..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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mercoledì 4 gennaio 2023

Il furto: di Alexandre Marius Jacob

Il popolo ha paura, voi dite. Noi lo governiamo con il terrore della repressione; se grida, lo gettiamo in prigione; se brontola, lo deportiamo, se si agita lo ghigliottiniamo. Cattivo calcolo, signore, mi creda. Le pene che infiggete non sono un rimedio contro gli atti della rivolta. La repressione invece di essere un rimedio, un palliativo, non fa altro che aggravare il male. Le misure coercitive non possono che seminare l’odio e la vendetta. E un ciclo fatale. Del resto, fin da quando avete cominciato a tagliare teste, a popolare le prigioni e i penitenziari, avete forse impedito all’odio di manifestarsi? Rispondete! I fatti dimostrano la vostra impotenza. Se mi sono dato al furto non e per guadagno o per amore del denaro, ma per una questione di principio, di diritto. Preferisco conservare la mia liberta, la mia indipendenza, la mia dignità di uomo, invece di farmi l'artefice della fortuna del mio padrone. In termini più crudi, senza eufemismi, preferisco essere ladro che essere derubato.

Certo anch’io condanno il fatto che un uomo s’impadronisca violentemente e con l’astuzia del furto dell’altrui lavoro. Ma e proprio per questo che ho fatto guerra ai ricchi, ladri dei beni dei poveri. Anch’io sarei felice di vivere in una società dove ogni furto sarebbe impossibile. Non approvo il furto, e l’ho impiegato soltanto come mezzo di rivolta per combattere il più iniquo di tutti i furti: la proprietà individuale.

Per eliminare un effetto, bisogna, preventivamente, distruggere la causa. Se esiste il furto e perché tutto appartiene solamente a qualcuno. La lotta scomparirà solo quando gli uomini metteranno in comune gioie e pene, lavori e ricchezze, quando tutto apparterrà a tutti.

domenica 1 gennaio 2023

1 gennaio Sante Caserio in tribunale

Presidente: Accusato, la vostra fanciullezza era ben lungi dal lasciar prevedere il vostro orribile delitto. Eravate laborioso e probo: però eravate impetuoso, spesso annuvolato e chiuso.

Caserio: Sono  forse, Signore, responsabile di questo?

Presidente: Eravate chierico? Comparivate nelle processioni come un piccolo San Giovanni Battista?

Caserio: I ragazzi non sanno quello che fanno; commettono delle sciocchezze.

Presidente: Nel 1892 foste arrestato perché facevate propaganda anarchica fra i soldati?

Caserio: Sissignore.

Presidente: Nel 1893 disertaste e rinnegaste, dopo la famiglia, la patria.

Caserio: La patria è per me il mondo intero.

Presidente: Avete  frequentato certi anarchici  ben noti a Milano?

Caserio: Se li avessi anche frequentati, non lo direi.

Presidente: La polizia lo sa invece vostra.

Caserio: La polizia fa il suo mestiere, io il mio.

Presidente: L'accusa pretende che frequentavate un parrucchiere anarchico.

Caserio: Non potevo andare da un fornaio a farmi tagliare i capelli.

Presidente: Siete italiano; era il 24 giugno. Quella data non vi ricordò nulla?

Caserio: Che era San Giovanni Battista, festa del mio paese.

Presidente: Che era l'anniversario della battaglia di Solferino, dove il sangue italiano e quello francese sgorgarono insieme per la libertà d'Italia.

Caserio: Io non ammetto la guerra civile.

Presidente: Quale diritto avevate voi di uccidere il Presidente della Repubblica? C'è una legge naturale che impedisce di uccidere!

Caserio: I governanti uccidono però...

Presidente: Non avete anche detto che se vi foste trovato in Italia avreste colpito il re e il papa?

