La rivoluzione spagnola trascende i suoi confini spazio-temporali
perché si pone come quell’esperienza che ha riassunto e concretizzato tutti i maggiori
problemi, teorici e ideologici, tattici e strategici, maturati dal movimento operaio
e socialista fin dalla Prima Internazionale: il rapporto tra avanguardia rivoluzionaria
e masse popolari, fra movimento specifico e organizzazione sindacale, le alleanze
militari e politiche fra forze autoritarie e libertarie, le implicazioni e la verifica
della reale portata dell’internazionalismo, la dimensione creativa e pluralistica
dell’autogestione sono tutte questioni infatti che si trovano per intero nel particolare
avvenimento iberico e che come tali gli conferiscono una valenza interpretativa
generale. Essa rende evidente questa valenza «transitoria» che rappresenta, in una
dimensione tragica e titanica, l’universalità dei problemi rivoluzionari di ogni
ordine e grado. In modo particolare è possibile rilevare il problematico intreccio
fra gli elementi ideologici propri all’anarchismo e quelli specifici della sua versione
spagnola perché questa, esprimendosi a livello di massa, mette in luce una situazione
del tutto nuova e complessa. Contemporaneamente allo sviluppo quantitativo dell’anarchismo
(diffusione ed estensione della CNT-FAI, aumento vertiginoso dei suoi aderenti),
assistiamo paradossalmente ad un immiserimento qualitativo dei suoi caratteri peculiari,
delle sue tendenze e delle sue aspirazioni ideologiche. In altri termini, mano a
mano che le organizzazioni anarchiche crescono e si estendono durante il periodo
rivoluzionario, si restringono –quasi proporzionalmente – i valori etici e scientifici
del patrimonio ideologico libertario. Questo progressivo abbandono degli insegnamenti
teorici pone in risalto la specificità storica dell’esperienza spagnola, che si
evidenzia, appunto, in questa contraddittorietà: da un lato la diffusione e l’estensione
quantitativa delle organizzazioni storiche, dall’altro la riduzione qualitativa
del sapere e dei valori rivoluzionari.
La partecipazione al governo o la resa di fronte alle manovre controrivoluzionarie dei comunisti nelle giornate di maggio del ’37 a Barcellona non rappresentano che gli esempi più clamorosi, perché più noti, di tale incongruenza che di fatto si risolve nella generale condotta suicida delle organizzazioni CNT-FAI rispetto alle possibilità operative aperte dalla forza storica del movimento anarchico iberico. Questo venir meno dei presupposti ideologici è dovuto all’accettazione della falsa dicotomia strategica fra guerra e rivoluzione, fra fronte popolare e autonomia libertaria, fra antifascismo e antiautoritarismo. L’aver praticato progressivamente tutti i primi termini di questo dilemma (guerra, fronte popolare, antifascismo) a scapito dei secondi (rivoluzione, autonomia libertaria, antiautoritarismo), l’aver accettato l’immediata realtà storica e non aver invece esplorato la realtà possibile del progetto anarchico ha portato l’anarchismo spagnolo alla contraddizione di se stesso. Va detto però che contemporaneamente a tale incongruenza l’anarchismo esprime anche una diversa realtà. A riaffermare infatti i suoi principi rimangono le migliaia di anonimi militanti che, al fronte come nelle collettività, tentano di creare, fra enormi difficoltà tecniche e materiali, fra il sistematico sabotaggio dei controrivoluzionari comunisti, l’attacco nazi-fascista e il tradimento della sinistra legalitaria – tutte forze obiettivamente confluenti – la più grande realizzazione politica e sociale del riscatto umano. In tutti i casi, la contrapposizione all’interno del movimento anarchico spagnolo dei due momenti, quello dell’accettazione dei tempi storici e quello opposto di praticare fino in fondo quelli rivoluzionari, l’obiettiva frattura fra «dirigenze anarchiche » e masse popolari o, in termini più precisi, fra gli ambiti e le strutture organizzative della CNT-FAI e l’autonomia e la creatività libertarie, rende evidente la generale contraddizione che caratterizza l’esperienza del 1936-39, investendo l’analisi anarchica del rapporto fra politica e potere. Si sa infatti che per l’anarchismo queste due dimensioni sono equivalenti perché vengono identificate in uno stesso agire, precisamente nei moventi e negli esiti del principio di autorità. Esse si risolvono nel medesimo modo, quando tale principio è posto sul piano dell’effettività storica. Detto in altra maniera: la politica è la fenomenologia del potere, di cui lo Stato rappresenta l’espressione storicamente più compiuta perché ne esprime al tempo stesso la forma simbolica e la valenza reale. Le esperienze rivoluzionarie sembravano confermare, fino alla soglia della rivoluzione spagnola, questo assunto della sostanziale identificazione tra politica e potere, questo schematismo logico di spiegazione della azione sociale diretta a fini coercitivi. Si può insomma dire che, se non vi è stata una convincente aderenza alla tesi del modello euristico, non vi è stata neppure una decisiva smentita alle sue prerogative ideologiche: ogni qual volta il moto rivoluzionario aveva imboccato –non importa sotto quali spoglie – la via della ricomposizione del principio di autorità, la sua dimensione emancipatoria si era affossata entro i canali del tutto prevedibili della logica istituzionale e razionalizzatrice dell’esistente.