiglie gementi, venite a sedervi alla tavola comune eretta dalla natura per tutti i suoi figli."