Caserio: Oh no! Non escono mai assieme.


giovedì 29 dicembre 2022

Adeus Pelé

 

Max Stirner in birreria

Max Stirner era il suo nome di battaglia, in realtà il suo vero nome era Johann Kaspar Schmidt, nato il 25 ottobre 1806 a Bayreuth. Il suo pseudonimo di Stirner è un soprannome dovuto alla sua fronte pronunciata (Stirn in tedesco). Nome conservato per L’unico e la sua proprietà e le sue altre produzioni. Max amava frequentare il famoso gruppo del circolo berlinese dei « Liberati ». Un particolare gruppo davvero questo circolo o federazione che teneva le sue riunioni presso un certo Hippel, barista famoso per la buona qualità delle bevande ch'egli preparava e la cui casa era situata in una delle vie più frequentate della Berlino di allora. Senza statuto, senza presidente si disprezzavano tutte le correnti critiche e ci si faceva beffe di ogni tipo di censura. Qui si svolgevano discussioni molto appassionate in mezzo al fumo che emanavano le lunghe pipe di maiolica ben conosciute da coloro che hanno frequentato le birrerie al di là del Reno; si discuteva vuotando molti gotti di birra. Qui s'incontravano e si affiancavano svariati tipi umani, i frequentatori fissi e il circolo intimo, fedeli al loro posto per degli anni, infine c'erano degli ospiti saltuari che venivano, se ne andavano, tornavano, sparivano. Per comprendere bene la storia di questo gruppo, che è fino a un certo punto anche il luogo di nascita de L’Unico e la sua proprietà, bisognerebbe mettersi nei panni del mondo intellettuale tedesco dal 1830 al 1850. La Germania era allora sconvolta da cima a fondo, sia dalla critica della religione — la Vita di Gesù di Strauss è di questo periodo — sia dalle aspirazioni verso la libertà politica che dovevano concludersi con la rivoluzione tedesca del 1848. Presso i «Liberati» si discuteva di tutto e su tutto: su la politica, sul socialismo (nella sua forma comunista), sull'antisemitismo (che cominciava ad affermarsi), sulla teologia, sul concetto di autorità. Dei teologi come Bruno Bauer si frequentavano con dei giornalisti liberali, dei poeti, degli scrittori, degli studenti felici di sfuggire all'insegnamento accademico e persino qualche ufficiale capace di parlare di altri argomenti oltre che di cavalli e di donne e dotato d'abbastanza tatto per lasciare arroganza e frustino sulla porta. Si scorgeva anche qualche donna del bel mondo. Marx ed Engels lo frequentarono, ma non vi si trattennero.

Scioperati e iconoclasti com'erano, i «Liberati» non ebbero mai buona stampa, né buona fama. Si è insinuato che presso Hippel si svolgessero sempre delle vere e proprie orge alla tedesca. Uno dei loro visitatori occasionali, Arnold Ruge gridò loro un giorno: «voi volete essere dei liberati e non notate nemmeno la melma puzzolente dove vi siete tuffati. Non è con delle sconcezze che si liberano gli uomini e i popoli. Purificate voi stessi prima di accingervi a un tale compito». Max Stirner frequentò per dieci anni i «Liberati». Egli vi portava il suo sorriso ironico, lo sguardo sognatore e penetrante che emettevano, dietro gli occhiali d'acciaio, i suoi occhi blu.


lunedì 26 dicembre 2022

“I dirigenti rivoluzionari”

Dal momento in cui il popolo in rivolta rinuncia alla sua volontà per seguire quella dei suoi consiglieri, perde l'impiego della sua libertà e incorona, con l'ambiguo titolo di dirigenti rivoluzionari, i suoi oppressori di domani. In ciò consiste, in qualche sorta, l'astuzia del potere parcellare: esso genera delle rivoluzioni parcellari, scisse dal rovesciamento di prospettiva, separate dalla totalità; paradossalmente dissociate dal proletariato che le fa. Come potrebbe la totalità delle libertà rivendicate accontentarsi di qualche briciola delle libertà conquistate senza fare subito le spese di un regime totalitario? Si è creduto di vedervi una maledizione: la rivoluzione che divora i suoi figli: come se la sconfitta di Makhno, l'annientamento di Kronstadt, l'assassinio di Durruti non fossero già stati implicati dalla struttura dei nuclei bolscevichi iniziali, forse anche dai modi autoritari di Marx nella Prima Internazionale. Necessità storica e ragione di stato non sono che necessità e ragione dei dirigenti chiamati ad avallare il loro abbandono del progetto rivoluzionario, il loro abbandono della radicalità. La nuova ondata insurrezionale riunisce oggi dei giovani che si sono tenuti lontani dalla politica specializzata, che sia di sinistra o di destra, o che vi sono passati rapidamente, il tempo di un errore di giudizio o di un'ignoranza scusabili. Nel maremoto nichilista, tutti i fiumi si confondono. Ciò che importa è solo l'al di là di questa confusione. La rivoluzione della vita quotidiana sarà la rivoluzione di quelli che, ritrovando con maggiore o minore facilità i germi di realizzazione totale conservati, contrastati, nascosti nelle ideologie di ogni genere, avranno per ciò stesso cessato di essere mistificati e mistificatori.

venerdì 23 dicembre 2022

23 dicembre 1984: La strage del rapido 904

 

Il 23 Dicembre 1984 viene ricordato per la "Strage del rapido 904", anche detta "Strage di Natale".

Il rapido 904, proveniente da Napoli e diretto a Milano, quel giorno era pieno di viaggiatori, dal momento che era il periodo pre-natalizio. Il treno non giunse mai a destinazione: nella galleria di S. Benedetto Val di Sambro venne colpito da un attentato dinamitardo. Verso le 19 di sera ci fu una violentissima esplosione. L'ordigno, collocato sul treno durante la sosta alla Stazione di Firenze Santa Maria Novella, era stato posto su una griglia portabagagli, pressapoco al centro del convoglio. La detonazione fu causata da una carica di esplosivo radiocomandata. Al contrario del caso dell'Italicus, però, questa volta gli attentatori attesero che il veicolo penetrasse nel tunnel, in modo da massimizzare l'effetto della detonazione.

L'esplosione causò 15 morti e 267 feriti. I soccorsi però arrivarono con difficoltà, dato che l'esplosione aveva danneggiato la linea elettrica e parte della tratta era isolata. Inoltre il fumo bloccava l'accesso dall'ingresso sud dove si erano concentrati inizialmente i soccorsi. Ci volle più di un'ora e mezza perchè i primi aiuti riuscissero a raggiungere il luogo dell'esplosione. Nel conto finale delle vittime, i morti furono 17. Tutto fu predisposto per provocare il maggior numero possibile di vittime: l’occasione del Natale, la potenza dell’esplosivo, il “timer” regolato per fare esplodere la bomba sotto la galleria in coincidenza del transito, sul binario opposto, di un altro convoglio. Dal momento che l'esplosione avvenne pressapoco nei pressi del punto in cui dieci anni prima era avvenuta la strage dell'Italicus e che fu utilizzato lo stesso esplosivo usato per l'agguato di via Amelio, l'attentato fu immediatamente ricondotto alla Mafia e Riina fu indicato come mandante della strage.

L'obiettivo, secondo il Pm che si occupò inizialmente dell'indagine, era quello di distogliere l'attenzione di polizia e magistratura dalla mafia e rilanciare il terrorismo come unico reale nemico contro cui lo Stato doveva combattere. Fin dall'inizio però emersero altre responsabilità: dall'ambiente dell'estrema destra ai serivizi segreti. Un deputato missino fu condannato per aver consegnato l'esplosivo nelle mani di Misso, boss camorrista e neofascista del rione Sanità. La stessa commissione parlamentare ha segnalato la "distrazione" di Sismi e Sisde nel segnalare attività di tipo terroristico. Secondo l'associazione dei familiari delle vittime, i mafiosi non sono i soli responsabili dell'attentato e la commissione parlamentare "[...] ha evidenziato la possibilità e l’attualità della reiterazione di atti criminali alla scopo di turbare e condizionare lo svolgimento della vita democratica del Paese, mettendo in luce come nel caso dei più recenti attentati del 1993, vi sia stata un’opera sistematica di disinformazione della “falange armata” che si è avvalsa di un supporto informativo e logistico non disponibile sul semplice mercato criminale".

 

mercoledì 21 dicembre 2022

I Falsi Principi della Nostra Educazione - Max Stirner

Una volta conquistata la libertà di pensiero, esiste uno sforzo nel nostro tempo per perfezionarla, con lo scopo di trasformarla in libera volontà, principio di una nuova epoca. In tal modo lo scopo finale dell'educazione non può più essere il sapere, ma il volere nato da questo sapere. In breve l'educazione tenderà a creare un individuo personale e libero. Che cos'è la verità se non la rivelazione  di chi siamo  noi? Si tratta di scoprire noi stessi, di liberarci da tutto quello che ci è estraneo, di sottrarci o di sbarazzarci di ogni autorità, di riconquistare la spontaneità. La scuola non forma degli uomini così assolutamente autentici. Se ne esiste qualcuno, ciò avviene  malgrado la scuola. Questa senza dubbio ci rende padroni delle cose e anche al limite padroni della nostra stessa natura. Ma essa non crea in noi dei caratteri liberi. In effetti  nessun tipo di cultura, fosse anche approfondita ed estesa, e nessuno spirito acuto e sagace e nemmeno nessuna abilità dialettica possono premunirci contro la bassezza del pensiero e della  volontà. Tutti i tipi di vanità e di sete di guadagno, d'arrivismo e di zelo servile e di doppiezza ecc. si accompagnano molto bene sia con un'ampia cultura, sia con un'elegante formazione classica e tutto questo fardello scolastico che non esercita nessun'influenza sul nostro comportamento morale, noi lo dimentichiamo spesso; tanto più facilmente in quanto non ci serve a nulla. Ci si scrolla via la polvere della scuola non appena la si lascia. Perché? Perché l'educazione consiste unicamente nella forma o nel contenuto, al massimo in una mescolanza di entrambi, ma nient'affatto nella verità, nella formazione dell'uomo vero. Come certi altri campi, il campo pedagogico fa parte di quegli ambiti in cui ci si sforza di non lasciare  passare la libertà, di non tollerare il dissenso: quello che si vuole ottenere è la sottomissione. Non si mira ad altro che a un addestramento puramente formale e materiale. Dalle formazioni degli umanisti non escono che dei sapienti, da quelle dei materialisti che dei «cittadini utili». Il nostro buon vecchio carattere  fondamentale di «cattiveria» è represso con molta energia e perciò avviene il rinnegamento della cultura in una volontà libera. In tal modo la vita scolastica forma essa stessa dei filistei. Nella stessa misura in cui da bambini ci veniva insegnato ad accettare tutto quello che ci veniva imposto, noi più tardi ci siamo accomodati in una vita positiva; noi ci pieghiamo, a nostra volta, noi ne diventiamo i servi, e i pretesi «buoni cittadini».

domenica 18 dicembre 2022

18 Dicembre 1922: la strage di Torino

Il 18 dicembre del 1922 inizia quella che viene ricordata come ‘La strage di Torino': nelle giornate tra il 18 ed il 20, le squadre fasciste aggrediscono diversi militanti delle organizzazioni popolari, uccidendo 11 antifascisti e causando decine di feriti.

A partire dalla marcia su Roma di un paio di mesi prima, a Torino la violenza squadrista si era già manifestata più volte con particolare ferocia.

Ad essere colpiti nelle tre giornate di dicembre sono operai, sindacalisti, militanti comunisti.

Tutto ha inizio la sera del 17, quando l’operaio e militante comunista Francesco Prato subisce un agguato da parte di un gruppo di tre fascisti che gli sparano ad una gamba; Prato si difende prontamente e uccide due degli squadristi, mentre il terzo riesce a mettersi in fuga.

La rappresaglia fascista non tarda a farsi sentire: la mattina del 18 dicembre una cinquantina di camicie nere, capitanate dal federale Pietro Brandimarte, fa irruzione all’interno della Camera di Lavoro di Torino, dove il deputato socialista Vincenzo Pagella, il ferroviere Arturo Cozza e il segretario della Federazione dei metalmeccanici, Pietro Ferrero, vengono picchiati dagli squadristi e poi lasciati andare.

Di qui ha inizio una serie di incursioni (sia nelle strade che nelle abitazioni) a danno di diversi personaggi ‘scomodi’. Ora i fascisti attaccano con il chiaro intento di uccidere, forti della garanzia di non intervento che le autorità cittadine hanno deciso di adottare in un vertice in Prefettura che si conclude poche ore prima dell’inizio degli eccidi.

Il primo ad essere colpito è Carlo Berruti, segretario del Sindacato ferrovieri e consigliere comunale comunista, che viene caricato in una macchina e portato in aperta campagna, dove viene fatto incamminare lungo un sentiero per essere poi colpito alla schiena da diversi proiettili.

Nel primo pomeriggio un gruppo di squadristi fa irruzione in un’osteria di via Nizza, perquisendo ed identificando tutti i presenti: Ernesto Ventura, trovato in possesso della tessera del partito Socialista, viene colpito con una revolverata, mentre il gestore del locale, Leone Mazzola, dopo aver tentato di opporsi all’attacco dei fascisti, viene colpito a coltellate e poi freddato da un colpo di pistola. Nel frattempo l’operaio Giovanni Massaro scappa dal locale ma viene rincorso fin dentro la sua abitazione e ucciso.

In serata è il turno di Matteo Chiolero, fattorino e comunista, che, rientrato a casa propria dopo il lavoro, sente bussare alla porta, apre e viene freddato senza una parola da tre colpi alla testa, sotto gli occhi terrorizzati della moglie e della figlia di due anni.

Il comunista Andrea Chiomo viene prelevato poco dopo da sette fascisti, trascinato in strada e massacrato di botte; con le ultime energie rimastegli riesce a scappare per pochi metri ma viene raggiunto da una fucilata alla schiena.

Pietro Ferrero, già vittima della violenza fascista consumatasi durante la mattinata, aveva deciso di lasciare la città la mattina successiva, ma viene scoperto mentre passa di fronte alla Camera del Lavoro, assediata ormai da ore dalle camicie nere, che lo portano in una stanza dell’edificio adibita a prigione e lo picchiano selvaggiamente. Verso mezzanotte il corpo di Ferrero, incapace di muoversi ma ancora vivo, viene legato ad un camion e trascinato sull’asfalto per diversi metri per essere poi abbandonato in mezzo alla strada.

Le ultime due vittime di quella giornata di terribile violenza sono Emilio Andreoni e Matteo Tarizzo.

Il primo, operaio di 24 anni, viene prelevato dalla sua abitazione e ucciso poco fuori Torino; successivamente gli squadristi tornano a casa di Andreoni e, con la moglie e il figlio di un anno presenti, la devastano.

Matteo Tarizzo, 34 anni, viene sorpreso nel sonno dall’irruzione dei fascisti, prelevato e ucciso a bastonate poco lontano da casa sua.

Durante la giornata del 18 dicembre molte altre persone vengono ferite, anche in modo grave.

I vili attacchi squadristi proseguirono ancora per tutti e due i giorni successivi.

Fu chiaro da subito che l’omicidio dei due fascisti ad opera di Francesco Prato era stato solo un pretesto per mettere in atto un piano preordinato che vedeva la connivenza delle autorità cittadine e delle forze dell’ordine, che durante diversi attacchi squadristi consumatisi nei tre giorni rimasero impassibili a guardare.

L’obiettivo era quello di dare un segnale a tutta la città di Torino, che da subito si distinse per la sua forte resistenza al fascismo.

Lo stesso Brandimarte dichiarerà due anni dopo che l’operazione era stata «ufficialmente comandata e da me organizzata [...] noi possediamo l'elenco di oltre tremila nomi sovversivi. Tra questi tremila ne abbiamo scelto 24 e i loro nomi li abbiamo affidati alle nostre migliori squadre, perché facessero giustizia».

Alle vittime di quei tre giorni è stata intitolata la piazza XVIII Dicembre su cui si affaccia la stazione ferroviaria di Porta Susa di Torino.

giovedì 15 dicembre 2022

Un fatto di cronaca

Nel 1973 quando era in prima media, Claudia Pinelli, la minore delle due figlie di Licia e Pino, raccontò la sua versione dei fatti in un compito in classe.


Tema: Un  fatto di cronaca

Svolgimento

Erano verso le h. 4 del pomeriggio, a un tratto echeggiò una esplosione, molta gente accorse dove si era sentito il boato; davanti a loro stavano le macerie di una banca distrutta e qua e là corpi straziati. Così avvenne quella che noi ora definiamo: La strage di Piazza Fontana. La polizia non sapeva dove mettere le mani, così decise di addossare la colpa agli anarchici. Li vennero a prendere per portarli in questura. In quelle tragiche notti perse la vita il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli fermato dalla polizia come tanti altri suoi compagni. La moglie (Licia Pinelli) ora si sta battendo per scoprire la verità sulla morte del marito, perché lei è convinta con le sue figlie, che Giuseppe Pinelli non si è suicidato, ma sia stato ucciso. La  polizia, vedendo la reazione della moglie, si affrettò subito a dire che Pinelli era un bravuomo e che il giorno seguente lo dovevano liberare. Ma  alla vedova Pinelli non bastavano le loro assicurazioni; ora era sola e doveva provvedere  al mantenimento delle sue due bambine, Silvia di 9 anni e Claudia di 8. Intanto  per la strage di Piazza Fontana  era stato accusato  Valpreda. Sono passati tre anni dalla strage di Piazza Fontana e Valpreda è stato rilasciato in libertà provvisoria senza un vero processo (ben due processi sono stati rinviati). Speriamo che il terzo processo sia quello che faccia trionfare la giustizia liberando gli innocenti e imprigionando i veri colpevoli.

lunedì 12 dicembre 2022

La strage di Piazza Fontana

La strage di p.za Fontana non ci è giunta del tutto inattesa. Da molto tempo prevedevamo e temevamo un attentato sanguinario. Era nella logica dei fatti. Era nella logica dell’escalation provocatoria  iniziata il 25 aprile. Per giustificare la repressione, per seminare la giusta dose di panico, per motivare  la diffamazione giornalistica e scatenare l'esecrazione pubblica ci voleva del sangue. E il  sangue c'è stato. Purtroppo, come avevamo previsto, la repressione mascherata da “democratica” tutela dell'ordine contro gli opposti  estremisti ha continuato la sua  marcia. Solo noi anarchici sembravamo accorgercene. Per mesi abbino gridato nelle piazze, scritto sui muri, sui manifesti, nei volantini, ripetuto nei nostri giornali che era solo l'inizio. E sulle pane ci ritrovavamo soli, manganellati, fermati, denunciati e per di più ignorati dai marx-leninisti, dal M.S. e dagli altri “neo-rivoluzionari”, i quali ritenevano di avere cose più importanti di cui occuparsi, ben lieti in fondo che polizia magistratura stampa se la prendessero con gli  anarchici. Poi, come avevamo previsto, la repressione si è estesa, con igliaia di denunce a operai, centinaia di fermi, perquisizioni ecc. Per la prima volta a Milano è stato violentemente impedito un corteo del  Movimento Studentesco (quelli anarchici erano stati sempre dispersi brutalmente)... Anche un cieco  avrebbe potuto capire cosa stava succedendo e sembrava che anche i giovani dilettanti della rivoluzione marx-leninista cominciassero finalmente a capire. E invece no. Eccoli a gridare — facendo coro con la sinistra parlamentare, ben altrimenti interessata — che la repressione non passerà. Come se la repressione non fosse già passata, come se fosse normale routine democratica tutto quello che da qualche mese sta' succedendo, come se fosse normale routine democratica che i fermati dalla polizia “cadano” dal 4° piano della questura e diecimila operai vengano denunciati e decine di militanti di gruppi extraparlamentari vengano incriminati e condannati rispolverando i famigerati articoli 270-71-72 del codice fascista... Come se fosse  normale routine democratica che per gli attentati scopertamente  reazionari vengano immediatamente accusati gli anarchici (cfr. dichiarazione del poliziotto dr. Calabrese) e fermati, interrogati, perquisiti 588 (cinquecentoottantotto) militanti della sinistra extraparlantentare e 12 fascisti (rilasciati per primi dopo essere stati trattati con ogni riguardo)... A quanto pare i nostri scientificissimi “cugini” marxisti riconoscono la repressione ed il fascismo solo quando porta il fez (e solo, naturalmente, quando li colpisce direttamente). In questo bollettino non abbiamo potuto raccogliere per mancanza di tempo e spazio tutta la documentazione sull'estendersi della repressione (già del resto ampiamente documentata dalla stampa). Ci siamo limitati al campo anarchico, trovando in esso non solo la nostra specifica funzione di Crocenera, ma anche purtroppo sufficiente materiale. Perché la repressione si è estesa, ma continua a colpire sempre e pesantemente gli  anarchici. Anarchico era Pinelli, la prima vittima prescelta della repressione (dopo i morti di Avola e Battipaglia, vittime “casuali”);   anarchico è Valpreda, capro espiatorio della montatura provocatoria;  anarchici in larga parte i fermati ed i perquisiti (oltre settanta solo a Milano); anarchico il movimento politico scelto come primo più facile bersaglio della calunnia dei pennivendoli... (da  Crocanera n. 5, febbraio 1970)